La dichiarazione di stato di abbandono è sempre una extrema ratio

IL CASO. Il Tribunale per i Minorenni di Bologna dichiarava lo stato di adottabilità di una minore per la constatata incapacità dei genitori ad esercitare la responsabilità genitoriale e per la mancanza di parenti entro il quarto grado che avessero un rapporto significativo con la minore.
Avverso tale sentenza proponeva impugnazione la madre della minore avanti la Corte d’appello di Bologna  che, tuttavia, confermava la decisione del TM, ritenendo sussistere la condizione di abbandono della minore per l’inadeguatezza, profonda e irrecuperabile, della madre a rivestire il ruolo genitoriale.
Costei, di conseguenza, proponeva ricorso per Cassazione sulla base di sette motivi.
Il primo riguardante l’omissione di adeguate indagini circa la sussistenza dei presupposti dell’“abbandono” e quindi la violazione e falsa applicazione della legge n. 184/1993, dell’art.7 della Convenzione di New York, dell’art.3 della Convenzione di Strasburgo, nonché dell’art. 11.24 del trattato istitutivo di una costituzione per l’Europa.
Il secondo per la violazione dell’art. 10 comma 2 della legge n. 184/1983, poiché non era stata disposta la CTU che aveva chiesto.
Il terzo per l’omessa concessione dei termini per le memorie conclusionali.
Il quarto per la violazione della l. n. 184/1983 e degli artt. 1 e 30 Costituzione per aver dichiarato lo stato di adottabilità in mancanza dei presupposti legali per la dichiarazione di stato di abbandono.
Il quinto per l’omesso esame di un fatto decisivo.
Il sesto per la nullità della sentenza per l’omessa convocazione della famiglia affidataria. Ed, infine, il settimo per la violazione della l. n. 184/1993, della Convenzione di Strasburgo, degli artt. 29 e 30 Cost. e dell’art. 8 CEDU per la mancata valutazione e considerazione dell’ipotesi di affidamento ai familiari entro il quarto grado.

LA DECISIONE. Nell’accogliere il ricorso limitatamente al primo e quarto motivo, assorbiti il secondo e quinto, e rinviando così alla Corte d’appello di Bologna per il nuovo esame della situazione di abbandono morale e materiale della minore, con sentenza n. 20954/2018, la Suprema Corte ha affrontato in modo assai approfondito l’istituto della dichiarazione di adottabilità alla luce della giurisprudenza costituzionale, di quella della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di Giustizia UE, nonché della propria giurisprudenza.
Anzitutto la Suprema Corte ha richiamato i principi enunciati dalla Corte CEDU quanto alla violazione dell’art.8 della Convenzione in materia di dichiarazione dello stato di abbandono dei minori. La Cassazione si è soffermata anche sull’importanza di tale richiamo, ribadendo il ruolo primario della Corte CEDU, stante la vincolatività delle sue pronunce anche per il giudice nazionale. Nel pronunciarsi in merito alla violazione del citato art. 8, secondo cui ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, la Corte CEDU ha progressivamente affermato che la soppressione del legame di filiazione deve essere condizionata, nell’interesse primario del minore, all’esistenza di presupposti assai stringenti. La legittimità della dichiarazione di adottabilità, che rientra appunto tra le ipotesi di ingerenza nel diritto al rispetto della propria vita familiare, è quindi compatibile con l’art. 8 CEDU “solo se soddisfa le condizioni cumulative di essere prevista dalla legge, di perseguire uno scopo legittimo e di essere necessaria in una società democratica”.
I principi affermati dalla Corte CEDU, sottolinea la Cassazione, sono totalmente allineati a quelli espressi dalla giurisprudenza costituzionale, comunitaria e dallo stesso giudice di legittimità.
Quanto alla Corte Costituzionale, essa ha ribadito in più occasioni come il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita in comune, nel segno dell’unità della famiglia, sia un diritto fondamentale della persona, così come lo status filiationis è un aspetto essenziale dell’identità della persona.
La Corte di Giustizia dell’UE ha invece affermato che i diritti riconosciuti dall’art. 8 CEDU, in particolare il diritto al rispetto della propria vita familiare, corrispondono a quelli previsti dall’art.7 della Carta di Nizza, alla quale è stato attribuito il medesimo valore dei Trattati europei.
Quanto, infine, alla stessa Cassazione, questa ha affermato che

il diritto fondamentale del figlio di vivere con la propria famiglia può incontrare un limite “solo nei casi in cui la sua famiglia non sia in grado di prestare, in via non transitoria, le cure necessarie, con conseguente configurabilità di un endemico e radicale stato di abbandono, in quanto i genitori irreversibilmente siano incapaci di allevare ed educare i figli per totale inadeguatezza a prendersene cura”.


Alla luce dei principi sopra richiamati e quindi della configurabilità della dichiarazione di stato di abbandono quale extrema ratio, la Suprema Corte ha ritenuto che la Corte d’Appello di Bologna avesse errato nel riconoscere l’esistenza dello stato di abbandono sulla base di elementi e accertamenti non attuali, oltreché generici e vaghi.
Tale decisione sottolinea l’irrinunciabilità di un’istruttoria esauriente e tale da condurre a risultati davvero persuasivi in merito alla “capacità genitoriale” dei genitori del minore in una materia di tale delicatezza e in particolare a tutela proprio del “preminente interesse del minore” a conservare i propri legami familiari in ogni caso ciò appaia preferibile.
Merita attenzione, in ultima istanza, quanto rilevato dalla Suprema Corte in merito al terzo motivo, pur ritenuto infondato, riguardante la mancata concessione del termine per il deposito delle comparse conclusionali: pur trattandosi di procedimenti camerali contenziosi, quelli relativi alla dichiarazione dello stato di adottabilità sono caratterizzati dalla semplicità di forme e celerità. Per tale motivo ad essi non si applicano le norme riguardanti il processo di cognizione ordinario, comprese pertanto anche quelle degli artt. 189 e 190 c.p.c..

 

 

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