Deroghe all'affido condiviso per i figli nati fuori dal matrimonio: quando è possibile ridurre il diritto/dovere alla bigenitorialità

Con la recente sentenza n. 30826/2018, depositata il 28 novembre, la Suprema Corte ha confermato che “alla regola dell’affidamento condiviso può derogarsi solo se la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore”.

IL CASO – La Corte d’Appello di Milano, confermando la sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda del padre della minore, nata da una convivenza more uxorio, che chiedeva la revisione delle decisioni del Tribunale.
Infatti il Giudice di primo grado, ritenuta l’incapacità dei genitori di instaurare relazioni responsabili fra loro, aveva affidato la minore in via esclusiva alla madre, sospendendo temporaneamente i rapporti col padre, in attesa che i Servizi Sociali disponessero un percorso di supporto alla ragazza e riducendo gli oneri del mantenimento in carico al padre in funzione della contrazione delle sue entrate economiche.
Nel caso specifico, infatti, la minore, ormai adolescente, si era perfettamente inserita nel nuovo contesto familiare composto dalla madre e dal nuovo compagno, e rifiutava qualsiasi contatto col padre, giudicato quale figura marginale e disinteressata al suo percorso di crescita.
Oltre a tale aspetto, i Servizi sociali avevano rilevato un’incapacità dei genitori di vivere in termini costruttivi la loro conflittualità, “perché incapaci di comunicare nell’interesse della figlia”.
Il padre proponeva ricorso per Cassazione, articolando diverse difese e lamentando altresì che il Giudice del gravame non avesse attuato alcuna misura idonea a favorire la ripresa dei rapporti della minore con il padre, soprattutto a fronte della notevole distanza abitativa; resisteva la madre sostenendo, in prima battuta, l’inammissibilità del ricorso.


LA DECISIONE – La Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso, ammettendo l’impugnabilità di tutti i provvedimenti, anche di volontaria giurisdizione, che abbiano il requisito della decisorietà, come i provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio.
Quanto al merito della questione sollevata dal ricorrente, la Suprema Corte ha ricordato che

ai fini dell’affidamento esclusivo non è sufficiente la mera considerazione della distanza oggettiva esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, la quale può incidere esclusivamente sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascuno di essi, o della conflittualità che caratterizza i rapporti tra gli stessi, ma occorre una specifica motivazione che tenga conto in positivo della capacità educativa del genitore affidatario e in negativo della inidoneità o delle manifeste carenze dell’altro genitore”.

Ha inoltre rimarcato che “l’art. 8 CEDU – il quale, nell’imporre alle autorità nazionali il dovere di compiere ogni tentativo possibile per agevolare la conservazione o il ripristino di una congrua ed assidua frequentazione tra il minore ed il genitore non collocatario, anche nel caso in cui sussista una considerevole distanza tra il luogo di residenza di quest’ultimo e quello in cui risiede l’altro genitore, non impedisce alle stesse di conformare l’esercizio del diritto di visita secondo le modalità più idonee ad assicurare un sereno ed equilibrato svolgimento dell’esistenza del minore -, a fronte di provvedimenti che hanno accertato il rifiuto della minore di incontrare il padre”.
In questo senso, quindi, la Corte di Cassazione ha rilevato che la realizzazione della bigenitorialità deve necessariamente confrontarsi con altre istanze, tra le quali l’equilibrato e sereno svolgimento dell’esistenza del minore e che, nel caso di specie, la Corte d’Appello di Milano aveva adeguatamente motivato la sua decisione di affidare la ragazza, in via esclusiva, alla madre.

 

 

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