L’assegno provvisorio di divorzio non basta per ottenere la quota di TFR

La signora Caia, ammessa al gratuito patrocinio, ha convenuto in giudizio il signor Tizio, ex coniuge, per ottenere una quota dell’indennità da questi percepita a conclusione del suo rapporto di lavoro dipendente.
Precisa che sussistono tutti i presupposti per il riconoscimento del diritto: il passaggio in giudicato della sentenza non definitiva che ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, l’assenza di “nuove nozze”, la titolarità dell’assegno di divorzio.
Si costituisce il marito, opponendosi alla richiesta per ragioni che non è dato conoscere.
Con decreto 30 novembre 2018 il Tribunale di Treviso dichiara inammissibile la domanda della ricorrente “per difetto dei presupposti di cui all’art.12 L.898/1970” e la condanna alle spese.
Il sintetico provvedimento merita di essere segnalato per tre ragioni.
1) Chiarisce che non si può considerare titolare dell’assegno chi ha solo un assegno provvisorio
Il presupposto carente secondo il Tribunale è la “titolarità dell’assegno di divorzio” da parte della ricorrente, visto che il giudizio di divorzio è pendente (sullo status il Tribunale ha pronunciato, come s’è detto con sentenza parziale), e la signora è titolare solo dell’assegno riconosciutole in via provvisoria e urgente coi provvedimenti presidenziali.
Scrive infatti il Tribunale:
«Come sottolineato da autorevole dottrina, infatti, a nulla rileva la c.d. “titolarità potenziale” dello stesso, né tantomeno il fatto che nel corso del giudizio sia stato disposto un assegno mensile di mantenimento a carico del resistente, stante la diversità ontologica e giuridica delle due diverse forme di contributo».
In effetti, secondo l’unanime orientamento della dottrina, perché un soggetto possa vantare diritti sul TFR dell’ex coniuge e sulla pensione di riversibilità non è sufficiente che abbia i requisiti per ottenere l’assegno (e magari vi abbia rinunciato), ma è necessario che questo gli sia stato attribuito.
Del rilievo dell’attribuzione provvisoria la dottrina non pare mai essersi occupata, ma la questione è stata chiarita dalla Suprema Corte con sentenza 20.2.2018 n° 4107, pubblicata sul nostro sito:
«… Invero la legge neppure consente di ritenere sufficiente il provvedimento provvisorio di riconoscimento dell’assegno di divorzio il concesso dal Presidente del Tribunale in sede di comparizione delle parti. La legge richiede una pronuncia del Tribunale - non del suo Presidente…»
2) Considera la titolarità dell’assegno condizione di procedibilità della domanda giudiziale e non fatto costitutivo del diritto ad ottenere la quota di TFR
Il principio non è esplicitamente affermato nel decreto, ma dipende inevitabilmente da questa premessa la pronuncia di inammissibilità del ricorso, anziché il rigetto della domanda nel merito.
All’opposto, il Tribunale e la Corte d’Appello di Bari, nella vicenda conclusa con la sentenza della Corte di Cassazione sopra richiamata, avevano ritenuto che la ricorrente non essendo titolare dell’assegno (anche in quella vicenda era stato riconosciuto un assegno in sede presidenziale ed era passata in giudicato la sentenza sullo status), non avesse titolo per ottenere una quota del TFR del marito e aveva rigettato così la sua domanda perché infondata.
Avendo la scelta conseguenze pratiche molto importanti (possibilità di riproporre la domanda, in altro giudizio, ma possibile di sospensione della causa riguardante l’attribuzione della quota di TFR  per pregiudizialità di quella di divorzio), la questione meriterebbe forse maggior approfondimento.
3) Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese anche se ammessa al gratuito patrocinio
In proposito il decreto precisa: «l’ammissione a tale beneficio nel processo civile, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 74, comma 2, come da ord. Cass. 10053 del 19 giugno 2012 confermata da Cass. 22381/2012, non vale ad addossare allo Stato anche le spese che la parte ammessa sia condannata a pagare all’altra parte risultata vittoriosa, perché “gli onorari e le spese” di cui all’art. 131 del citato D.P.R., sono solo quelli dovuti al difensore della parte assistita dal beneficio, che lo Stato si impegna ad anticipare, senza che si possa considerare estesa tale assistenza fino a ricomprendere anche le spese conseguenti alla soccombenza».

 

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