Il genitore può scegliere di ospitare il figlio, invece di versargli il mantenimento? La Cassazione dice no

di Avv. Rebecca Gelli e Avv. Maida Milan

Alcuni genitori separati, divorziati o, comunque, non più conviventi si chiedono se, invece di versare un assegno di mantenimento al figlio maggiorenne, ma non ancora economicamente indipendente, possano semplicemente ospitarlo in casa e provvedere direttamente alle sue necessità. La Cassazione ha chiarito che questa scelta non può essere effettuata dal genitore unilateralmente.  

IL CASO. Il figlio di una coppia divorziata (22 anni all’introduzione della domanda in primo grado, 26 alla data della sentenza di legittimità), studente universitario, economicamente non autosufficiente, riceveva due assegni di mantenimento: 900 euro dalla madre e 1.082 euro dal padre.

La Corte d’Appello di Torino, fermo l’obbligo del padre,  decideva di revocare l’assegno della madre, stabilendo che potesse adempiere al suo obbligo semplicemente ospitando il figlio in casa e provvedendo direttamente alle sue esigenze.

Il provvedimento impugnato riconduceva, infatti, il mantenimento del figlio alla categoria dei diritti di carattere alimentare cui corrisponde un’obbligazione alternativa, con possibilità di scelta dell’obbligato tra la corresponsione di un assegno, limitato al soddisfacimento delle esigenze essenziali dell’avente diritto, e l’accoglimento del medesimo, presso la propria abitazione.

Di conseguenza, allontanandosi da casa, in presunta assenza di gravi ragioni e contro il volere della madre, per andare a vivere da solo, secondo la prospettazione del giudice a quo, il ricorrente avrebbe perso il diritto a percepire una prestazione pecuniaria che diventava, di fatto, inesigibile.

Il ragazzo impugnava la decisione, sostenendo che il mantenimento è cosa ben diversa da un assegno alimentare e che il genitore non può imporsi sul figlio, scegliendo autonomamente come adempiere al proprio obbligo.  

La Cassazione ha dato ragione al figlio e ha stabilito che il genitore obbligato al mantenimento non può sottrarsi al pagamento semplicemente offrendo ospitalità.

In tal senso, è vero che, in numerose pronunce, la Suprema Corte ha affermato il carattere “sostanzialmente alimentare” del contributo al mantenimento dei figli, ma ciò solo al fine di escludere che la parte che abbia già ricevuto le prestazioni possa essere costretta a restituirle o vedersi opporre in compensazione, per qual si voglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo (Cass. civ. n. 11689/2018; Cass. civ. n. 25166/2017; Cass. civ. n. 23569/2016; Cass. civ. n. 13609/2016; Cass. civ. n. 28987/2008).

Per il resto, l’obbligo di mantenimento, a carico dei genitori, si differenzia dall’obbligo alimentare vero e proprio:

i) dal punto di vista soggettivo, posto che il primo si configura solo all’interno della famiglia nucleare, mentre il secondo riguarda anche rapporti parentali più estesi e, in determinati casi, esula dall’ambito familiare, ricomprendendo anche la figura del donatario;

ii) dal punto di vista oggettivo, posto che il primo include ogni apporto finalizzato all’assistenza morale e materiale del figlio, in funzione di una crescita corrispondente alla sua personalità e alle sue inclinazioni, nonché al tenore di vita economico e sociale goduto dalla famiglia, quando era unita, mentre il secondo presuppone una condizione di bisogno del beneficiario e resta circoscritto a quanto è necessario per la vita dell’alimentando (Cass. civ. n. 2710/2024; Cass. civ. n. 19625/2023).

Inoltre, anche nell’ambito della tutela alimentare, l’obbligazione alternativa non si trasforma in obbligazione semplice, perché le modalità di somministrazione non sono rimesse alla mera volontà del soggetto passivo del rapporto, ma restano sottoposte aD una valutazione da parte del giudice, che, nel determinare il modo di adempimento, può discostarsi dalla scelta eventualmente operata dal debitore (Cass. civ. n. 4539/1986; Cass. civ. n. 1683/1982).

Infine, riguardo al contributo al mantenimento dei figli, il legislatore non distingue se esso sia destinato ai figli minori di età o a quelli maggiorenni, ma non ancora autosufficienti economicamente, salvo il fatto che, in quest’ultimo caso, il figlio può chiedere che il versamento gli venga corrisposto direttamente, ai sensi dell’art. 337 septies c.c. (Cass. civ. n. 2536/2024; Cass. civ. n. 4145/2023; Cass. civ. n. 2020/2021; Cass. civ. n. 19299/2020).

Peraltro, il genitore non può sostituire alla dazione pecuniaria una prestazione in natura, perché, secondo la disposizione di cui all’art. 337 ter c.c., la commisurazione dell’assegno già tiene conto della valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore, secondo i tempi di permanenza, quali modalità di adempimento del mantenimento in via diretta.

Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione afferma il principio di diritto in base al quale, in tema di mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, l’adempimento del relativo obbligo è disciplinato dal combinato disposto degli artt. 337 ter e 337 septies c.c., non potendo applicarsi la disciplina prevista dall’art. 443 c.c. per l’adempimento delle obbligazioni alimentari, diverse per finalità e contenuto.

Ne consegue che la decisione di accogliere e mantenere il figlio in casa non può integrare una modalità alternativa di adempimento che può essere riservata unilateralmente al genitore obbligato, costituendo, semmai, un elemento da valutare, ai fini della quantificazione dell’assegno.

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