Corte di Giustizia dell'Unione Europea: le tutele della lavoratrice autonoma che cessa l'attività per la nascita del figlio

Con la sentenza n. c-544/18 del 19 settembre 2019 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che anche alle madri lavoratrici autonome – onde evitare una disparità di trattamento con le lavoratrici subordinate – deve essere riconosciuto il diritto di conservare la qualità di persona che esercita attività autonoma, con le relative tutele, purchè riprendano tale attività o trovino un’altra attività autonoma o un impiego entro un periodo ragionevole dalla nascita del figlio.

IL CASO – La domanda è stata presentata dal Tribunale Superiore (sezione ricorsi amministrativi) della Gran Bretagna, a seguito di un contenzioso avviato da una cittadina lituana, da tempo residente nel Regno Unito e lavoratrice autonoma quale estetista, che si era vista revocare l’assegno familiare settimanale per il figlio a carico. Secondo l’autorità amministrativa, in applicazione della normativa nazionale applicabile, la signora non disponeva di un diritto di soggiorno idoneo a soddisfare le condizioni necessarie per poter beneficiare della prestazione a sostegno della maternità.
Il Tribunale di primo grado del Regno Unito accoglieva il ricorso e annullava la decisione dell’autorità amministrativa, ma la sentenza veniva successivamente impugnata dall’amministrazione fiscale e doganale responsabile dell’erogazione del sussidio familiare dinanzi al Tribunale superiore del Regno Unito.
Il Tribunale d’appello riteneva opportuno sospendere il procedimento per sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
Qualora una cittadina dell’Unione, che sia cittadina di uno Stato membro:
1) si trovi in un altro Stato membro (Stato membro ospitante),
2) abbia esercitato un’attività in qualità di lavoratrice autonoma ai sensi dell’articolo 49 TFUE nello Stato membro ospitante,
3) abbia percepito un’indennità di maternità a partire da maggio 2014 (momento in cui tale persona si riteneva meno atta al lavoro a causa del suo stato di gravidanza),
4) in capo alla quale è stata accertata la cessazione dell’esercizio di un’attività autonoma reale ed effettiva a partire da luglio 2014,
5) abbia partorito nell’agosto 2014 e
6) non abbia ripreso la propria attività autonoma reale ed effettiva nel periodo successivo al parto e precedente alla domanda di indennità per persone in cerca di occupazione in qualità di persona in cerca di occupazione nel febbraio 2015:
se quindi l’articolo 49 TFUE (Trattato sul funzionamento Europeo) debba essere interpretato nel senso che tale persona che ha cessato di esercitare un’attività autonoma a causa di limitazioni fisiche connesse alle ultime fasi della gravidanza e al periodo successivo al parto conserva la qualità di lavoratore autonomo, ai sensi di tale articolo, purché riprenda l’attività economica o la ricerca di un impiego entro un periodo di tempo ragionevole dopo la nascita del figlio
”.

LA DECISIONE – La Corte di Giustizia, partendo dal presupposto della necessità di dover accertare se la signora fosse in possesso del diritto di soggiorno ai sensi del diritto dell’Unione nel Regno Unito durante la gravidanza, ripercorrendo la giurisprudenza per le lavoratrici subordinate e valutando la situazione di vulnerabilità nello stato di gravidanza e nel periodo successivo al parto, ha evidenziato che

si configurerebbe un’inammissibile disparità di trattamento se non fossero garantite anche alle lavoratrici autonome le medesime tutele, purchè costoro – come le prime – riprendano l’attività lavorativa o trovino un’altra attività autonoma o un impiego entro un periodo di tempo ragionevole dopo la nascita del figlio.

La sentenza in commento chiarisce che alle cittadine europee è consentito di mantenere il diritto di risiedere legalmente in uno Stato membro durante la gestazione e nel periodo seguente al parto, beneficiando delle prestazioni assistenziali per figli a carico, oltre che degli altri bonus previsti dalle singole normative nazionali e connessi alla gravidanza.
La pronuncia tutela adeguatamente la posizione delle madri lavoratrici autonome e dei neonati, contrapponendosi alle argomentazioni sollevate dalla difesa del Regno Unito, secondo la quale una donna che non possa esercitare personalmente una attività autonoma a causa di limitazioni connesse alle ultime fasi della gravidanza e al parto potrebbe farsi sostituire temporaneamente da un’altra persona nell’esercizio di tale attività.
Nel caso in cui fosse stata accolta tale interpretazione della norma, molte donne avrebbero perso i mezzi di sostentamento in un momento delicato della loro vita personale e professionale.

 

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