Il divorzio-lampo rumeno non è contrario all’ordine pubblico (ma la Cassazione dimostra di ignorare i Regolamenti europei sull’unificazione del diritto internazionale privato)

La sentenza della Corte di Cassazione n. 12473 del 21 maggio 2018 ha stabilito che un divorzio-lampo rumeno, pronunciato secondo la lex fori che prevede tempi della procedura di divorzio più brevi di quella italiana, è riconoscibile nel nostro ordinamento e non integra violazione dell’ordine pubblico.
La decisione afferma un principio che era stato acquisito da tempo.
In particolare, può considerarsi pacifico che non contrasta con l’ordine pubblico il provvedimento straniero che disponga il divorzio senza previa separazione (ex pluribus, Cass. 2006/16978 e Trib. Belluno, 5 novembre 2010).
A maggior ragione, quindi, non contrasta con l’ordine pubblico una decisione di divorzio adottata a seguito di una procedura che preveda termini più brevi di quella italiana, tanto più che nella fattispecie trattavasi di un divorzio pronunciato sull’accordo delle parti che, come ha osservato la Suprema Corte, “è certamente sintomatico del definitivo venir meno della comunione di vita”.
Se, dunque, la sentenza in parola non esprime un principio particolarmente innovativo, desta un certo stupore in relazione alle norme che la Corte ha applicato per riconoscere la sentenza rumena.
Va premesso che il ricorso in cassazione è stato proposto contro un’ordinanza della Corte di Appello di Venezia del 10 giugno 2016, emessa a seguito di ricorso ex artt. 702 bis c.p.c., che disciplina il procedimento sommario di cognizione, e 30 d.lgs. n. 150/2011, che estende il rito sommario anche al procedimento di delibazione  delle sentenze e dei provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione nei casi in cui esso è necessario ai sensi dell’art. 67 l. n. 218/1995 (e cioè nei casi di contestazione o mancata ottemperanza o nei casi in cui il provvedimento necessiti di attuazione od esecuzione forzata).


Ciò premesso, la Corte di Cassazione ha applicato la norma sul riconoscimento contenuta nell’art. 64 l. n. 218/1995, trascurando completamente che il riconoscimento di una decisione di divorzio emessa da uno Stato dell’Unione europea, tranne la Danimarca, deve essere effettuata ai sensi delle norme sul riconoscimento previste dal Reg. n. 2201/2003 (c.d. Bruxelles II bis).

Tale Regolamento stabilisce che le decisioni siano automaticamente riconosciute (art. 21.1) e prevede un procedimento giudiziale a disposizione di “ogni parte interessata” a proporre un’istanza per far dichiarare che una decisione deve essere o non può essere riconosciuta, in relazione all’assenza, ovvero alla presenza, dei motivi ostativi previsti dall’art. 22.
A differenza di quanto avvenuto nel caso deciso dalla sentenza in commento, il procedimento, disciplinato dagli artt. 28 ss. del Reg. Bruxelles II bis, prevede una prima fase senza contraddittorio, che in Italia è di competenza della Corte di appello e che si conclude con una decisione sull’istanza di riconoscimento, contro la quale può essere proposta opposizione davanti ad un giudice, che in Italia è ancora la Corte di appello, che si conclude con una decisione impugnabile per cassazione.
Si tratta quindi di un procedimento completamente diverso da quello che si è svolto nel caso di specie, per il quale la Corte d'appello è stata adita nell’ambito di un procedimento che fin dall’inizio si è svolto in contraddittorio attraverso la procedura prevista dal d.lgs. n. 150/2011 per la delibazione dei provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione ai sensi dell’art. 67 della l. n. 218/1995 che, invece, nella fattispecie non veniva in considerazione, in quanto il riconoscimento era disciplinato dal Reg. Bruxelles II bis.
E’ altresì sorprendente osservare che, in un altro capo della sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso contro il capo della sentenza della Corte di Appello che pronunciava l’obbligo di mantenimento per i figli ai sensi dell’art. 64 l. n. 218/1995,

anche in questo caso trascurando che il riconoscimento di una decisione in materia di obbligazioni alimentari nella famiglia adottata dal giudice di uno Stato dell’Unione europea viene effettuato non ai sensi della l. 218/1995, bensì del Reg. 4/2009.


Tale disposizione, invece, prevede che le decisioni emesse dai Paesi che come la Romania aderiscono al Protocollo dell’Aja circolino liberamente ed estendano automaticamente la loro efficacia – anche esecutiva – negli altri Stati membri, senza possibilità di opporsi al riconoscimento e all’esecuzione (e quindi senza necessità di una dichiarazione che ne attesti l’esecutività) (art. 17), e con limitate possibilità di ottenere il riesame della decisione nello Stato membro di origine (art. 19) e la sospensione o il diniego dell’esecuzione (art. 21).
Per il riconoscimento del capo di sentenza rumena relativo all’obbligo alimentare nei confronti dei figli non era quindi nemmeno necessaria la procedura di delibazione.

 

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