Costituisce reato il commercio di gameti, anche nell’ambito della fecondazione eterologa

Lo ha affermato la Suprema Corte con la decisione in commento (n. 36221/2019).

IL CASO. Tizia e Caia erano imputate del reato di cui agli artt. 416, co. 1 e 2  c.p. in relazione all’art. 12, co. 6, l. 19/2/2004, n. 40 (“norme in materia di procreazione medicalmente assistita”) e 646 c.p., perché sfruttando la struttura della clinica Zeta di Milano si associavano tra loro e con altri soggetti operanti nella stessa clinica e presso strutture sanitarie estere, allo scopo di commercializzare gameti umani. Nello specifico gli imputati acquistavano dalle cliniche estere, ovvero da donatrici appositamente procacciate allo scopo, gameti che poi venivano rivenduti alle coppie che si rivolgevano alla clinica Zeta per effettuare tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo.
Tizia e Caia, all’udienza preliminare, per il tramite del loro difensore, munito di procura speciale, formalizzavano l’istanza di applicazione pena nella misura finale di anni 1 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale.
Il GUP, tuttavia, pronunciava sentenza di assoluzione ex art. 129 c.p.p. per insussistenza del fatto reato contestato. A parere del giudicante, infatti, la norma di cui all’art. 12 co. 6 l. n. 40/2004 deve ritenersi implicitamente abrogata a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 162/2014, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 4 co. 3 della l. n. 40/2004 nella parte in cui stabilisce, per la coppia di cui all’art. 5 co. 1 della medesima legge, il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili.
In altri termini, poiché la fecondazione cosiddetta eterologa comporta necessariamente il ricorso al gamete estraneo alla coppia, deve ritenersi conseguentemente scriminata la commercializzazione di gameti nell’ambito di tale pratica.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione il Procuratore di Milano, assumendo l’erronea applicazione dell’art. 12, co. 6, l. n. 40/2004.

LA DECISIONE. Risolte alcune questioni preliminari di carattere procedurale, la Suprema Corte affronta il merito della questione devoluta ritenendo fondato il ricorso del P.M.
I Supremi Giudici ricordano che la l. n. 40/2004 è stata oggetto di ripetuti interventi da parte della Corte Costituzionale.
Con specifico riferimento alla citata sentenza n. 162/2014 gli Ermellini evidenziano come sia stato eliminato il divieto di ricorso alla fecondazione eterologa (in ipotesi di sterilità assoluta dovuta a patologia), qualificandola quale diritto di rango costituzionale.
Tuttavia ciò non ha inciso sulle sanzioni penali di cui all’art. 12, co.6, l. n. 40/2004.
Tale soluzione interpretativa è esplicitata dalla stessa Consulta laddove precisa: “Siffatta considerazione permette, poi, di ritenere che le norme di divieto e sanzione non censurate (le quali conservano validità ed efficacia), preordinate a ……… ed a evitare la commercializzazione di gameti ed embrioni e la surrogazione di maternità (art. 12 commi da 2 a 10 L. 40/2004), sono applicate direttamente (e non in via d’interpretazione estensiva) a quella di tipo eterologo, così come lo sono le ulteriori norme, nelle parti non decise da pronunce di questa Corte” (n. 162/2014).
Osservano ancora i Supremi Giudici come un importante contributo interpretativo in tale senso sia offerto (come evidenziato dal Pubblico Ministero nell’articolato ricorso proposto) dai principi della Direttiva n. 2004/23/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31/03/2004, in materia di donazioni di tessuti e cellule umani, che all’art. 12 prevede la “volontarietà” e “gratuità” di tali donazioni precisando, al co. 2, che i donatori possono solo ricevere “un’indennità strettamente limitata a far fronte alle spese e agli inconvenienti risultanti dalla donazione. In tal caso gli Stati membri stabiliscono le condizioni alle quali viene concessa l’indennità”.
Lo Stato Italiano, tuttavia, non ha disciplinato tale materia con riferimento alla donazione di gameti (diversamente da quanto ha fatto, ad esempio, nel caso di trapianto di midollo osseo) e questa pertanto deve avvenire solo su base volontaria e gratuita.
L’assenza di ogni finalità lucrativa nella donazione di gameti trova conferma nei decreti ministeriali che ne regolano l’importazione e il trasferimento, ed è stata ribadita anche dal Direttore del Centro Nazionale Trapianti, con nota del 2016.
La Suprema Corte ha quindi censurato, per tali ragioni, l’interpretazione accolta dal Tribunale di Milano ed ha precisato che

“costituiscono reato tutte le condotte dirette alla produzione e circolazione dei gameti, remunerate con corrispettivo in rapporto sinallagmatico, con la condotta di produzione, circolazione e immissione nel mercato, condotte che costituiscono la mercificazione della procreazione assistita, sanzionata dall’art. 12, co. 6 della L. 40 del 2004”.

 

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