La residenza abituale dei minori, da valutare ai fini della giurisdizione, è un quid facti che dipende anche da indici di natura proiettiva e non muta in caso di temporaneo soggiorno in un altro Paese

La sentenza della Corte di Cassazione 19-XII-/30-III-2018 si sofferma sull’interpretazione del concetto di residenza abituale che il Reg. CE 2201/2003 (Bruxelles II bis) utilizza come principale criterio di giurisdizione per le cause di affidamento di minori.
Come è noto, infatti, il Regolamento Bruxelles II bis, che vale per tutti gli stati UE tranne che per la Danimarca (tendenzialmente esclusa dalle misure di armonizzazione del diritto internazionale privato in forza di uno speciale regime di opting out), disciplina giurisdizione e riconoscimento delle decisioni straniere in materia di responsabilità genitoriale (oltre che di separazione, divorzio, nullità e annullamento del matrimonio).
Il Regolamento ha adottato una nozione ampia di responsabilità genitoriale che include l’insieme di diritti e doveri di cui una persona è investita relativamente alla persona di un minore, inclusi affidamento, diritto di visita, e altre misure di protezione. Le regole di giurisdizione sono relative alle misure che concernono l’attribuzione, l’esercizio, la delega e la revoca totale e parziale della responsabilità genitoriale da parte dell’autorità giudiziaria.
Il Regolamento attribuisce competenza generale all’autorità giurisdizionale dello Stato membro di residenza abituale del minore alla data di presentazione della domanda (art. 8), da intendersi come luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale (Corte di Giustizia, sent. 22 aprile 2009, C-523/07, A. c. C.). In applicazione di questa disposizione, la giurisprudenza ha ritenuto sussistente la giurisdizione italiana in una causa tra due coniugi inglesi relativamente al collocamento del figlio minore residente abitualmente in Italia  (App. Firenze, sent. 15 gennaio 2014), in una causa di affidamento di minore cittadino del Bangladesh, residente abitualmente in Italia, anche se il minore e i suoi genitori erano cittadini extracomunitari (Trib. Roma, decr. 5 novembre 2013), e in una causa di affidamento dei figli minori di una coppia tunisina residente in Italia (Trib. Belluno, sent. 23 dicembre 2014) (cfr. anche C. Cass., Sez. Un., Sent. 13 febbraio 2012, n. 1984).
In questo contesto normativo e giurisprudenziale si inserisce la sentenza in commento, la quale ha confermato che

il criterio della residenza abituale va accertato in base a criteri  di tipo fattuale e che per un bambino molto piccolo contano anche indici di radicamento proiettivo quali l’iscrizione all’asilo e al sistema sanitario.

La vicenda prende le mosse dal ricorso proposto davanti al giudice italiano dal padre di una minore che si riproponeva di ottenere l’affidamento congiunto e modificare le condizioni del diritto di visita e del contributo di mantenimento. La bambina era nata in Italia da genitori italiani non coniugati e attualmente viveva in Inghilterra con la madre. il Tribunale che la Corte di Appello dell’Aquila hanno dichiarato il difetto di giurisdizione del tribunale italiano in base al citato art. 8 del Reg. Bruxelles II bis in quanto, come detto, la minore risultava ufficialmente residente con la madre a Londra dove effettivamente viveva, frequentava l’asilo ed era iscritta al medico di base.
Avverso la sentenza della Corte di Appello il padre ha proposto ricorso per cassazione facendo valere che al momento della presentazione del ricorso la minore viveva in Italia con i nonni materni, non era in condizione di espatriare mancando il consenso del padre, e non era mai rimasta più di tre mesi consecutivi a Londra.
Pertanto, il fatto che la minore fosse cittadina italiana, nata in Italia da cittadini italiani, avesse legami familiari in Italia e avesse trascorso la maggior parte della sua vita in Italia, a giudizio del ricorrente avrebbe dovuto superare il dato formale costituito dalle risultanze anagrafiche formali che indicavano l’Inghilterra come il Paese di residenza.
La Corte di Cassazione ha stabilito prima di tutto che il ricorso era ammissibile e non comportava una richiesta di riesame della insindacabile valutazione dei fatti svolta dal giudice di merito, perché è la particolare natura del criterio di giurisdizione che imponeva al giudice, e anche alla Corte di Cassazione “cui spetta la definitiva determinazione della giurisdizione”,  la soluzione di una quaestio facti ai fini della decisione.
Se dunque lo ha ritenuto astrattamente ammissibile, nel merito la Suprema Corte ha però respinto il ricorso, sostenendo, da un lato, che il mancato consenso del padre all’espatrio non incideva sulla residenza abituale e, dall’altro, che la permanenza della minore presso i minori materni al momento della proposizione della domanda poteva “assumere rilievo solo se ancorata a fattori di radicamento effettivi. Al riguardo deve integralmente condividersi la valutazione della Corte d’Appello che ha valorizzato, attesa la tenerissima età della minore e la mancanza di fattori di radicamento esterni ai nuclei familiari materno e paterno, indicatori di natura proiettiva, quali l’iscrizione all’asilo a Londra e l’incardinamento nel sistema sanitario pediatrico inglese della minore, peraltro in coerenza con il regime giuridico relativo alla residenza ad essa applicabile in quanto nata fuori del matrimonio ed in assenza di statuizioni specifiche al riguardo prese consensualmente o giudizialmente. Gli elementi fattuali posti in luce nel motivo di ricorso, consistenti, in particolare nei periodi non brevi trascorsi dalla minore in Italia, presso i nonni, in particolare materni ma anche paterni, sono stati ritenuti fondatamente recessivi rispetto a quelli sopra indicati, in quanto coerenti con l’ampiezza e l’elasticità, riscontrabile in fatto, delle relazioni familiari delle quali fruisce la minore ma non idonei ad incidere sul radicamento della giurisdizione, proprio per la peculiarità della situazione della stessa, dell’età di soli due anni al momento dell’instaurazione del presente giudizio. Non possono che venire in rilievo, di conseguenza la residenza materna a Londra, fondata su precise ragioni professionali e lavorative e la volontà espressa mediante l’iscrizione a scuola della figlia minore e quella relativa all’assistenza pediatrica, di conservare tale residenza per il proprio, attuale, nucleo familiare”.


La Suprema Corte ha quindi confermato l’indirizzo della Corte di Giustizia e della giurisprudenza italiani sopra riportati che impone di valutare la residenza abituale in base ad indici fattuali all’attualità e che per i minori in tenera età vanno tenuti in considerazioni anche gli indici di radicamento di tipo proiettivo, come l’iscrizione all’asilo e l’iscrizione al sistema sanitario.


La sentenza in commento ha infatti concluso che “in mancanza di elementi univocamente contrastanti la pluralità d’indicatori relativi alla residenza abituale a Londra, quali, a titolo esemplificativo, la permanenza dalla nascita e senza sostanziale soluzione di continuità della minore in Italia, non possono ritenersi prevalenti le circostanze di fatto ritenute decisive dalla parte ricorrente”.
E’ interessante osservare che la Cassazione ha affermato che è normale che i figli di coppie non sposate vivano per alcuni periodi in Paesi diversi ma che gli spostamenti temporanei non incidono sul radicamento della giurisdizione; per questo contano gli indici proiettivi che indicano una determinata come quella caratterizzata da maggiore stabilità, e l’effettiva volontà del genitore con il quale il minore convive di mantenere un certo Paese come centro continuativo dello svolgimento della vita sua e del minore.

 

 

 

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