Cosa giudicata e modifica delle condizioni di divorzio

di avv. Barbara Bottecchia

IL CASO. Il Tribunale di Cremona adito da un ex coniuge ai sensi dell’art. 9 l.n. 898/1970 respingeva la domanda di revoca dell’assegno divorzile previsto in favore dell’ex moglie.

La Corte d’appello di Brescia, adita in sede di reclamo, confermava la decisione di primo grado dopo aver appurato che il fatto “attività lavorativa dell’ex moglie” non era un fatto nuovo, perché già esistente (seppur ignorata prima della decisione sul divorzio); pertanto in base alla regola che il giudicato copre il dedotto e il deducibile era circostanza non sopravvenuta e quindi non poteva avere rilievo nel procedimento promosso ex art. 9 l.n. 898/1970.

Ricorreva per Cassazione il reclamante con un unico motivo di ricorso, denunciando la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 9 l.n. 898/1970 e sostenendo che la Corte territoriale avesse errato nel non considerare  fatto nuovo, legittimante il ricorso alla modifica, l’occupazione lavorativa dell’ex moglie che, mendacemente negata, non poteva che costituire un fatto sopravvenuto rispetto agli elementi valutati durante il processo di divorzio, tenuto conto che il giudicato si era formato sulla base di una circostanza dissimulata dalla moglie: l’assenza di mezzi adeguati e l’impossibilità per la stessa di procurarseli.

LA DECISIONE. La Corte, dopo aver preliminarmente ribadito che il collegio intende dare continuità al proprio indirizzo più volte ribadito anche di recente (Cass. 2953/2017) in tema di autorità di giudicato che copre il dedotto e il deducibile ovvero

“ non soltanto le questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione e di eccezione e comunque esplicitamente investite dalla decisione, ma anche le questioni non dedotte in giudizio che costituiscano tuttavia un presupposto logico essenziale e indefettibile della decisione stessa, restando salva e impregiudicata soltanto la sopravvenienza di fatti e situazioni nuove verificatesi dopo la formazione del giudicato”,

respinge il ricorso osservando che:

  • nel caso di specie l’attività lavorativa, anche se non conosciuta, era pacificamente già in essere al momento della sentenza di divorzio; essa attività non può reputarsi fatto nuovo sopravvenuto idoneo a legittimare la revisione dell’assegno ex art. 9 l.n. 898/1970 applicandosi la regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile;
  • l’indirizzo giurisprudenziale in tema di revocazione, che richiede che il dolo processuale consista in attività fraudolenta deliberatamente volta a far apparire una verità diversa dalla realtà, non confligge con il richiamato principio di cosa giudicata, poiché il silenzio su fatti decisivi o la mancata produzione di documenti, non pregiudicando il diritto di difesa, lascia la parte pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti dall’ordinamento per accertare le reali condizioni patrimoniali e reddituali della controparte; non facendolo ne sopporterà le conseguenze;
  • da ultimo la Corte ricorda che nemmeno la diversa interpretazione delle norme applicabili alla revisione dell’assegno divorzile permette di superare il necessario requisito del mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali che attiene agli elementi di fatto.

Allegati

Ok
Questo website usa solamente cookies tecnici per il suo funzionamento. Maggiori dettagli