L’etica della comunicazione: comunicare bene

di avv. Monica Mocellin

 

Comunicare deriva dal latino communis e significa mettere in comune, scambiare nell’interesse comune informazioni, conoscenze, bisogni, atteggiamenti, emozioni e percezioni tra soggetti coinvolti in un determinato contesto spazio-temporale su tematiche di interesse comune.

L’atto comunicativo appartiene all’uomo sin dalla sua stessa esistenza – essendo egli per sua intrinseca natura un comunicatore – ed è sempre stato argomento di interesse per la filosofia come per la psicologia; tuttavia è solo in tempi recenti, attorno agli anni ‘40 del secolo scorso, che l’indagine sui meccanismi che ad esso sottendono sono divenuti oggetto di ricerca scientifica.

Oggi lo studio della comunicazione, e soprattutto della comunicazione etica, si è fatto urgente poiché è cambiata “la nostra posizione all’interno del paradigma comunicativo: ciascuno non è più solo oggetto della comunicazione altrui (tv giornali, radio), bensì soggetto di questa” (Stella, Riva, Scarcelli, Drusian), con la propensione dell’attore sociale a “farsi media” (Boccia Artieri).

Infatti, lo sviluppo esponenziale della comunicazione digitale – che allarga, potenzialmente all’infinito, il numero degli interlocutori senza che vi sia un “controllo di redazione” – consente parole in libertà, che possono generare fake news, sfociare in turpiloqui e in discorsi d’odio (hate speech), contenere termini aggressivi sino alla violenza verbale ed espressioni portatrici di intolleranza.

Sempre più spesso si arriva addirittura al cyberbullismo, che costituisce un vero e proprio attacco all’altro, ma sferrato con la codardia dall’anonimato.

Comunicando l’uomo esprime la propria personalità, la propria scala valoriale, la propria cultura ampiamente intesa e, ancor di più, definisce il proprio “intreccio esistenziale”, la propria essenza, tanto che il filosofo francese Jacques Lacan ha creato il neologismo “parlessere” (“parletre”), frutto della crasi tra le parole parlare ed essere.

È importante comprendere che la comunicazione non è un atto unilaterale, una mera divulgazione, ma prevede un dialogo che presuppone necessariamente l’ascolto dell’altro, un’interazione e un feed back che sfocino in un confronto.

In questo modo, sarà via via possibile perfezionare, precisare e anche talvolta modificare il proprio pensiero, cosicché la comunicazione possa divenire un momento di formazione e di crescita personale.

Lo scambio ottimale avviene, senza dubbio, vis-à-vis poiché si vede l’altro nella sua persona fisica, senza schermi, e si sperimenta istantaneamente l’effetto prodotto dalle proprie parole, dal linguaggio del proprio corpo, dal tono della propria voce o anche dal proprio silenzio. Ciò consente correzioni e chiarimenti più efficaci in quanto la comunicazione, in questo caso, può avvalersi di tutte le componenti individuate da Paul Watzlawick. Membro della scuola di Paloalto, California, quest’ultimo nel 1967 ha pubblicato il libro “Pragmatica della comunicazione umana”, pietra miliare e testo di riferimento per tutti coloro che si occupano di comunicazione, nel quale ha presentato per la prima volta i cinque assiomi della comunicazione e ha sottolineato il ruolo della metacomunicazione.

La comunicazione umana si avvale di tre tipi di linguaggio:

- verbale (parole);

- para-verbale (volume, tono, ritmo della voce);

- non verbale (aspetto, look, espressioni, linguaggio del corpo).

Quanto al peso specifico di ciascuno di essi, è sorprendente il risultato di uno studio condotto da Albert Mehrabian, autore del libro “Nonverbal Communication” del 1972, secondo cui il linguaggio verbale (le parole) determina solo in minima parte, ovvero il 7%, l’incisività del messaggio, quello para-verbale ne determina il 38%, mentre quello non verbale addirittura il 55%.

Appare, quindi, evidente quanto sia importante che la comunicazione scritta – che al giorno d’oggi costituisce attraverso il web, il mezzo più diffuso di comunicazione di massa – sia quanto più precisa e veritiera possibile, e perché ciò avvenga l’autore deve avere chiaro il messaggio che intende veicolare, chi ne è il destinatario e l’obiettivo della propria comunicazione. Deve, inoltre, effettuare una puntuale verifica delle fonti delle sue informazioni e, non ultimo, possedere ed utilizzare un lessico adeguato. Soprattutto deve comunicare eticamente.

Ma cosa si intende per comunicazione etica?

Etica, termine introdotto nel linguaggio filosofico da Aristotele, deriva dal greco èthos, ovvero comportamento. La comunicazione etica è, quindi, un insieme di comportamenti idonei a “comunicare bene”, comportamenti da rispettare per essere virtuosi, soddisfacendo una sempre crescente esigenza di partecipazione responsabile.

L’etica si pone ad un livello superiore rispetto alla mera legalità delle norme deontologiche previste per una determinata categoria di professionisti (ad esempio i giornalisti), in quanto queste ultime sono, per lo più, norme che si limitano a vietare determinate condotte.

L’etica, al contrario, prescrive l’adozione di determinati comportamenti, ovvero presuppone che il soggetto compia un’attività di riflessione sulle motivazioni del proprio agire comunicativo e s’interroghi sui propri valori; essa, dunque, non si rivolge solo agli addetti ai lavori, ma a tutti coloro che sono coinvolti nei processi comunicativi.

Secondo gli studiosi Jurgen Habermans e Otto Apel, teorici del discorso, la comunicazione è etica solo se è argomentativa, se cerca nel destinatario un consenso libero, fondato su argomenti convincenti e ragionati.

Ne sono, dunque, presupposto la predisposizione all’ascolto, il rispetto dell’interlocutore, la salvaguardia della sua dignità e, di conseguenza, l’accettazione della sua opinione, anche se molto lontana dalla propria, acquisita in un confronto democratico.

Nel momento in cui si accoglie e si applica questo assunto, non trovano più spazio parole d’odio o di intolleranza, dunque, “parole ostili”, quelle parole che purtroppo oggi soprattutto i giovani utilizzano con veloce superficialità.

Ora più che mai, quindi, la scuola riveste un ruolo da protagonista poiché i valori contenuti in una comunicazione etica non sono insiti nell’uomo, vanno individuati, codificati e insegnati. È molto importante fornire ai giovani gli strumenti critici per una comunicazione eticamente responsabile che li veda in qualità di agenti morali, in grado di fare o non fare consapevolmente, pronti a respingere semplificazioni e pregiudizi e ad evitare ogni strumentalizzazione dell’altro così come ogni “imperialismo comunicativo”.

Rubando il lessico ad Anna Sarfatti, bisogna promuovere l’uso di “parole piumate” e l’abbandono di “parole appuntite”, poiché se è pur vero che sempre più spesso il luogo d’incontro è virtuale, resta ancora vero che le persone sono reali e le parole possono ferire. Non si deve mai perdere di vista il volto dell’altro. Per dirla con Wittgenstein “le parole sono pallottole che richiedono di essere maneggiate con cura”.

La scuola, quindi, può e, anzi, deve promuovere una vera rivoluzione nel modo di comunicare, in rete come nella vita reale, in primis per la tutela dei ragazzi stessi in quanto prime fragili vittime di un uso inappropriato soprattutto dei mezzi virtuali.

Con questo obiettivo nel 2017, tramite circolare ministeriale, è stato inviato a tutte le scuole italiane il “Manifesto della comunicazione non ostile”, affinché gli insegnanti ne divulghino e spieghino il contenuto.

Al Manifesto, qui in allegato, hanno partecipato più di trecento professionisti, influencer e blogger con competenze trasversali, che vanno dalla comunicazione (pubblicitaria o di impresa) all’insegnamento ed è sato sottoscritto da scuole, università, comuni, biblioteche, enti, istituzioni, aziende.

Si tratta di una carta redatta dall’Associazione Parole O Stili, che viene in aiuto elencando dieci principi utili a migliorare lo stile e il comportamento di chi sta in rete. È un impegno di responsabilità che vuole favorire comportamenti rispettosi e civili affinché la rete sia un luogo accogliente e sicuro per tutti.

Concludendo con la riflessione di Papa Francesco: “La comunicazione è, in definitiva, una conquista più umana che tecnologica”.

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