La mediazione scolastica: la cura dei legami per la soluzione dei conflitti

di avv. Massimo Osler

 

La mediazione viene generalmente definita come un “processo volontario dove una terza persona neutrale aiuta le parti in conflitto a trovare forme alternative per risolvere o comunque affrontare il problema che le vede coinvolte. Tale processo può essere descritto sia con riferimento alle persone e al loro contesto (familiare, sociale, comunitario, scolastico) che alle modalità di conduzione del processo mediativo. Tra i vari modelli, quello relazionale-simbolico parte dall’assunto che ciascuna forma di mediazione – da quella familiare a quella scolastica – deve avere un denominatore comune: la cura dei legami.

Partendo dunque da questa prospettiva, il mediatore guida il processo, in modo da consentire alle parti di accedere al senso del loro rapporto e questa attenzione comporta che la soluzione del conflitto passi attraverso una “rigenerazione dei legami”, accedendo così ad una prospettiva trasformativa la cui dinamica ha la sua stessa radice nella relazione.

Ciò comporta il passaggio da una visione “riparativa” della mediazione (ovvero, strumento per la risoluzione di “quel determinato conflitto) ad una visione “rigenerativa/trasformativa”, che allarga il campo di intervento: la mediazione diventa non solo tecnica di risoluzione dei conflitti, ma anche strumento ampio di cura dei legami sociali e di promozione di relazioni sociali.

Secondo tale impostazione, il conflitto diviene strumento di riaffermazione dei legami sociali e dei suoi meccanismi comunicativi, in quanto la “lite attiva” presuppone sempre un mondo di legami e di relazioni. Se è vero che il conflitto è un evento ineludibile nei rapporti umani, la riflessione e la ricerca psicologica e sociale hanno posto in luce come non è nel conflitto che si insidia il pericolo, ma nelle modalità inadeguate per riconoscerlo e gestirlo.

Tale processo, come anzidetto, può essere attivato anche nei contesti comunitari, come la scuola, ove i bambini e i ragazzi sviluppano le loro capacità relazionali e sperimentano la socialità. La cultura della mediazione propone infatti nuovi strumenti per la gestione positiva dei conflitti, nei diversi ambiti della vita degli adolescenti.

Attraverso la diffusione della cultura della mediazione, è quindi possibile prevenire, contenere e gestire il propagarsi degli effetti negativi dei conflitti, trasformandoli in risorse per la relazione, grazie alla mediazione.

Come osservato dal Garante per l’infanzia e l’adolescenza, saper comunicare efficacemente, saper vivere il conflitto come risorsa, costituisce un valore aggiunto nelle relazioni tra pari e nei rapporti intergenerazionali ed è un obiettivo imprescindibile da realizzare per chi vive nella complessa società attuale.

La mediazione può, dunque, divenire uno strumento utilizzabile all’interno della comunità scolastica per la risoluzione dei conflitti tra adulti e studenti o tra pari; in quest’ultimo caso, anche attraverso la formazione di alunni che assumono direttamente il ruolo di mediatori rispetto ai conflitti insorti tra i loro compagni. In tale ipotesi, si parla di peer mediation (mediazione scolastica fra pari), ovvero di uno strumento finalizzato a supportare la gestione della conflittualità a scuola, sfidando la capacità degli alunni di prendersi cura dei loro conflitti, per trasformarli in occasione di apprendimento relazionale, emotivo e cognitivo.

La scuola rappresenta un ambiente privilegiato per insegnare a gestire i conflitti in quanto fin da bambini in questo contesto si possono sperimentare gli altri come modelli con i quali confrontarsi in relazione alle proprie capacità e al modo di stare insieme; per il funzionamento di tale modalità di intervento è necessario che le parti in conflitto abbiano la possibilità di parlare di sé, dei loro bisogni, dei desideri e delle paure che li hanno portati a litigare ed è altresì indispensabile favorire l’acquisizione di competenze nuove.

Con la mediazione, infatti, si acquisiscono competenze relazionali, come quella di attivarsi per cercare soluzioni che vedano soddisfatti noi e gli altri, a differenza dello schema tradizionale che vede la risoluzione del conflitto nella individuazione di “chi ha ragione” rispetto a “chi ha torto”; in particolare, la mediazione scolastica diventa, quindi, esperienza per una gestione nuova del conflitto, che, pur rappresentando un processo doloroso, viene riconosciuto come un evento “normale” in un qualsiasi sistema di interazione e, quindi, di per se stesso, né buono né cattivo, i cui effetti possono essere addirittura costruttivi, se favorisce l’emersione di nuove soluzioni e nuovi modelli di riferimento.

Quindi, tali percorsi consentono di fare esperienza e di far vedere che, per superare i conflitti interpersonali, ci sono dei modi diversi dall’aggressività, dalla forza o dal far finta di niente o dal rifuggirli.

Le competenze necessarie per affrontare il processo mediativo si scoprono e si allenano a scuola, ad esempio attraverso l’uso dello strumento laboratoriale, che abbia come finalità esplicita la costruzione della definizione del conflitto e dei suoi stili, in termini di combinazione di assertività e cooperazione. Invero, lo stile competitivo prevede massima assertività ma scarsa collaborazione; al contrario, lo stile conciliativo è caratterizzato dalla massima collaborazione, ma da poca assertività; lo stile evitante è proprio di chi non si rivela né assertivo, né cooperativo, perché tende alla non definizione di sé. Qual quindi l’atteggiamento ottimale per predisporsi al percorso mediativo? È lo stile collaborativo: che non deve essere confuso con una soluzione di compromesso in cui, in realtà, nessuno dei partecipanti integra con l’altro il proprio punto di vista, né mette in campo alcuna forma di cooperazione.

L’attività laboratoriale, che promuove la motivazione, l’interesse e la curiosità dei partecipanti al punto da farli sentire attori-protagonisti e non semplici fruitori, può rappresentare uno spazio utile per procedere al riconoscimento delle emozioni e dei vari stili del conflitto, esercitandosi a “mettersi nei panni dell’altro”, cioè a condividere l’altrui stato emotivo. In questo senso, essa costituisce un’occasione di crescita e di “educazione” alle relazioni sociali che trova nella scuola il terreno più fertile per il suo sviluppo.

Allo stesso modo, si sperimenta l’assertività - ovvero la capacità di influenzare ed indirizzare l’altro -  che insegna ad evitare comportamenti conciliatori di tipo passivo e, contemporaneamente, costituisce un modo efficace, ma non aggressivo di portare avanti le proprie istanze nel negoziato con l’altro.

Infine, anche l’atteggiamento collaborativo, che è una fondamentale competenza mediativa, si può allenare a scuola, consentendo ai ragazzi di esprimere tale disposizione interpersonale, che richiede di mettere in atto una serie di competenze comunicative, di anticipazione sulle azioni comuni, di strategie negoziali per raggiungere un certo risultato, per dare avvio o portare a compimento un progetto di gruppo, a cui si aggiunge una valenza affettiva e morale dell’agire “tenendo conto” degli altri. Attraverso l’apprendimento della cooperazione, infatti, si sviluppano anche le relazioni amicali, così come si sperimentano le prime difficoltà interpersonali e il modo di superare i dispiaceri che la vita di relazione produce a livello personale.

Nelle attività di gioco, si sperimenta anche un’altra fondamentale competenza: la capacità di ascolto attivo, che si traduce in una serie di atteggiamenti, tra i quali il passaggio da una posizione del tipo “giusto/sbagliato”, “io ho ragione-tu hai torto”, “amico/nemico” a un altro in cui si assume che l’interlocutore è intelligente e che, dunque, ci sarà da comprendere come mai comportamenti e azioni che ci sembrano irragionevoli sono per lui totalmente ragionevoli e razionali.

Attraverso esperienze apparentemente solo ludiche o attraverso esempi di conflitto tratti da situazioni della vita reale, si stimola la motivazione ad approfondire la conoscenza di alcuni strumenti utili alla comprensione e al superamento del conflitto, considerando che praticare l’integrazione fra aspetti emotivi e cognitivi permette ad alcune esperienze di essere codificate in modo più duraturo, proprio perché accompagnate da una attivazione emotiva.

Quanto alle tecniche, agli strumenti da utilizzare in classe e alla metodologia didattica di conduzione del lavoro, andranno preferite quelle modalità di conduzione caratterizzate da una partecipazione attiva del gruppo, spesso suddiviso in sottogruppi, attraverso simulazioni, giochi di ruolo, role-play e momenti di discussione, organizzati con la metodologia del circle time, che rappresenta un momento di parità, dove tutti possono vedersi in faccia ed esprimere le proprie opinioni e emozioni liberamente. Ma occorre anche tener conto della dimensione corporea, che insieme a tutti gli altri aspetti della comunicazione non verbale, lascia tracce di una certa rilevanza.

 

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