Il ruolo degli studenti nella costruzione di una società giusta e democratica. Dall’educazione civica all’educazione alla cittadinanza

di avv. Rebecca Gelli

 

Dal punto di vista etimologico, il termine “educazione civica” – coniato, per la prima volta, da Aldo Moro, Ministro della Pubblica istruzione all’epoca in cui introdusse l’obbligatorietà di tale insegnamento – racchiude al suo interno, una doppia anima.

Da una parte, il binomio fa riferimento all’azione di educare, cioè di svolgere un’attività che ha come fine quello di sviluppare facoltà e attitudini, affinando la sensibilità, correggendo il comportamento, trasmettendo elementi culturali, estetici, morali; dall’altra, definisce l’obiettivo di tale attività educativa: cioè la formazione del cittadino.

Ogni sistema pedagogico, in quanto proiezione di una struttura sociale, si propone ovviamente di veicolare agli adulti del futuro un certo sistema valoriale e/o di criteri di comportamento. L’educazione civica, pertanto, non è una prerogativa esclusiva degli Stati democratici: nei regimi autoritari o totalitari, il controllo politico si esercita anche nelle scuole, attraverso l’imposizione educativa di specifici comportamenti etico-sociali coerenti e funzionali agli obiettivi del potere pubblico.

Può sembrare una provocazione, ma persino l’Opera nazionale Balilla per l’assistenza e per l’educazione fisica e morale della gioventù era una “scuola di coraggio fisico e patriottismo” che, come ipotizzato qualche anno prima da Filippo Tommasi Marinetti, nel suo programma futurista, in fin dei conti, svolgeva, secondo la morale nazionalistica del ventennio, una pretesa funzione educativa.

L’educazione civica, dunque, è una materia quantomai duttile e in divenire, nel senso che risente ampiamente dei cambi di orientamento e dell’evoluzione della coscienza sociale. In pratica, è una sorta di recipiente vuoto, all’interno del quale possono essere riversati diversi contenuti, a seconda di quali siano i valori di riferimento e le regole del vivere civile considerati, di volta in volta, più convenienti, all’interno di una determinata comunità.

Nell’odierna società, democratica e pluralista, l’insegnamento dell’educazione civica, come lo intendiamo oggi, vanta però una tradizione che, mossa dall’impulso di democratizzare la scuola (proprio dopo la liberazione dal regime nazifascista), affonda le sue radici sin dagli albori della Repubblica italiana, e trova il suo massimo punto di espressione nei principi fondamentali della Costituzione.

I primi passi in questa direzione risalgono agli anni Cinquanta, sotto l’egida di un Governo espressione della Democrazia cristiana: prima con Giuseppe Ermini, poi con Aldo Moro alla Pubblica istruzione.

Sono i cd. “Programmi dell’attivismo cattolico” che, con il d.P.R. n. 503/1955, attribuiscono all’insegnante delle scuole elementari una funzione di “educazione morale e civile”, intimamente connessa all’“educazione religiosa” e all’“educazione fisica” (nel senso di fair play).

Sulla scia di tale indirizzo, nasce l’insegnamento obbligatorio di quella che verrà definitivamente battezzata come “educazione civica” dal d.P.R. n. 585/1958, dove si prevede che i programmi di storia, in vigore negli istituti di istruzione secondaria e artistica, siano integrati con lo studio di tale materia.

L’obiettivo è quello di promuovere la formazione integrale della personalità dell’alunno, attraverso lo stimolo al dialogo e al confronto sugli episodi di vita quotidiana e di convivenza scolastica, oltre che su argomenti di attualità, anche attraverso un metodo di lavoro di gruppo, in una maieutica che stimoli le riflessioni e gli impulsi morali degli alunni, senza cadere nella retorica moralistica delle ammonizioni, dei divieti e delle censure. 

L’idea di fondo è che la scuola debba porsi come baluardo dei valori spirituali da trasmettere alle future generazioni, in modo che siano non solo preparate a una carriera, ma anche proiettate alla vita sociale, giuridica, politica, mediante l’adesione ai principi che reggono la collettività, con espresso riferimento alla Costituzione.

L’insegnamento, inserito nel programma di studi obbligatorio per oltre trent’anni, fu, tuttavia soppresso, in una logica di taglio di spesa, dalla stessa Democrazia Cristiana al Governo, a partire dall’anno scolastico 1990-1991, perché considerato, in parte, superato, in una società ormai evoluta, in parte, ridondante, rispetto ad altre discipline affini.

Non sono però mancati timidi tentativi di reintroduzione, in epoche più recenti.

Il d.m. n. 58/1996, ribadiva che gli obiettivi dell’educazione civica devono essere perseguiti, da un lato, in tutti i momenti dell’attività didattica ed extracurriculare, dall’altra, nell’ambito dell’insegnamento specifico affidato all’insegnante di storia: esso è, tuttavia, rimasto “lettera morta” del diritto, in mancanza, a quanto consta, dei relativi decreti attuativi. 

Il d.l. n. 137/2008, convertito in l.n. 169/2008, ha, invece, attivato azioni di sensibilizzazione e formazione del personale, finalizzate all’acquisizione delle competenze relative al nuovo curriculo “Cittadinanza e Costituzione”: con tutti i limiti – delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili – derivanti dalla clausola di invarianza degli oneri, a carico dell’erario.

Negli anni successivi, l’importanza dell’“educazione civica”, apparentemente sottovalutata in Italia, è stata, invece, sottolineata soprattutto dall’Europa che, in più occasioni, ha caldeggiato l’insegnamento della cosiddetta “educazione alla cittadinanza”.

Tale ridenominazione della disciplina è frutto di una scelta lessicale che, ad avviso di chi scrive, evidenzia una vera e propria rivoluzione concettuale. Dal punto di vista letterale, infatti, si passa dall’educazione “di qualcuno” (il “civis”) all’educazione “a qualcosa” (la “civitas”): il punto, quindi, non è più “chi” viene educato, ma “che cosa” viene insegnato. L’educazione civica smette, pertanto, di essere un contenitore completamente vuoto e acquisisce un contenuto minimo, modellato in funzione di un obiettivo pedagogico preciso: quello di costruire un cittadino protagonista e consapevole.

Nel 2010, il Comitato dei Ministri dell’Unione europea, nella seduta dell’11 maggio 2010, ha, dunque, adottato la Carta del Consiglio d’Europa sull’educazione per la cittadinanza democratica e l’educazione ai diritti umani che pone, tra gli obiettivi e i principi che gli Stati membri devono perseguire, nel modellare le loro politiche, legislazioni e pratiche, anche lo svolgimento di un’attività formativa che, attraverso il sistema di istruzione scolastica o altri canali educativi, miri a fornire ogni persona, nel territorio nazionale, di conoscenze, abilità e competenze tali da renderle capaci di difendere i propri diritti, di esercitare le proprie responsabilità democratiche, giocando un ruolo attivo nella società, e di contribuire alla costruzione di una cultura universale dei diritti e delle libertà fondamentali. 

In risposta agli attentati terroristici in Francia e Danimarca, al fine di prevenire la recrudescenza di fenomeni di estremismo, i Ministri dell’Istruzione dei vari Stati e la Commissione europea hanno, inoltre, firmato la Dichiarazione di Parigi del 17 marzo 2015 che invita ad agire, a tutti i livelli di governo globale e locale, per favorire una cultura dell’apprendimento democratica ed inclusiva, capace di sostenere l’istruzione dei bambini e dei giovani svantaggiati e di promuovere i valori comuni di libertà, tolleranza e non discriminazione su cui si fonda l’Unione, combattendo le forme di xenofobia, radicalizzazione, indottrinamento e nazionalismo e rafforzando il dialogo interculturale, la coesione sociale, l’alfabetizzazione mediatica e il senso di identità e appartenenza a livello europeo.

Si riaffermano così i principi stabiliti nel Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”.

Nel Rapporto Eurydice su “L’educazione alla cittadinanza, realizzato col patrocinio della Commissione europea e pubblicato nell’ottobre 2017, si evidenzia che problemi socio-economici, violenza e mancanza di fiducia nei processi democratici sono tra le minacce più gravi ai principi di pace, democrazia, libertà e tolleranza.

Partendo dal presupposto che l’educazione alla cittadinanza è un concetto fluido, perché il modo di intenderla e le sue finalità variano, nello spazio e nel tempo, tale documento propone una definizione moderna del concetto, affermando che: “L’educazione alla cittadinanza è una materia che mira a promuovere la convivenza armoniosa e a favorire lo sviluppo mutualmente proficuo delle persone e delle comunità in cui queste stesse vivono. Nelle società democratiche, essa aiuta gli studenti a diventare cittadini attivi, informati e responsabili, desiderosi e capaci di assumersi responsabilità per loro stessi e le loro comunità a livello nazionale, europeo e internazionale”. Gli obiettivi di apprendimento spaziano, dunque, dallo sviluppo delle abilità connesse al pensiero critico e all’interazione efficace e costruttiva con gli altri, all’attitudine ad agire democraticamente e in modo socialmente responsabile.    

Negli ultimi anni, i moniti dell’Unione europea sono stati raccolti anche in Italia, sulla scia di un allarme sociale per il crescente fenomeno del bullismo e l’emergente problema del cyber-bullismo, con esponenziale aumento dei rischi per la salute dei bambini e degli adolescenti, in ragione dell’intrinseca pericolosità del web.

Nel nostro ordinamento, l’attuale stato della legislazione è, dunque, rappresentato dalla l.n. 92/2019 che, insieme alle relative linee guida, adottate dal Ministro dell’Istruzione il 20 giugno 2020, ha interamente riformato la materia, tracciando una nuova disciplina organica.

Scorrendo tale atto normativo, vediamo che gli articoli da 1 a 5 disciplinano i lineamenti essenziali, le modalità e gli obiettivi di apprendimento; gli articoli da 6 a 13 contengono, invece, la disciplina su aspetti di dettaglio, che poi saranno oggetto di specifica regolamentazione nei decreti attuativi: quali la formazione dei docenti, le interazioni tra scuola e territorio, l’istituzione di un albo telematico delle buone pratiche di educazione civica, i rapporti di collaborazione e il patto di corresponsabilità con le famiglie, nonché le norme attuative e la clausola di invarianza finanziaria.

L’articolo 1, in particolare, fissa i principi dell’insegnamento, stabilendo che l’educazione   civica   contribuisce   a   formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri. In particolare, l’educazione civica sviluppa nelle istituzioni scolastiche la conoscenza della Costituzione   italiana   e   delle   istituzioni dell’Unione europea, per sostanziare la condivisione e la promozione dei principi di legalità, cittadinanza attiva e digitale, sostenibilità ambientale e diritto alla salute e al benessere della persona.

L’articolo 2 dispone che, sin dalla scuola dell’infanzia, siano avviate iniziative di sensibilizzazione alla cittadinanza responsabile, mentre, nei successivi cicli di istruzione, deve essere inserito un ciclo di minimo di trentatré ore di educazione civica, per ciascun anno di corso: nelle scuole primarie, la materia è trasversale e affidata ai docenti in contitolarità, mentre, nelle scuole secondarie, l’insegnamento è assegnato preferibilmente ai docenti di discipline giuridiche, se disponibili, senza che, dall’attuazione della norma, possano, comunque, derivare incrementi dell’organico o del monte orario obbligatorio.

L’articolo 3 definisce gli obiettivi dell’apprendimento, con particolare riguardo alle seguenti aree tematiche: a) Costituzione, istituzioni dello Stato  italiano, dell’Unione europea e degli organismi internazionali; b)  Agenda   2030   per   lo   sviluppo   sostenibile,   adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015; c) educazione alla cittadinanza digitale;  d) elementi fondamentali di diritto, con particolare riguardo  al diritto del lavoro; e) educazione ambientale, sviluppo eco-sostenibile e  tutela  del patrimonio ambientale, delle  identità,  delle  produzioni  e  delle eccellenze territoriali e agroalimentari; f) educazione alla legalità e al contrasto delle mafie; g) educazione al rispetto e alla  valorizzazione  del  patrimonio culturale e dei beni pubblici comuni; h) formazione di base in materia di protezione civile. Nell’ambito dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica sono altresì promosse l’educazione stradale, l’educazione alla salute e al benessere, l’educazione al volontariato e alla cittadinanza attiva. Tutte le azioni sono finalizzate ad alimentare e rafforzare il rispetto nei confronti delle persone, degli animali e della natura.

L’articolo 4 precisa che, a fondamento dell’insegnamento dell'educazione civica, è posta la conoscenza della Costituzione e degli Statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria e speciale, allo scopo di sviluppare competenze ispirate ai valori di responsabilità, legalità, partecipazione e solidarietà.

L’articolo 5 disciplina l’educazione alla cittadinanza digitale, ponendo l’accendo sull’obiettivo di affiancare gli alunni, perché sviluppino le capacità di valutare criticamente la credibilità e l’affidabilità delle fonti digitali e imparino a creare e gestire l’identità digitale, proteggendo e rispettando la propria e l’altrui riservatezza e reputazione, nonché ad interagire attraverso le tecnologie, in maniera, di volta in volta, appropriata al contesto, evitando rischi per il proprio benessere psicofisico e minacce all'inclusione sociale, con particolare attenzione al bullismo e al cyberbullismo.

Cambiamenti climatici, transizione digitale, divari sociali e territoriali sono, dunque, gli argomenti che, anche in base alla recente Risoluzione del Parlamento europeo del 6 aprile 2022, sull’attuazione delle misure di educazione civica, sono posti al centro della riflessione degli Stati membri, in ragione delle rispettive ripercussioni su scala locale e globale.

Pertanto, il perno dell’educazione alla cittadinanza continua ad essere rappresentato dalla Costituzione italiana, in quanto riconosciuta non solo come norma cardine del nostro ordinamento, ma anche come criterio per identificare diritti, doveri, compiti, comportamenti personali e istituzionali, finalizzati a promuovere il pieno sviluppo della persona e la partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese: “La Carta è in sostanza un codice chiaro e organico di valenza culturale e pedagogica, capace di accogliere e dare senso e orientamento in particolare alle persone che vivono nella scuola e alle discipline e alle attività che vi si svolgono”.

La Costituzione italiana, tuttavia, oggi non costituisce l’unico riferimento normativo: l’esigenza di rafforzare la consapevolezza di una cittadinanza europea, in considerazione dell’appartenenza dell’Italia all’Unione, mette, infatti, al centro della disciplina anche lo studio della Carta di Nizza che consacra i valori comuni tra gli Stati membri, tracciando i lineamenti di una Costituzione, a livello sovranazionale e comunitario.

Fermo il nucleo essenziale costituito dallo studio delle norme di rango costituzionale, l’attuale nozione di educazione civica ha, dunque, definitivamente perso ogni connotato confessionale e nazionalista, assumendo una connotazione laica ed europeista, ancorata alle preoccupazioni e alle sfide dell’era contemporanea, piuttosto che ai pericoli dell’autoritarismo e del totalitarismo, con una particolare sensibilità, rispetto alle nuove frontiere dell’“educazione ambientale” e dell’“educazione digitale”.

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