Bullismo e Cyberbullismo: la responsabilità degli insegnanti

di avv. Mariangela Semenzato

 

La psicologia clinica e quella forense segnalano che le vittime di fatti sussunti nell’ampia (e a-tecnica, sul piano giuridico) definizione di “bullismo” riportino conseguenze anche molto gravi, in termini di danno biologico sia fisico che psicologico. Si riscontrano, oltre a lesioni personali di varia natura, isolamento, disturbi del sonno, sintomi depressivi, agiti di autolesionismo di intensità anche elevata fino al suicidio, tentato o consumato, della vittima.

Ciò comporta la massima valorizzazione di tutte le norme che istituiscono posizioni di garanzia e di responsabilità in capo ai soggetti con compiti di educazione, formazione e sorveglianza, al fine di prevenire o di interrompere sul nascere comportamenti lesivi che possono sfociare in vere e proprie tragedie.

È chiaro, pertanto, che anche gli educatori e gli insegnanti siano considerati soggetti primari della prevenzione e dell’individuazione delle condotte lesive, in quanto destinatari di un essenziale obbligo di sorveglianza, a presidio della sicurezza e dell’incolumità degli studenti – non soltanto minorenni – loro affidati per molte ore nel corso della giornata.

Ciò sia in ambito scolastico che nel contesto di attività sportive, del catechismo, di attività di dopo scuola variamente organizzate, etc.

Le posizioni di responsabilità vanno esaminate distinguendo la figura dell’insegnante o del personale scolastico da quella di altro tipo educatori, in ragione del fatto che, ai fini della normativa penale, il dirigente e insegnanti rivestono la funzione di pubblici ufficiali, mentre il personale scolastico rientra tra i c.d. incaricati di pubblico servizio.

Entrambe le posizioni rilevano con riferimento al dettato dell’art. 331 c.p.p. (denuncia da parte di pubblici ufficiale e incaricati di pubblico servizio) e dei connessi artt. 361 c.p. (omessa denuncia da parte del pubblico ufficiale) e 362 c.p. (omessa denuncia da parte di incaricato di pubblico servizio).

Nelle rispettive funzioni, dirigente, docenti e personale scolastico, ex art. 331 c.p.p., hanno obbligo di riferire all’Autorità Giudiziaria, o ad altra autorità che alla stessa debba riportarsi, i reati procedibili d’ufficio dei quali apprendano nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio. Le modalità e i tempi della denuncia si desumono dalle norme stesse.

Il destinatario dell’obbligo deve essere a conoscenza delle caratteristiche principali del fatto, laddove la sussistenza di un mero sospetto non comporta l’insorgenza dell’obbligo. L’eventuale esistenza di una causa di non punibilità o di estinzione del reato non esenta dal denunciare e quindi non ha valore scriminante l’omessa denuncia.

I predetti artt. 361 e 362 c.p. sanzionano sia l’omissione che il ritardo: non essendo previsto un termine, il ritardo si configura ogniqualvolta la dilazione incida negativamente sulla tempestiva persecuzione dell’illecito.

Fondamentale la distinzione, più volte ribadita dalla giurisprudenza in tema di omessa denuncia, tra l’illecito in parola e il concorso omissivo, ex art. 40, cpv., c.p., nel reato di cui il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio vengano a conoscenza: concorso omissivo sicuramente configurabile anche in capo alle figure interne al contesto scolastico, nel caso in cui assistano direttamente all’illecito e omettano non solo di denunciare, ma anche di intervenire per scongiurarne esecuzione e/o conseguenze.

L’obbligo si assolve con una comunicazione scritta alla Procura della Repubblica o ad altra autorità che alla medesima debba riferire: normalmente, gli organi di polizia giudiziaria. Nella prassi, non rare sono, per mancanza di sufficiente formazione sul tema, segnalazioni della scuola agli assistenti sociali, ma ovviamente non possono considerarsi sufficienti ad evadere l’obbligo di cui all’art. 331 c.p.p.

Posto che l’obbligo si fonda sulla procedibilità d’ufficio del reato e/o dei reati in questione, è facile immaginare che un operatore scolastico possa avere qualche difficoltà a capire se sussista il tipo di procedibilità presupposta all’obbligo di denunciare, non disponendo necessariamente delle competenze atte a distinguere tra varie tipologie di illecito penale. Tenendo presente che le fattispecie concrete spesso sono complesse e vedono integrati più reati, è sempre consigliabile dar seguito alla denuncia, lasciando all’Autorità competente stabilire se vi siano i presupposti per procedere e come.

A prescindere dalla sussistenza dell’obbligo, inoltre, ai fini dell’emersione del fenomeno, la segnalazione è comunque opportuna, potendo contribuire all’effettuazione di indagini di iniziativa, all’acquisizione della querela o alla richiesta di un ammonimento da parte degli aventi diritto, all’emissione di una misura di prevenzione, etc.  Inoltre, a prescindere dall’obbligo di denuncia, rimane il problema della responsabilità risarcitoria per omessa sorveglianza, che potrebbe ritenersi anche in assenza di un obbligo di riferire alla A.G. (per esempio per reati procedibili a querela).

La posizione degli educatori diversi da dirigente, insegnanti e personale scolastico diverge (salvo il caso di particolare inquadramento che comporti l’assunzione della qualifica di P.U. o incaricato di P.S.), perché non interessati dall’obbligo codicistico di denuncia sin qui esaminato e quindi non imputabili dei reati di cui agli artt. 361 e 362 c.p.. Tuttavia, anche in tali ipotesi, quando vi sia certezza in ordine al verificarsi di un reato (anche procedibile a querela) è sicuramente opportuno un confronto con un organo di P.G., atteso che, in ogni caso, rimangono le ipotesi di concorso omissivo ex art. 40 c.p. sopra cennato (ovviamente, sussistendone i presupposti) e di responsabilità civile ex art. 2048 c.c., ampiamente confermata in numerosissime pronunce sul tema.

Poiché le condotte astrattamente considerate nella discussione circa il bullismo rientrano nel più ampio fenomeno dell’aumento dell’aggressività e dei comportamenti connessi all’incapacità di gestirla, in taluni casi, possono essere espressione di fattispecie ben più gravi delle più “semplici” problematiche legate all’ambiente scolastico.

Ci si riferisce, nello specifico, al fenomeno delle baby-gang, tristemente diffuso ed in aumento, che non di rado esprime i propri effetti anche all’interno delle scuole o nelle immediate vicinanze.

La valenza della denuncia da parte degli educatori, in questi casi, è anche superiore, atteso che  può consentire, nei casi di maggiore gravità, l’adozione della misura di prevenzione di cui agli artt. 13 e 13 bis del d.l. n. 14/2017, il divieto di accesso a specifiche aree urbane (c.d. “DASPO WILLY“) adottabile, tra gli altri casi, nei confronti di soggetti denunciati, negli ultimi tre anni, per delitti non colposi contro la persona o il patrimonio ovvero aggravati ai sensi dell’art. 604 ter c.p., qualora dalla condotta possa derivare un pericolo per la sicurezza(art. 13 bis, comma 1, d.l. n. 4 /2017).

Si tratta di una misura di prevenzione applicabile anche nei confronti del minore che abbia compiuto i quattordici anni (art. 13 bis, comma 3, cit.), che può cumularsi a prescrizioni di varia natura, ad esempio, l’obbligo di presentazione alla P.G. anche più volte al giorno, subito prima dell’ingresso a scuola e subito dopo l’uscita, in modo da evitare la permanenza nei dintorni dell’istituto o in altre zone.

La misura viene notificata anche ai genitori e la violazione del divieto e/o delle prescrizioni è punita con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da 8.000 a 20.000 euro.

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Si ringrazia il dott. Giampaolo Palmieri, primo dirigente della Divisione Anticrimine della Questura di Venezia, per la collaborazione e i chiarimenti in materia di misure di prevenzione personali. 

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