La PAS sotto la lente del giudice civile: nulla è come sembra, ma urge una terapia

19 LUGLIO 2021 | Numero speciale PAS

Gaudenzia Brunello, Presidente APF, Avvocato del Foro di Treviso

È sotto gli occhi di tutti che la famiglia, dal punto di vista sociale e giuridico ha subito nel corso degli ultimi cinquant’anni una trasformazione radicale. Il diritto a separarsi, anche in assenza di colpe dell’altro, quello di divorziare e di interrompere la gravidanza, hanno scosso vigorosamente le fondamenta della famiglia intesa come istituzione fondata sul matrimonio e titolare di interessi sovraordinati a quelli dei singoli.

Questa famiglia è inesorabilmente evaporata e ha lasciato spazio a tanti diversi modelli di famiglia, tutti funzionali alla realizzazione delle aspirazioni dei propri componenti o parafrasando l’art. 2 Cost. allo “svolgimento” della loro personalità.
Vi è stato così uno spostamento del focus dai “diritti della famiglia” ai “diritti dei familiari”.
Lo smottamento della famiglia-istituzione è stato, però, accompagnata una progressiva valorizzazione del minore, ora considerato sia dal legislatore sovranazionale che da quello interno e dalla nostra giurisprudenza “non più soggetto, incapace mero destinatario di protezione ma individuo titolare di diritti soggettivi che l’ordinamento deve non solo riconoscere ma anche garantire e promuovere in via prioritaria” (art.3, comma due, Cost.).
Ne consegue che i “diritti dei familiari” non sono più sottordinati a quelli della famiglia, ma neppure equivalenti tra loro: quelli degli adulti sono diventati infatti sottordinati a quello dei minorii.

La necessità di riconoscere la “supremazia dei diritti dei minori” viene ricondotta soprattutto all’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite del 1989, che impone agli Stati di orientare le proprie scelte legislative al perseguimento del miglior interesse del minore e al giudice di utilizzare la stessa bussola nella valutazione delle fattispecie concrete sottoposte al suo esame.

Naturalmente alle enunciazioni non sempre corrispondono i fattiii, ma un’attenzione crescente ai diritti dei minori è innegabile e alla necessità di tutela del loro prevalente interesse si ispirano sia la l. n. 54/2006, che ha dettato come regola generale, per le coppie di genitori separati, l’affidamento condiviso dei figli; sia la l. n. 154/2013, che ha ribadito, con l’introduzione dell’art 337 bis c.c. il diritto alla bigenitorialità e ha sostituito la “potestà genitoriale” con la “responsabilità genitoriale” (a sottolineare che ai genitori è richiesto non di imporre la propria autorità, ma di accompagnare il figlio durante la crescita nel rispetto delle sue capacità, aspirazioni e inclinazioni, come prescrive l’art. 148 cc).

Risulta dunque in stridente contrasto con l’ordinamento il comportamento di un genitore che pretenda di risolvere il conflitto con l’altro attraverso un’alleanza invischiante col figlio, tale da manipolarlo, al punto che questi quasi si identifichi col genitore preferito, provi lo stesso rancore e la stessa rabbia e quindi rifiuti qualsiasi relazione con l’altro genitore che sente come incapace di svolgere funzioni genitoriali, non degno né di stima, né di rispetto.
Potrebbe dunque essere una scelta corretta in queste situazioni privare il genitore alienante dell’affidamento, riconoscendo come affidatario esclusivo il genitore alienato?
La risposta affermativa sembrerebbe dover essere scontata.
Del resto, già nel regime previgente la l. n. 54/2006, quando cioè la regola era l’affidamento monogenitoriale la giurisprudenza spesso dichiarava di preferire come genitore affidatario quello che garantiva “l’accesso all’altro genitore”.

Ora all’affido condiviso si può derogare, secondo la previsione dell’art 337 quater c.c., “solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore” (Cass. n. 17137/2017)iii
E sul presupposto che la condotta osteggiante il diritto alla bigenitorialità sia pregiudizievole perché idonea a compromettere l’equilibrio psicofisico dei figli, la giurisprudenza di merito ha spesso disposto l’affido esclusivo o addirittura “superesclusivo” al genitore alienatoiv.
In realtà ’affidamento esclusivo” o “superesclusivo” difficilmente può costituire un rimedio efficace rispetto a comportamenti osteggianti, visto che il primo non esclude il genitore alienante dalle decisioni di maggior interesse per i figli e che in entrambi i casi rimane impregiudicato il diritto dei figli alla bigenitorialità, cioè alla conservazione di un rapporto continuativo con i genitori, a prescindere dal tipo di affidamento dispostov.

Affidamento, collocamento e frequentazione dei figli costituiscono dunque aspetti diversi ed, entro certi limiti, autonomi della relazione genitori-figli e il giudice non può sottrarsi a regolamentare ciascuno di essi.
Se si limitasse a prevedere un affidamento esclusivo o super esclusivo del figlio al genitore alienante, la sua decisione non risulterebbe certo orientata all’interesse del minore, ma assumerebbe di fatto un carattere sanzionatorio che l’ordinamento non ammette, ritenendo che la compressione della relazione tra genitori e figli si giustifichi solo in funzione della tutela degli interessi del minore (tanto che Corte Cost. n. 102/2020 ha dichiarato incostituzionale 574 bis c.p. nella parte in cui prevedeva come automatica pena accessoria la sospensione della responsabilità genitoriale).
Il provvedimento del giudice per tentare di superare gli ostacoli frapposti da un genitore alla relazione del figlio con l’altro deve, dunque, occuparsi specificamente anche del collocamento e dei tempi e modi di frequentazione.
È quel che ha fatto ad esempio la Corte d’appello di Napoli, disponendo il collocamento di una bimba presso una zia e che la madre alienante potesse relazionarsi con la figlia solo in occasione di “incontri protetti”. La decisione è stata impugnata dalla madre, ma il ricorso è stato dichiarato inammissibile (Cass 21215/2017)vi .
D’altra parte, anche forzare il collocamento del figlio presso il genitore alienato può risultare contrario all’interesse del minore: soprattutto se non è più proprio bambino, rischia di avvertire come lesiva della sua dignità l’imposizione di una relazione che egli non desidera.

La Suprema Corte (Cass. civ. n. 11170/2019)vii ha respinto proprio per questo motivo il ricorso di un padre, aderendo all’ l'orientamento espresso dal Tribunale e dalla Corte di appello di Roma che avevano ritenuto il rapporto affettivo “per sua natura incoercibile” e avevano disposto il collocamento della figlia presso la madre, incaricando i Servizi sociali di monitorare la situazione affinché fosse favorita “la naturale ripresa del rapporto tra padre e figlia”.

Né in linea generale può essere considerato un rimedio lo strumento dell’affidamento ai Servizi sociali, a cui spesso i Tribunali ricorrono un provvedimento di affidamento ai Servizi, di fatto limitativo della responsabilità genitoriale, risulterebbe di certo mortificante per il genitore alienato, che sentirebbe confermato il giudizio svalutante del figlio e del partner sulle sue capacità genitoriali e ciò finirebbe per compromettere ancor di più la possibilità di ripresa della relazione.

Quanto al collocamento etero familiare, è soluzione che, a tacer d’altro, è stata messa in forte discussione dopo le presunte illiceità degli affidamenti di cui si sta occupando la Procura di Reggio Emilia, sicché lo stesso legislatore potrebbe a breve intervenire per impedire che se ne faccia ricorso in ipotesi diverse da quelle eccezionali espressamente previsteviii.
I Tribunali e le Corti nazionali si trovano dunque in una posizione nient’affatto facile. Da un lato sono severamente censurati dalla corte Cedu, che ha ripetutamente condannato lo Stato italiano per non aver saputo garantire le relazioni parentali osteggiate e per essersi spesso i giudici limitati a delegare della soluzione dei problemi i Servizi sociali, cui si sono rivolti senza dare concrete indicazioni, ma con provvedimenti del tutto stereotipati (Es: Piazzi c/ Italia; Lombardo c/Italia, Giorgioni /Italia; Endrizzi c/Italia). Dall’altro faticano a individuare soluzioni. La conclusione inevitabile è che ai genitori alienati che chiedono tutela per sé e per i figli, il diritto non può dare risposte senza considerazione la specificità di ogni vicenda e senza attingere a saperi diversi.

La letteratura scientifica nazionale e internazionale suggerisce interventi diversi a seconda del livello di compromissione della relazione, limitandosi a considerare i casi più gravi vengono suggeriti quattro possibili percorsi,

1) collocamento presso il genitore favorito associato a progetti educativi di intervento sui genitori sui minori…
2) collocamento presso il genitore rifiutato, sospendendo temporaneamente in alcuni casi, i contatti col genitore favorito
3) sospensione dell’affidamento ai genitori… e l’allontanamento del minore da entrambi i genitori
4) collocamento presso il genitore favorito senza una regolamentazione dei contatti con il genitore rifiutato”
ix.

Ma l’argomento PAS non può certo essere chiuso senza sottolineare che la Suprema Corte ha ormai ripetutamente censurato, da ultimo con evidente insofferenza, decisioni limitative della responsabilità genitoriale (curiosamente tre su quattro della Corte d’appello di Venezia) che si fondavano sul dichiarato accertamento di una sindrome da alienazione parentale.
Celeberrima la prima (Cass. civ. n. 7041/2013), riguardante “il bambino di Cittadella”, per la risonanza mediatica della vicenda.
Meno note, ma ugualmente importati Cass. civ. n. 6919/2016, Cass. civ. n. 13274/19 che ancora cassa C.A. Venezia (che confermava una sentenza del Tribunale di Treviso).
Infine Cass. civ. n. 13217/21 (anche queste censurava Corte d’appello Venezia 16 maggio 2019 sopracitata), che ha suscitato tra gli operatori del diritto interesse e curiosità anche per la durezza delle espressioni critiche usate (oltretutto come nel 2007, è stato designato come giudice di rinvio, non altra sezione della Corte lagunare, ma quella bresciana).
L'ordinanza “accusa” ad esempio il giudice di secondo grado:

  • di aver tratto delle conclusioni erronee attraverso “un implausibile sillogismo la cui premessa principale è costituita da un ingiustificato severo stigma di comportamenti della madre fondato su un mero postulato”,

  • di aver compiuto “una inammissibile valutazione di tatertypx e di aver individuato a carico della ricorrente, nei rapporti con la figlia minore, una sorta di “colpa d’autore”.

Depurata da espressioni così insolite in un provvedimento giudiziario, la sentenza n. 13217/2021 manifesta un nocciolo interessante:

l’esigenza di negare, anche nell’ambito del diritto di famiglia, che nel processo si giudichi (e se il caso si sanzioni) non tanto il fatto commesso, quanto piuttosto il modo d’essere dell’agente. In altre parole, non è ammissibile far discendere dalla diagnosi di una patologia, anche se scientificamente indiscussa e a maggior ragione se dubbia, una presunzione di colpevolezza o di inadeguatezza al ruolo di genitore, scissa dalla valutazione in fatto dei comportamentixi.

Resta inespressa, invece, la ragione che ha indotto la Corte a usare toni tanto accesi, pur in una vicenda dalla quale emergevano dei comportamenti gravi della madre alienante: ma la ragione è, forse, la consapevolezza che l’alienazione parentale è spesso la “difesa” di genitori maltrattanti: i figli vittime di violenza diretta o assistita rifiutano la relazione col genitore maltrattante e questi accusa l’altro genitore di ostacolare i rapporti.
Ed è in effetti questo un problema che sta emergendo con forza ed evidenza:

  • rispondendo all’interrogazione Parlamentare n. 4-02405, il Ministero della Salute infatti non solo ha sostenuto l“ascientificità” della PAS , perché “mancano dati di sostegno, ma ha anche evidenziato il “rischio di un utilizzo strumentale di una definizione priva di validità diagnostica nelle controversie che coinvolgono minori”, addirittura avvertendo che, in caso di segnalazione di diagnosi di PAS da parte di medici o psicologi, il Ministero della salute “ha cura di sollecitare gli Ordini professionali di appartenenza, per gli accertamenti sulle eventuali violazioni di norme deontologiche….La riflessione sulla PAS e quella sulla vittimizzazione secondaria, infatti, sono strettamente connesse, posto che la teoria dell'alienazione parentale (sia nella sua forma esplicita, sia in forme sostanzialmente equivalenti, ma celate dietro differenti definizioni quali «rapporto fusionale materno», «invischiamento materno»), è ampiamente utilizzata nelle aule giudiziarie dai padri/mariti maltrattanti, proprio per contrapporsi alle istanze di tutela della prole, che le donne offese dalla violenza avanzano ai Tribunali o che le Procure presso i Tribunali per i Minorenni richiedono nell'ambito di procedimenti minorili di protezionexii;

  • anche la requisitoria del 15 marzo 2021 (allegato 1) affronta diffusamente il problema del rischio di vittimizzazione secondaria della vittima di violenza, spesso additata come responsabile anche dell’impossibile relazione tra il genitore maltrattante e il figlio maltrattato;

  • sta per concludere il suo lavoro la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e su ogni forma di violenza di genere” istituita dal Senato il 16 ottobre 2018: dalla dettagliatissima relazione pubblicata il 23 giugno emerge una situazione drammatica, causata dal fatto che le cause civili in materia di affidamento vengono di fatto decise spesso sulla scorta di CTU elaborate da persone di scarsa competenza, che neppure prendono in considerazioni ciò che emerge eventualmente nei procedimenti penali per maltrattamenti e che poi vengono recepite dai Giudici di merito senza alcun vaglio critico. Il rischio di scambiare il legittimo rifiuto di un ragazzo a relazionarsi col genitore maltrattante come risultato dell’intervento manipolatorio dell’altro genitore è dunque molto elevato.

Perciò  il futuro imporrà anche di ridefinire i confini tra ciò che compete al tecnico accertare e ciò che compete al Giudice decidere.

Per le sentenze analizzate in questa news si rimanda agli allegati della pagina "L’evoluzione della giurisprudenza di legittimità in tema di alienazione genitoriale: da sindrome a colpa d’autore

i MICHELE SESTA, La prospettiva paidocentrica quale fil rouge dell’attuale disciplina giuridica della famiglia, in Famiglia e Diritto, 2021 pag. 762.

ii Si è rilevato quanto alla produzione legislativa che il secolo XX° si è chiuso addirittura con un “un’eccedenza di carte di diritti”, perché il bambino è stato fatto oggetto di un ’ “investimento giuridico senza pari”. Ma, si è aggiunto, “aumentano nello stesso tempo tutele e violazioni”.  ELIGIO RESTA, L’infanzia ferita, Laterza 1998, pp. 42-49).  Quanto alla giurisprudenza il “preminente interesse del minore” è richiamato con frequenza nelle decisioni che coinvolgono minori, ma a volte in modo assolutamente retorico o come espediente per giustificare soluzioni adultocentriche senza dover addurre una vera motivazione. ELISABETTA LAMARQUE, Prima i bambini, Franco Angeli, 2016.

iii in Famiglia e Diritto 3/2018 p.253, con nota di REBECCA GELLI, l'affidamento condiviso: presupposti e risvolti applicativi.

iv Cosi ad esempio Trib. di Castrovillari 4.7.2020 e Trib. di Brescia 22.3.2019 in ilfamiliarista.itCorte d’appello di Venezia n. 8607/2019 che confermava Trib. di Treviso in DFP 2020 p. 457 (cassata da Cass. civ. n. 13217/2021 sulla quale si tornerà) e Corte d’appello di Venezia n. 1140/2017 che confermava Trib. di Treviso, cassata da Cass. civ. n. 13274/2019 in Diritto di Famiglia e delle Persone 2020 p. 457.

v GABRIELLA CONTIERO, L’affidamento esclusivo, ilfamilairista.it.

vi in Diritto di Famiglia e delle Persone 2019 pag. 9, con nota di C. CASALE, Coniugi separati e litigiosi, la PAS e la Suprema Corte.

vii in ilfamialiarista.it.

viii ARIANNA THIENE, Famiglie vulnerabili e allontanamento dei bambini-NLCC 2021, pag. 46 e seguenti.

ix TIZIANA MAGRO in Magro, Filippi, Benatti (a cura di), Famiglie interrotte. Relazioni disfunzionali: tra teoria e interventi, Franco Angeli, 2019 pag. 122 e seguenti, con pratiche tabelle riepilogative dei vantaggi e svantaggi di ciascun percorso.

xTatertyp (“tipo di reo”) è un termine giuridico tedesco che si riferisce ad una teoria nota nel 1940, in pieno periodo nazista.

xi RITA RUSSO, La Corte di cassazione sulla sindrome da alienazione parentale. È colpa d’autore? In www.giustiziainsieme.it.

xii ARIANNA ENRICHENS, Sindrome da alienazione parentale, vittimizzazione secondaria e stereotipi di genere nel processo In questionegiustizia.it.

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