Le misure “civili” adottabili verso i minori. Finalità, caratteristiche e criticità dell’affido al Servizio Sociale.

di Nicoletta Pan, avvocato in Bassano del Grappa

Il dovere dei genitori di provvedere all’educazione, al mantenimento e all’istruzione dei propri figli sancito dall’articolo 30 della Costituzione si concretizza nell’articolo 316 del Codice Civile che attribuisce loro l’esercizio della responsabilità genitoriale. Tale espressione, con la riforma della filiazione introdotta dalla legge delega n. 219/2012 e dal successivo decreto legislativo di attuazione n. 154/2013, ha sostituito la precedente “potestà genitoriale”, evidenziando un progressivo passaggio da una prospettiva adulto-centrica, fondata sul potere esercitabile dai genitori sui figli, ad una prospettiva invece basata sul preminente interesse del minore: l’agire dei genitori deve essere finalizzato ad un’adeguata educazione dei figli, tenuto conto delle loro aspirazioni e nell’ottica dell’affermazione della loro personalità.

Al fine di proteggere i diritti che l’ordinamento nazionale, l’Unione Europea e le Convenzioni internazionali riconoscono al minore, la legge prevede ampi poteri di intervento e di controllo da parte dell’Autorità giudiziaria.

Dal punto di vista civilistico, si tratta di misure che postulano la sussistenza di una situazione di pregiudizio inerente la sfera famigliare del minore, tale da incidere negativamente sulla sua crescita armonica e sul suo sviluppo: la funzione di tali provvedimenti, pertanto, è anzitutto protettiva e preventiva, ma assume anche una componente sanzionatoria per l’esercente la responsabilità genitoriale. Infatti, quando si parla di provvedimenti a tutela del minore da parte dell’Autorità giudiziaria minorile, ci si riferisce a procedimenti che hanno ad oggetto la potestà dei genitori.

  1. Le misure previste dal codice civile verso il minore.

Sono fondamentalmente due le misure che il codice civile prevede a favore del minore a fronte degli inadempimenti del genitore.

L’articolo 330 cod. civ. attribuisce al giudice la possibilità di dichiarare la decadenza dalla responsabilità genitoriale di quel genitore che violi o trascuri i doveri ad essa inerenti o abusi dei relativi poteri con grave pregiudizio nei confronti del figlio. Il giudice, valutata la sussistenza di gravi motivi, può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare o l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.

L’articolo 333 cod. civ. prevede invece l’ipotesi in cui la condotta pregiudizievole del genitore non sia tale da dare luogo alla decadenza dalla responsabilità genitoriale, ma appaia comunque pregiudizievole nei confronti del figlio. In tal caso il giudice può adottare i provvedimenti che ritiene più convenienti e disporre eventualmente l’allontanamento del figlio o del genitore dalla casa familiare.

Si tratta di ipotesi che differiscono principalmente dal punto di vista quantitativo.

A seconda della gravità del pregiudizio che è stato arrecato o che eventualmente possa derivare al minore dalla condotta del genitore, il giudice valuta se ricorrere all’articolo 330 o 333 cod. civ.

Laddove pertanto non sussistano i presupposti per l’applicazione dell’art. 330 cod. civ., ma comunque vi sia l’esistenza di una condotta inidonea del genitore e tale da provocare un danno alla crescita del figlio, il giudice potrà pronunciarsi in base all’art. 333 cod. civ.

Quest’ultima, infatti, può essere considerata una norma a contenuto aperto, che permette all’autorità giurisdizionale di emettere il provvedimento che, alla luce delle circostanze del caso, si adatta maggiormente alla situazione concreta ed alle esigenze di tutela del minore (ad esempio, potrà imporre al genitore di ottemperare a determinate regole di condotta verso il figlio).

La competenza all’adozione di tali provvedimenti, ai sensi della legge n. 219/2012, spetta al Tribunale dei Minorenni, che si pronuncia altresì nelle ipotesi di cui agli articoli 84, 90, 332, 334, 335, 317-bis e 371, ultimo comma, del codice civile. Tuttavia, nel caso in cui tra i genitori sia in corso un giudizio di separazione o di divorzio, la competenza spetta al Tribunale ordinario.

Ad ogni modo, ai sensi dell’articolo 336 cod. civ., l’autorità giurisdizionale procede solo su segnalazione di una parte pubblica (il Pubblico Ministero), o privata e cioè l’altro genitore o i parenti del minore.

Il Tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il P.M., e decide con decreto motivato; dispone inoltre l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito. Il Tribunale può adottare, anche d’ufficio, provvedimenti temporanei a tutela dell’interesse del minore nel caso in cui ravvisi una situazione di “urgente necessità” (art 336, comma terzo cod. civ.).

L’inidoneità della condotta dei genitori nei confronti del figlio e dunque il pregiudizio per la crescita di quest’ultimo possono essere rilevati anche dai servizi sociali, che però non possiedono diretta legittimazione ad agire: essi possono soltanto limitarsi a segnalare la situazione al P.M. presso il Tribunale dei minorenni, il quale, dopo gli opportuni accertamenti, decide se procedere o meno con il ricorso.

  1. L’affidamento al Servizio Sociale: da misura amministrativa a provvedimento de potestate.

Il ruolo del Servizio Sociale nel rapporto col minore è divenuto sempre più rilevante nel corso degli anni. Spesso infatti si assiste all’emissione di provvedimenti (anche di natura provvisoria ed urgente) che dispongono l’affidamento ad esso dei minori. Si tratta di una misura che non solo è ampiamente diffusa nelle prassi giuridiche della magistratura minorile, ma che è in forte espansione anche nella magistratura ordinaria in ambito civile.

La misura dell’affido al Servizio Sociale è nata come intervento di controllo e di “rieducazione” nei confronti di minori di età (inizialmente sino ai 21 anni), con comportamenti considerati inaccettabili ed inadeguati dal punto di vista sociale. La legge istitutiva del Tribunale per i minorenni, il regio decreto legislativo n°1404 del 1934, li qualificava come minori “traviati e bisognevoli di correzione morale”, definizione poi mutata con la successiva Legge n. 888 del 1956, modificativa del regio Decreto (c.d. Legge Minorile). Quest’ultima ha introdotto l’affidamento al Servizio Sociale come intervento di tipo amministrativo, non penale, per i minori, senza distinzione d’età, con comportamenti “irregolari nella condotta e nel carattere”.

Ai sensi dell’art. 25 della legge minorile, il pubblico ministero minorile, i genitori del minore, l’ufficio di servizio sociale o degli organismi di educazione (per esempio la scuola) possono segnalare fatti di irregolarità della condotta o del carattere di un minore (per esempio nel caso di rifiuto scolastico o lavorativo, di consumo di sostanze, di episodi di bullismo) al Tribunale per i Minorenni, il quale, a mezzo di uno dei suoi componenti all’uopo designato dal Presidente, esplicate approfondite indagini sulla personalità del minore, potrà disporre l’affidamento del minore al servizio sociale minorile oppure il suo collocamento in una casa di rieducazione o in un istituto medico-psico-pedagogico.

Non si tratta di un obbligo di segnalazione, né della denuncia di un reato, ma di una facoltà; è significativo che questa venga attribuita anche al Servizio Sociale che invece, come si è detto, nei procedimenti civili limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale resta privo di legittimazione processuale attiva, ma può solo segnalare al pubblico ministero minorile.

Nel caso in cui fosse disposto l’affidamento al servizio sociale, il Giudice procede alla convocazione del minore e del rappresentante del servizio sociale, stabilendo le prescrizioni che il minore dovrà seguire, a seconda dei casi, in ordine alla sua istruzione, alla preparazione professionale, al lavoro, all’utilizzazione del tempo libero, nonché le linee direttive dell’assistenza di cui egli dovrà essere destinatario.

Il Servizio Sociale svolge un’azione di controllo sulla condotta del minore e lo aiuta a superare le difficoltà in ordine ad una normale vita sociale, anche mettendosi all’uopo in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita. Ha il compito di relazionare periodicamente al Tribunale, proponendo, a seconda dei casi, la modifica delle prescrizioni in senso più restrittivo o la loro cessazione per avvenuto riadattamento (artt. 27 e 29 legge minorile).

Col tempo, la misura dell’affidamento al servizio sociale ha subito una notevole evoluzione, trovando grande applicazione in campo civile: da provvedimento rieducativo delle devianze giovanili è divenuta infatti strumento di tutela di minori d’età in situazione di disagio, rivolto in prevalenza a quei genitori che non sono considerati in grado di adempiere alla propria responsabilità genitoriale.

Si tratta di provvedimenti emessi con decreto motivato ex artt. 330, 333 e 336 c.c. in seguito ai quali l’Autorità Giudiziaria può disporre la decadenza ovvero la limitazione della responsabilità genitoriale o, comunque, adottare opportuni provvedimenti nell’interesse della prole.

L’ampia formulazione dell’art. 333 cod. civ. ha infatti reso possibile includerlo tra i provvedimenti più convenienti che il Tribunale può adottare secondo le circostanze in caso di condotta del genitore pregiudizievole nei confronti del figlio, ma non così grave da dare luogo a decadenza dalla responsabilità genitoriale.

Ed invero a partire dal 2012 in alcuni Tribunali italiani si è diffusa la prassi di disporre l’affidamento del minore al servizio sociale.

Accanto alla funzione di prevenzione e di aiuto a minori, persone, famiglie in situazioni di disagio e bisogno, il Servizio Sociale si è visto attribuire anche quella di “ente affidatario” di minori in situazioni di grande conflittualità tra genitori in fase separativa.

La designazione dell’ente pubblico, per l’esercizio della responsabilità genitoriale, in sostituzione dei genitori, in applicazione dell’art. 333 c.c., comporta che è l’ente di riferimento ad avere la facoltà di decidere per il fanciullo, anche dirimendo contrasti insorti tra i genitori. E, invero, l’applicazione dell’art. 333 c.c. ha proprio questa funzione: si affida il minore all’ente perché la conflittualità tra i partners è talmente patologica che, in difetto di intervento permanente del Comune, vi sarebbero continuamente controversie, litigi, processi pendenti (per la salute, l’istruzione, la residenza, etc.: per ogni questione travolta dal conflitto). L’affidamento all’ente, con delega all’esercizio della responsabilità genitoriale, istituisce, dunque, un modulo extra giudiziario di risoluzione del conflitto: insorge la lite sulla decisione, i genitori non pervengono ad un accordo, il Comune decide al posto di padre e madre” (Tribunale di Milano, Sez. IX Civ., Decreto 14 aprile 2016 - Pres. Dott.ssa E. Manfredini; Giudice Est. Dott. G. Buffone).

In ambito processuale, gli incarichi possono avere natura istruttoria, quando viene richiesta un’indagine psico-sociale sul nucleo familiare e/o la valutazione delle capacità genitoriali, natura esecutiva di provvedimenti decisori, mediante l’organizzazione di incontri eventualmente anche protetti e/o l’erogazione di interventi di sostegno, oppure natura di controllo, tramite il monitoraggio sulla tenuta degli accordi tra genitori o attraverso l’affidamento del minore al servizio sociale, con collocamento presso uno dei due genitori.

In assenza di interventi di tipo amministrativo e legislativo specifici, si è posto il problema di definire la discrezionalità del Servizio stesso in tali circostanze. Troppo spesso, nei provvedimenti di affidamento dei figli minori all’Ente non vengono chiaramente esplicitati i poteri attribuiti al Servizio Sociale incaricato: un mandato generico, infatti, non consente di comprendere quali siano gli effettivi poteri attribuiti al Servizio Sociale anche riguardo alle modalità di esercizio del ruolo genitoriale, alle decisioni da impartire ai genitori ed a cui gli stessi devono attenersi nell’interesse della prole.

Nella grande parte dei casi, invece, il mandato a cui il Servizio affidatario deve dare esecuzione è del tutto generico e tale da non consentire di comprendere quali siano i poteri attribuitigli dal Giudice in pregiudizio al genitore, con la conseguenza che quest’ultimo viene a trovarsi in balia di scelte che, in assenza di limiti e di direttive precise, sono assolutamente discrezionali (es.: decisioni su allontanamento del minore dalla famiglia, sulla sua collocazione in famiglia o in comunità, sulla frequenza e modalità delle visite, etc.).

  1. Criticità della misura dell’affidamento al Servizio Sociale.

A volte l’espressione “Affidamento al servizio sociale” indica semplicemente che si dispone la presa in carico del minore da parte del servizio e quindi il sorgere di un obbligo di facere dell’Amministrazione.

In altri casi il provvedimento indica più specificatamente i poteri del servizio, esplicitando in tal modo il contenuto della corrispondente limitazione della responsabilità dei genitori.

In altri casi, ancora, viene disposta una limitazione della responsabilità genitoriale ex art 333 c.c. senza che siano determinati in modo chiaro i poteri dell’Ente affidatario: ciò genera una confusione di compiti e responsabilità nei confronti dei bambini e dei genitori.

Se il Giudice non esplica chiaramente gli ambiti di limitazione della responsabilità genitoriale e dei poteri del servizio, l’impiego pratico dell’istituto può rivelarsi difficoltoso e complesso, ripercuotendosi nella relazione tra l’operatore del servizio e l’utente.

Supportare il genitore nel percorso di comprensione delle proprie fragilità e di individuazione delle risorse personali per il recupero delle competenze genitoriali e nel contempo attribuire allo stesso Servizio poteri censori non chiaramente definiti e delimitati può comprometterne inevitabilmente il rapporto: si possono sviluppare forme adesive al progetto di cura e sostegno senza un’effettiva comprensione, elaborazione e condivisione del percorso di aiuto, oppure una situazione diametralmente opposta, di opposizione e resistenza all’attività del Servizio, con pregiudizio, in entrambi i casi, dell’interesse del minore.

La questione si complica ulteriormente quando il minore coinvolto nel procedimento promosso dall’Autorità Giudiziaria viene affidato ad una famiglia o collocato in una comunità educativa o terapeutica, poiché in questi casi entra in scena un terzo soggetto i cui compiti dovrebbero essere anch’essi ben organizzati, e vincolati a precise direttive.

In assenza di interventi normativi o quanto meno prassi consolidate, non è sempre facile stabilirne i confini, assistendo nella pratica ad interventi del Servizio con modalità diverse, che spaziano da un decisionismo arbitrario ad una passività ingiustificata, e ciò anche in territori limitrofi.

  1. L’affidamento al servizio sociale secondo la Cassazione.

Interessante per quanto concerne le finalità è il richiamo operato dalla Suprema Corte al ruolo di supplenza e garanzia dell’affido e della durata dello stesso.

Da un lato la Cassazione richiama il ruolo di supplenza e garanzia, cioè una funzione vicaria rispetto a quella del genitore, che però mantiene ancora titolarità ed esercizio della responsabilità genitoriale e dall’altro fa rientrare nell’affidamento del minore al Servizio sociale anche disposizioni volte a far iniziare ai genitori un percorso terapeutico.

In particolare, nei casi caratterizzati da una elevata conflittualità tra i coniugi e da un serio rischio di compromissione del rapporto tra il minore e il genitore con esso non convivente, sempre più frequentemente alcuni Tribunali stanno ricorrendo all’affido del minore presso i servizi sociali, riconoscendo a questi ultimi, come sottolineato dalla Suprema Corte, “…un ruolo di supplenza e di garanzia e intese a far iniziare ai genitori un percorso terapeutico finalizzato al superamento del conflitto e alla corretta instaurazione di una relazione basata sul rispetto reciproco nella relazione con il figlio”.

Di recente, La Suprema Corte, con ordinanza n°28998/18 del 12 novembre 2018, si è pronunciata sulla legittimità di un decreto con cui la Corte d’appello di Venezia, in sede di reclamo, aveva disposto, al fine di precostituire “…le condizioni per il ripristino di una condivisa bigenitorialità tutelando da subito nel modo più penetrante il minore…”, l’affidamento dei minori ai Servizi sociali, con collocamento presso la madre, nonché “…un progressivo incremento del diritto di visita del padre, secondo un calendario da predisporsi dai Servizi Sociali, con pernottamento del minore presso il padre ed introduzione di periodi alternati tra i genitori di permanenza del minore in occasione delle festività”, senza tuttavia determinarne modalità e durata.

La Corte, investita della questione, preliminarmente, ha confermato l’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il decreto di Corte di appello, citando alcuni precedenti: “Il decreto della corte di appello, contenente provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e le disposizioni relative al loro mantenimento, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., poiché già nel vigore della L. 8 febbraio 2006, n. 54 – che tendeva ad assimilare la posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio – ed a maggior ragione dopo l’entrata in vigore del D.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 – che ha abolito ogni distinzione – al predetto decreto vanno riconosciuti i requisiti della decisorietà, in quanto risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e di definitività, perché ha un’efficacia assimilabile ‘rebus sic stantibus’ a quella del giudicato” (Cass. 6132 del 2015 cui è seguita 18194 del 2015; Cass. n. 3192/2017).

La Corte ha invece reputato infondata la censura operata dalla ricorrente relativa alla “…violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 184 del 1983, art. 4 commi 3 e 4, avendo la Corte confermato l’affidamento del minore ai Servizi Sociali senza determinare le modalità e la durata dell’incarico”. Ad avviso degli Ermellini, infatti, il provvedimento adottato dalla Corte veneziana risultava “…sufficientemente dettagliato e corretto”, in quanto la necessaria indicazione della presumibile durata dell’affidamento e delle modalità di esercizio dei poteri degli affidatari, sono condizioni richieste solo per l’affidamento familiare previsto dall’art. 4, commi 3 e 4 della legge n°184/83, non già per il provvedimento di affidamento familiare di cui all’art. 337 ter c.c.”.

  1. L’affidamento al Servizio sociale nella prassi.

Risulta a tale proposito opportuno, a questo punto, esaminare alcuni provvedimenti.

Uno di questi ha stabilito quanto segue:

visti gli artt. 330,333 e 336 c.c., definitivamente pronunciando, con efficacia immediata ex lege, AFFIDA il minore (XXXX) al Servizio Sociale del Comune di (XXXXXX), in collaborazione con la Ulss nr. (XXXX), con ogni opportuno intervento di sostegno al minore ed alla genitorialità e di continuazione del progetto sociale ed educativo, formativo e di supporto psicologico del minore……” (Venezia 17.08.2017).

Il compito specificatamente attribuito al Servizio, nel caso di specie, è quello del sostegno e controllo della situazione evolutiva del minore affidatogli, a fronte di una condotta pregiudizievole dei genitori nei confronti dei figli che aveva determinato in precedenza il loro allontanamento e collocamento in ambito eterofamiliare.

Interessante, ai fini della valutazione del rapporto genitori-servizio sociale, è un altro decreto del Tribunale per i Minorenni di Venezia, intervenuto specificatamente a limitare la responsabilità genitoriale.

Il Tribunale ha così provveduto: “visto l’art.333 c.c. provvedendo in via definitiva, ogni diversa istanza rigettata, a limitazione della potestà genitoriale AFFIDA le minori al Servizio Sociale per la predisposizione di un progetto quadro finalizzato al progressivo riavvicinamento delle minori alla figura paterna, passando da visite protette ad incontri inizialmente assistiti e poi in contesti facilitanti che agevolino la relazione padre-figlie, valorizzando le relazioni endofamiliari idonee a attivando un supporto psicologico alle minori e psicoeducativo ai genitori per rafforzare la bigenitorialità (avvalendosi di servizi specialistici). Dichiara il presente decreto immediatamente efficace ex art.741, 2 comma c.p.c. Il Servizio Sociale segnalerà direttamente al PM eventuali fattori di novità che giustifichino una modifica della responsabilità genitoriale o la revoca del presente decreto.

Il Tribunale, nel caso di specie, si è pronunciato ai sensi dell’art.333, c.c avendo ravvisato un comportamento pregiudizievole nei confronti dei genitori, confermando l’affido già in precedenza disposto al Servizio e invitando quest’ultimo alla predisposizione di un progetto quadro per il progressivo riavvicinamento delle minori al padre (nella specie ostacolato da un comportamento oppositivo della madre nei confronti dell’altro genitore).

Ma a chi è stata attribuita la responsabilità genitoriale, a chi è stato attribuito il potere di fare le scelte relative ad istruzione, educazione e salute del minore? In questo caso non sono chiari i limiti della responsabilità genitoriale attribuita ai genitori e al Servizio.

Interessante, nel caso di specie, è l’attribuzione al Tribunale di una specifica azione di controllo, con dovere di segnalare al PM eventuali fattori di novità che giustifichino una modifica della responsabilità genitoriale o che comportino la revoca del decreto.

Spesso la mancata determinazione della durata di tali provvedimenti, pur avendo essi, per espressa previsione legislativa, natura temporanea, costituisce infatti una grave limitazione. Tale situazione di provvisorietà può protrarsi per diversi anni, rischiando di determinare gravi danni al minore, che in molti casi viene sradicato da affetti e relazioni ormai consolidatesi nel tempo.

Si ritiene opportuno che il Tribunale definisca il procedimento con precise indicazioni sulla modalità di intervento del Servizio. Al riguardo va segnalata una pronuncia della Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha condannato l’Italia perché il Tribunale per i Minorenni non aveva svolto un’attenta sorveglianza sul lavoro dei Servizi Sociali: “un’interruzione prolungata dei contatti tra i genitori e figli o incontri troppo distanti nel tempo possono compromettere ogni seria possibilità di aiutare gli interessati a superare le difficoltà emerse nella vita familiare e di riunirli…Di conseguenza, il Tribunale per i Minorenni ha un dovere di vigilanza costante sui servizi sociali affinchè il loro lavoro non annulli la portata delle sue decisioni”.

L’affidamento ai Servizi da parte del giudice della separazione o del divorzio è divenuta prassi frequente. Al Servizio viene attribuito, nella maggior parte dei casi, un potere indeterminato ed ampio che spazia dal sostegno ai genitori e controllo della situazione familiare, al compito di far rispettare le indicazioni stabilite dal Tribunale per lo svolgimento di una mediazione, all’attuazione delle modalità di visita stabilite dal Tribunale o persino da stabilire da parte dello stesso Servizio fino ad arrivare all’attribuzione vera e propria dell’esercizio della responsabilità genitoriale, relativamente alle scelte sull’educazione, istruzione e salute.

Una recente pronuncia del Tribunale di Vicenza, in composizione collegiale, in una procedura di modifica delle condizioni di affidamento di minori di una coppia non coniugata, a fronte di “una situazione di fortissima conflittualità tra le parti, le quali si rivolgono gravi accuse reciproche, con la conseguenza che deve ritenersi che non sussistano allo stato e quantomeno in via provvisoria i presupposti per un esercizio congiunto della responsabilità genitoriale” così disponeva:

adotta in via temporanea ed urgente i seguenti provvedimenti: 1) affida in via provvisoria le minori (XXXX) (YYYYY) ai Servizi Sociali territorialmente competenti, i quali assumeranno le decisioni più rilevanti per le minori in caso di insanabile dissenso tra i genitori. 2) manda ai Servizi Sociali territorialmente competenti affinchè prendano in carico le minori e ne accertino il contesto di vita, mediante accesso ai luoghi ed alle abitazioni presso cui le stesse vivono, verificandone le condizioni, nonché accertino le capacità genitoriali di entrambe le parti al fine di individuare il miglior regime di affido, collocamento e modalità e tempi di visita, con onere di deposito entro il 20.04.2020; 3) fissa per l’esame della relazione del Servizio l’udienza del (XXXXX). Provvedimento immediatamente esecutivo. Vicenza 10.10.2019 “

In questo caso il Tribunale ha stabilito una forte compromissione della responsabilità genitoriale e una specifica attribuzione di poteri al Servizio in caso di insanabile dissenso tra i genitori, poteri che implicano la supplenza della responsabilità che i genitori non siano in grado di assumere, perché, così si legge, tra le parti vi “è una situazione di fortissima conflittualità, con la conseguenza che deve ritenersi che non sussistano allo stato e quantomeno in via provvisoria i presupposti per un esercizio congiunto della responsabilità genitoriale”.

Al Servizio viene contestualmente attribuito lo svolgimento di un’attività di “valutazione” delle capacità genitoriali al fine di individuare il miglior regime di affido e collocamento delle minori.

6 Il Servizio Sociale come alterativa alla CTU?.

L’introduzione di nuovi principi (come l’affidamento condiviso, la necessità di motivare il provvedimento che dispone l’affidamento esclusivo) e di nuove disposizioni (per esempio: l’ascolto del minore) ha certamente contribuito ad un sempre più frequente ricorso da parte del Giudice ordinario all’intervento del Servizio anche per lo svolgimento di un’attività di “valutazione”, che, in alcuni casi, diviene sostitutiva di una CTU in corso di causa, economicamente più gravosa per le parti. Chiamato ad intervenire nelle procedure di separazione caratterizzate da un elevata conflittualità, al Servizio sociale affidatario viene richiesto di riferire in ordine “alla situazione psicologica dei minori, alla presenza di eventuali segni di disagio emotivo e psicologico, con indagine, in caso di ipotesi positiva, delle cause, fino a richiedere se sussistono eventuali patologie o condizioni psicologiche dei due genitori tali da escludere o limitare, o comunque condizionare negativamente la loro capacità genitoriale”

Una precisazione è doverosa: il ricorso all’uno o all’altra ha presupposti diversi e modalità di approccio e di esecuzione differenti. L’istituto della CTU è previsto dalle norme del codice di procedura civile (artt. 61-64 c.p.c.), che ne disciplina la funzione e l’attività. Il CTU è un ausiliario del Giudice, che si caratterizza per l’elevata specificità e specializzazione dell’intervento e che integra l’attività dello stesso, offrendogli elementi diretti di giudizio o elementi utili a valutare le risultanze di determinate prove.

L’intervento del Servizio Sociale, su incarico del Giudice, si giustifica invece in via interpretativa, con riferimento a norme estranee al codice di procedura civile e non è quindi sottoposto al rigore delle norme processuali. In quanto appartenente alla Pubblica Amministrazione, il servizio sociale si caratterizza per una certa discrezionalità nelle modalità di svolgimento dell’attività e per l’assenza di un rapporto gerarchicamente subordinato con l’Autorità giudiziaria.

Ma sono soprattutto i tempi di intervento e l’approccio ad essere differenti.

Per quanto concerne il CTU, l’atto peritale costituisce una fotografia statica e certa della situazione, oggetto dell’accertamento. L’intervento è circoscritto al quesito formulato dal Giudice e si esaurisce con il deposito della relazione. Il tempo è quello del giudizio, della certezza delle decisioni, e la relazione va misurata nella sua possibilità di essere trasparente e controllabile.

Per il Servizio Sociale, invece, la valutazione è parte di un processo, le cui finalità sono il sostegno e la cura della persona. Anche quando viene fatta una relazione valutativa per l’Autorità giudiziaria, il pensiero dell’operatore è orientato al progetto, alla presa in carico, a un cambiamento che va guidato, sostenuto, nutrito e verificato e i cui tempi non sono mai certi. Il tempo del Servizio è fondamentalmente quello della cura, e il rapporto con il minore e la sua relazione con la famiglia deve diventare una relazione di cura. Per tale ragione, per l’assistente sociale, l’approccio non può essere quello peritale, perchè la finalità della relazione non è quella di rispondere ad un quesito.

Per di più, mentre il CTU, di norma, esaurisce il suo incarico con il deposito dell’elaborato peritale, il Servizio sociale, invece, rimane sullo sfondo, essendo, una possibile risorsa pubblica d’aiuto sempre riattivabile in caso di necessità.

In conclusione, se è pur vero che il Giudice può avvalersi del sapere e delle conoscenze del Servizio sociale per individuare il migliore interesse del minore, e se è pur vero che il Servizio sociale può costituire un valore aggiunto per la presenza di professionalità diverse all’interno dell’equipe, in grado di attivare una rete di risorse, è necessario per il Giudicante avere contezza dell’ambito processuale nel quale il Servizio viene ad operare, essendo diversi i tempi e le modalità dell’intervento, e ciò anche ai fini della necessità del rispetto delle garanzie che una CTU garantisce ai fini del contraddittorio processuale.

L’ordinamento processuale e la normativa sostanziale che regolano i poteri dell’autorità giudiziaria non contemplano gli istituti della ricusazione e della sostituzione con riferimento ai Servizi Sociali e non è neppure possibile ipotizzare un’estensione analogica degli artt.51, 192 e 196 c.p.c., in quanto i Servizi Sociali non sono come il CTU una ausiliario del Giudice per l’analisi dei fatti acquisiti in giudizio, ma un’articolazione della P.A a cui vengono richieste informazioni, dotata di autonomia organizzativa e contabile. Il provvedimento richiesto dal ricorrente si risolverebbe in un’indebita ingerenza nell’ambito della discrezionalità della PA in quanto comporterebbe un’inammissibile pronuncia di condanna della stessa ad adottare delle scelte nell’organizzazione dei pubblici uffici, nella ripartizione degli affari tra il personale amministrativo e nell’opzione di avvalersi di collaboratori esterni, che appunto costituiscono apprezzamenti riservati all’autonomia organizzativa della PA anche per quel riguarda i vincoli contabili (cfr.DPRn.3/1957 e D.Lgs n.165/2001, nonché con riferimento ai limiti interni della giurisdizione del G.O. cfr artt.4 e 5 dell’allegato E alla legge 2248/1865; proprio in ragione di quanto detto al punto precedente, sarebbe necessaria una norma espressa che conferisca al Giudice il potere di sostituire i pubblici dipendenti dei Servizi Sociali a cui è affidato il nucleo familiare, ma come si è detto, difetta un’esplicita previsione in tal senso”.

Sulla base di tali premesse, il Tribunale di Venezia, con provvedimento in data 1.09.2020 rigettava l’istanza del ricorrente in un procedimento contenzioso di separazione, che richiedeva “l’immediata sostituzione dell’equipe socio sanitaria o quanto meno della coordinatrice attribuendo alla diversa equipe o in subordine alla equipe diversamente coordinata i compiti di cui all’ordinanza del (XXX) e successive emanate ed emanande”, e ciò anche “stabilendo che il coordinamento e la direzione del progetto di tutela delle minori sia effettuato da specialista con comprovata esperienza e acclarate competenze nel trattamento dei profili psicopatologici emersi in CTU procurando se del caso l’individuazione del professionista mediante conferimento di incarico libero professionale”

Ma se il Giudicante respingeva l’istanza di sostituzione, nel contempo evidenziava la necessità di una norma espressa “che conferisca al Giudice la possibilità di procedere in tal senso”.

Parimenti il medesimo provvedimento si caratterizza per la necessità avvertita dallo stesso Giudicante di dover impartire delle direttive ai Servizi Sociali incaricati, nel rispetto comunque dell’autonomia organizzativa dei medesimi, non avendo questi ultimi chiarito in che modo intendano procedere per assicurare le finalità previste.

Si tratta di direttive ben definite e specifiche, espressione di un mandato al servizio sociale di offrire ai genitori un intervento mirato a scopi ben definiti con la chiara indicazione del contenuto e dei limiti di un potere sostitutivo laddove i genitori non siano capaci di negoziare scelte da compiere nell’interesse delle minori.

Il Giudice mantenendo il collocamento delle minori presso una famiglia affidataria individuata dai servizi sociali, “invita i Servizi Sociali a trasmettere entro il (XXXX) relazione nella quale saranno chiarite le modalità con le quali proseguirà l’affidamento extrafamiliare di (XXXX) e il progetto terapeutico e di sostegno relativo al nucleo familiare; dispone che, nella redazione del progetto di cui al punto precedente, i Servizi Sociali agiscano secondo le seguenti direttive:

  • risoluzione delle problematiche ravvisate dalla CTU del dott. (XXX) e della dott.ssa (YYYY) i cui elaborati dovranno essere trasmesse ai Servizi Sociali a cura della Cancelleria, con riserva di trasmettere eventuali integrazioni o chiarimenti che saranno richiesti nel proseguo del giudizio;

  • Predisposizione di un percorso di sostegno della genitorialità a favore di entrambi i coniugi, volto a 1) far maturare in loro la capacità di decidere insieme nel perseguimento delle superiori esigenze delle minori accantonando la tendenza ad essere troppo focalizzati nel loro conflitto personale 2) approfondire le cause e l’andamento della dinamica di schieramento tra la madre e le figlie ed eliminarla; 3) accrescere nel padre la capacità di comprendere le reali necessità delle minori nel rispetto delle loro attitudini e inclinazioni e di fare il genitore;

  • Predisposizione di un percorso di sostegno psicologico e se del caso anche terapeutico- con figure interne all’ASL o anche esterne, ove necessario alla luce della peculiarità del caso- a favore delle minori teso da un lato a superare la dinamica di schieramento con la madre e dall’altro al graduale recupero di un rapporto il più possibile sereno con il padre;

Il Giudice detta specifiche modalità di sostegno alle minori e prescrive un monitoraggio, assicurandosi che le minori “mantengano contatti effettivi e non meramente formai tra loro, con i genitori e con la rispettiva rete amicale”, nonché un intervento specifico per quanto concerne le scelte del percorso scolastico, dovendo il Servizio attivarsi nella scelta del percorso scolastico e delle attività extrascolastiche delle minori, “tenendo conto delle loro oggettive capacità, attitudini e inclinazioni nonché dell’oggettiva incidenza delle attività extrascolastiche sul benessere psicofisico e sul rendimento scolastico, i pareri e le indicazioni date in merito da entrambi i genitori dovranno essere valutati alla luce di questi parametri e i coniugi dovranno essere guidati, educati e sostenuti affinchè, in futuro, le scelte relative alle figlie tengano conti dei fattori indicati e non delle aspettative e delle rivendicazioni dei genitori legate al loro gusto personale o alle dinamiche conflittuali in essere”.

Vengono specificate altresì le modalità di contatto tra i genitori e le minori con “l’individuazione di specifiche modalità di contatto, valutando la necessità, nel prosieguo del percorso, di incontri in ambiente protetto o alla presenza di un educatore per quanto concerne entrambi o anche uno solo dei genitori, secondo le necessità dei minori”. Del pari viene prescritto “un attento monitoraggio delle dinamiche che si creeranno tra le minori e i genitori nelle occasioni di contatto, di incontro, di permanenza, al fine di verificare se entrambi o anche uno solo di essi pongano in essere condotte screditanti, di maltrattamento o comunque pregiudizievoli”.

Solo l’esito del percorso e in particolare l’eliminazione o la significativa attenuazione della dinamica di schieramento e l’acquisizione da parte di entrambi i genitori della capacità di ascoltare le minori e di comprendere le reali necessità, può consentire la reintroduzione della permanenza delle minori con uno o entrambi i genitori, il tutto con la necessaria gradualità e anche con soluzioni differenziate, ove necessario e oggettivamente giustificabile alla luce delle condizioni psicofisiche delle minori.

6 In conclusione.

Da quanto finora emerso appare chiaro che la formula dell’affidamento al servizio sociale, utilizzata in alcuni Tribunali italiani, da un lato indica in modo abbastanza indefinito una limitazione della responsabilità genitoriale, mentre dall’altro crea un contenitore di interventi che vanno dalla funzione di sostegno e controllo, dalla cura all’attuazione dei provvedimenti che il Tribunale stabilisce relativi al sostegno alla genitorialità, alla mediazione familiare, al sostegno psicologico ai minori, al controllo dei tempi di visita.

Affinchè questo istituto possa rivelarsi utile è necessario che via sia un chiaro mandato al Servizio sociale, con indicazione del contenuto e dei limiti del potere sostitutivo qualora il Tribunale intenda conferire al Servizio anche l’esercizio della responsabilità genitoriale e quindi il compito di effettuare scelte su educazione, salute ed istruzione del minore.

Anche i provvedimenti relativi alla regolamentazione dei rapporti dovrebbero essere stabiliti con provvedimento del Tribunale, seppure in osservanza delle indicazioni del Servizio, ma non lasciati in modo imprecisato a quest’ultimo, per far si che il provvedimento mantenga la sua forza cogente.

Il supporto alla genitorialità deve essere chiarito, condiviso, evitando interventi indefiniti, obbiettivi poco chiari, che potrebbero rinforzare nei genitori l’idea di essere vittime di un’ingiusta persecuzione o conseguire ambigue adesioni a progetti in realtà non condivisi.

La chiarezza nei contenuti, nel metodo, nei tempi, presupposto di un consenso informato, costituiscono premessa per interventi efficaci e non stereotipati.

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