L’art.25 RDL n. 1404/34 (come modificato dalla legge 888/56): applicazioni concrete e dubbi di compatibilità con il rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio

di Barbara Bottecchia, avvocato in Venezia

Il Tribunale per i Minorenni, ha tuttora anche una competenza in materia di rieducazione dei minori che diano manifeste prove di irregolarità della condotta o del carattere. Gli artt. da 25 a 31 del r.d.l. n. 1404/ 1934 e successive modificazioni disciplinano, infatti, la c.d. competenza amministrativa dell’autorità giudiziaria minorile.

La competenza amministrativa del TM riguarda interventi educativi a favore di adolescenti in difficoltà. Il TM, nell’esplicazione di questa funzione, si avvale della collaborazione dei servizi socio assistenziali territoriali, dei servizi delle Aziende sanitarie locali e di tutti gli organismi del terzo settore; se il minore ha già violato la legge e commesso un reato, si avvale anche dei servizi sociali del Ministero della Giustizia. L’intervento sul minore non è caratterizzato da spirito sanzionatorio, ma attiene all’adozione di misure rieducative che si rivolgono a minorenni la cui condotta è sintomo di grave disadattamento e disagio, a prescindere dalla commissione di un reato, a titolo appunto preventivo. Cosa si debba intendere per "irregolarità della condotta e del carattere" risulta di difficile interpretazione. L'irregolarità della condotta e del carattere deve essere messa in relazione col dovere implicito di obbedienza che ricorre in capo ai figli nei confronti dei genitori (art. 358 c.c.), anche in relazione alla sussistenza del correlativo dovere di questi ultimi di istruire ed educare la prole (art. 147 c.c.). Essa tuttavia si riferisce ad un ambito più ampio rispetto a quello endofamiliare, in considerazione della legittimazione attiva dell'istituto e degli obblighi di obbedienza ai quali il minore è tenuto in qualsiasi ambito sociale di cui entra a far parte.

Ne consegue che, per irregolarità della condotta del minorenne, deve intendersi una violazione rilevante all'obbligo di obbedienza ed, in generale, di buona condotta. La "condotta" si riferisce a quelle componenti del comportamento che si manifestano in modo occasionale, mentre per "carattere" deve intendersi l'insieme delle indoli morali volte a costituire la persona nella sua individualità, formate sia da elementi caratteriali persistenti che evolutivi. Deve ritenersi, invece, a seguito del riconoscimento anche nel nostro ordinamento in capo ai minori dei diritti della personalità, specificamente previsti dalla costituzione e dalle convenzioni internazionali in materia di diritti umani (in particolare, dalla convenzione di New York del 20.11.1989, rat. l. 27.5.1991 n. 176), del tutto caducata la possibilità di ricorrere all’art. 25, r.d. l.n. 1404/1934 per far fronte a tutte quelle situazioni in cui il minore manifesti una propria volontà in modo difforme da quella dei genitori o di coloro che ne facciano le veci.

Presupposto per l’applicazione della misura rieducativa è la sussistenza di manifesta prova di irregolarità del carattere e della condotta: la normativa è diretta ad incidere su situazioni di disagio che rappresentino un ostacolo al pieno sviluppo evolutivo del giovane, pregiudicandone il diritto a formare la sua personalità: alcoolismo, dipendenze da internet, fughe da casa, abbandoni scolastici, bullismo, autolesionismo, incapacità a rispettare le regole della famiglia, della scuola e dei gruppi sociali.

Nel momento in cui il ragazzo ha già assunto una condotta irregolare ed entra quindi nel circuito della giustizia minorile, il Tribunale per i Minorenni, come si è detto, in collaborazione con gli uffici del servizio sociale per i minori e i servizi territoriali, prende in carico il minore ed interviene, attraverso un percorso rieducativo rivolto anche al sostegno della genitorialità, al fine di ridurre il rischio che tali comportamenti si cristallizzino nel minore fino alla commissione di un reato.

Le misure applicabili sono: l’affidamento al servizio sociale, il collocamento in una casa di rieducazione o in un istituto medico-psico-pedagogico (ora, dopo la soppressione di questi istituti, a far data dal 1° gennaio 1978, in strutture comunitarie attive nell’ambito delle competenze degli Enti locali o spesso gestite dal privato sociale). Tali misure hanno perso ogni carattere repressivo o contenitivo esistente nelle norme originarie, avendo ora solo una finalità educativa. I dirigenti delle strutture ospitanti, in esecuzione della misura del collocamento in casa di rieducazione, hanno obbligo di relazione sul percorso del minore e i servizi sociali devono mantenere i rapporti tra la famiglia, il minore e il suo ambiente di vita, ed informarne il Tribunale per i Minorenni.

Legittimati a ricorrere al Tribunale per i Minorenni per chiedere l’applicazione di queste misure sono il Pubblico Ministero, il servizio sociale, i genitori, il tutore e gli organismi per la protezione dell’infanzia.

Il Tribunale per i Minorenni deve svolgere un’approfondita indagine sulla personalità del minore. Tale indagine viene delegata al giudice onorario, il quale si avvale della collaborazione dei servizi socio-sanitari del territorio. I servizi chiamati a svolgere tale accertamento devono anche cercare di rintracciare le risorse comunitarie disponibili sul territorio per tentare l’azione di recupero. Al termine e sulla base dell’inchiesta sociale il Tribunale decide in camera di consiglio, alla presenza del minore e di chi esercita la responsabilità genitoriale.

Queste misure possono intervenire anche in aiuto e a sostegno dei genitori, in quanto in molti casi i comportamenti devianti del minore non sono direttamente riferibili alle figure genitoriali deficitarie, ma sono tali da richiedere un intervento diretto a responsabilizzare il minore stesso.

In ogni caso, il progetto rieducativo che coinvolge quest’ultimo individua le modalità della sua attuazione, le strutture di sostegno, gli strumenti di recupero da impiegare, il tutto sotto il controllo del servizio sociale, che ha una molteplice funzione di sostegno, di osservazione, di trattamento e di controllo.

 

Art. 25 bis Con la legge 3.8.1998 n.269 contro lo sfruttamento della prostituzione è stata introdotta una nuova ipotesi di intervento amministrativo del Tribunale dei Minorenni; tale legge ha, infatti, inserito un nuovo articolo (25 bis) dopo l’art. 25 del r.d.l n. 1404/34 secondo il quale, qualora un minore straniero, privo di assistenza in Italia, sia indotto alla prostituzione, il Tribunale dei Minorenni “adotta in via d’urgenza” i provvedimenti utili alla sua assistenza, anche di carattere psicologico, recupero e reinserimento sociale,
 

Detti strumenti (che almeno nelle fasi inziali potrebbero ancora essere anche coercitivi e limitativi della libertà) sono tuttavia stati ritenuti da alcuni incostituzionali perché reprimerebbero comportamenti non costituenti reato. Ma, se vengono visti e letti alla luce dell’obiettivo della garanzia del diritto all’educazione del minorenne, non si può non condividere che si tratti di interventi correttivi sui fenomeni del disagio e del disadattamento minorile, anche a tutela della società: si tratta, come scrive Aberto Carlo Moro “di attuare diritti fondamentali della persona e, conseguentemente, di difendere la comunità sociale attraverso l’integrazione di quei soggetti che, per cause diverse, ne sono estraniati”. (così in Manuale di Diritto Minorile Zanichelli Editore 2019 ,pag. 588)

I principi ispiratori delle misure rieducative nei confronti del minore trovano il loro fondamento negli artt. 2,3, e 38 della Costituzione, che garantiscono un aiuto al cittadino (e ora anche allo straniero) minore in difficoltà, perché possa superare quelle condizioni negative che impediscono il pieno ed armonico sviluppo della sua personalità individuale e sociale. Il ruolo del TM e dell’ascolto competente del minore in questa sede si colloca in questa prospettiva e può diventare per molti ragazzi un momento unico ed insostituibile per essere presi sul serio nella dimensione pedagogica o addirittura neuropsichiatrica per sé e per la famiglia.

Il minore, mediante un ascolto competente ed efficace, dovrebbe essere inserito in una rete di rapporti sociali diversi da quelli che lo hanno portato al disagio. L’importante è che queste tipologie di interventi non siano imposte, ma, attraverso una presa in carico sia del minore che del nucleo familiare, servano ad accompagnare il minore stesso a prendere consapevolezza del proprio disagio e a motivarlo al cambiamento, avviando un progetto educativo individualizzato di recupero che lo coinvolga efficacemente.

La panoramica dei Tribunali Minorili, come spesso accade, non è uniforme e mentre in alcuni di essi si è ritenuta l’obsolescenza di tali misure amministrative, in quanto valutate come uno strumento autoritario e paternalistico del giudice minorile, in altre (ad esempio il Tribunale dei Minorenni di Bologna) si reputa opportuno “far ricorso ai procedimenti amministrativi allorchè l’età del minore e la situazione familiare sono tali da far ritenere che i genitori abbiano ormai definitivamente perso il loro ruolo educativo e solo il ragazzo, ormai prossimo alla maggiore età, possa essere l’interlocutore di un provvedimento che sollecita le sue energie e la sua collaborazione per aiutarlo a costruire una vita adulta di cui egli può non essere il soggetto determinante” (così TM Bologna 9 luglio2004).

Tali misure vengono applicate soprattutto nei casi in cui l’irregolarità delle condotte non sembra riconducibile a carenze educative dei genitori.

In altri casi, come ad esempio per il Tribunale dei Minorenni di Venezia, che ha ritenuto sussistenti le condizioni di cui all’art. 25 LM per un ragazzo “dimesso dal reparto di pediatria con la diagnosi di contenimento per episodio di aggressività eterodiretta …. con grave disturbo della condotta associato a disturbo dell’umore prevalente in senso disforico protezione per abuso sessuale” disponendo pertanto l’affidamento ai Servizi affinché, previo consenso del ragazzo stesso, provvedessero al suo inserimento in una comunità “adeguata alle sue esigenze educative e/o terapeutiche e per un intervento di controllo e sostegno della sua situazione evolutiva” (così TM Venezia 17.6.2016)

A Milano il dato statistico (nell’anno 2018 sono stati 629 i ricorsi inoltrati dalla Procura al TM mentre nel primo semestre del 2019 il numero è stato di 425) testimonia un uso molto diffuso delle misure rieducative anche nelle forme del prosieguo amministrativo (dai 18 ai 21 anni) che si traduce in una serie di progetti educativi che vengono annualmente attivati dai servizi sociali a favore di adolescenti “irregolari” (devianti o meno) che necessitano di essere accompagnati in un percorso educativo.

Durata .Per entrambe le norme è possibile in forza del combinato disposto dell’art. 29 r.d.l. n. 1404/34, in base al quale i provvedimenti minorili proseguono fino al 21° anno di età, ed all’art. 23 delle legge n. 39/75 che abbassando a 18 anni la maggiore età, ha mantenuto il 21° anno come limite entro cui l’interessato ha diritto ad usufruire delle provvidenze assistenziali previste dalle leggi. Ne consegue che, se vi è in atto un progetto di sostegno per un giovane e se lui richiede di proseguire questo percorso, potrà farlo fino al compimento del 21° anno di età.

 

La competenza amministrativa del Tribunale per i Minorenni dunque per quanto bisognosa di una nuova fisionomia, continua a rappresentare un prezioso strumento di intervento sui fenomeni del disagio e disadattamento giovanile.


 

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