Sostegno scolastico all’alunno con disabilità

di avv. Rebecca Gelli

Il quadro normativo generale.

Il diritto dello studente con disabilità all’integrazione scolastica è proiezione di un principio che trova il suo espresso riconoscimento sia nella Costituzione, sia nei principi fondamentale di matrice europea e sovranazionale.

L’art. 34 Cost. dispone, infatti, che: “La scuola è aperta a tutti”, mentre l’art. 38 Cost. precisa che: “Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione”, ammettendo che a tali compiti “provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”.

Analoghe affermazioni si trovano all’interno degli artt. 21 e 22 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, degli artt. 9, 10 e 13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (ratificato dall’Italia con l. n. 130 del 2 agosto 2008), e degli artt. 5, 19 e 24 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia con l. n.18 del 3 marzo 2009).

Con tale ultimo atto, in particolare, gli Stati Parti hanno riconosciuto il diritto all’istruzione delle persone fragili, impegnandosi a garantire un sistema di istruzione inclusivo ed un apprendimento continuo, a tutti i livelli, finalizzato al pieno sviluppo della personalità, dei talenti, della creatività, come pure delle relative abilità fisiche e mentali.

Nel perseguimento di tale scopo, gli Stati Parti devono, inoltre, assicurare che le persone con disabilità non siano escluse dal sistema educativo e che possano accedere, su base di uguaglianza con gli altri, a un’istruzione primaria di qualità, gratuita, libera e obbligatoria, e all’istruzione secondaria.  

Infine, gli Stati Parti devono fare in modo che queste persone ricevano efficaci misure di sostegno personalizzato, sia all’interno del sistema educativo generale (al fine di agevolare il loro apprendimento), sia in altri ambienti che ottimizzino il progresso scolastico e la socializzazione (per favorire la loro piena integrazione).

All’epoca della ratifica della Convenzione, il principio di inclusione scolastica aveva, peraltro, già trovato piena applicazione in Italia con la legge del 5 febbraio 1992, n. 104, cd. “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, tuttora vigente.

L’art. 1 ribadisce che la Repubblica garantisce il pieno rispetto della dignità e della libertà della persona con disabilità, organizzando servizi ed interventi per promuoverne la riabilitazione ed il recupero funzionale, nonché lo sviluppo dell’autonomia e la partecipazione alla vita collettiva; gli artt. 12 e 13 specificano, inoltre, che non solo nel primo ciclo di istruzione, relativo alla scuola primaria e secondaria dell’obbligo, ma in tutte le scuole di ogni ordine e grado, da quella dell’infanzia all’università, è garantito il diritto all’educazione e all’istruzione della persona con disabilità, nonché il sostegno, mediante assegnazione di docenti specializzati.

A differenza dell’alunno con disturbo specifico dell’apprendimento, che, in assenza di patologie neurologiche e deficit sensoriali, fruisce solo di una speciale attenzione da parte del personale docente ordinario, l’alunno con disabilità ha, quindi, diritto di beneficiare, per un monte di ore prestabilito, di un insegnante di sostegno dedicato, che l’istituzione scolastica si obbliga ad assumere a suo vantaggio.

Secondo l’art. 12, 5° comma, della legge, le tappe per addivenire all’attribuzione delle ore di sostegno sono: i) l’individuazione dell’alunno come persona con disabilità, cd. “certificazione”; ii) la redazione di un “profilo di funzionamento” (già profilo dinamico-funzionale”); iv) la predisposizione di un “piano educativo individualizzato”, alias P.E.I.

Il D.P.R. del 24 febbraio 1994, all’art. 5, definisce il P.E.I. come: “Il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati ed equilibrati tra di loro, predisposti per l’alunno in situazione di handicap, in un determinato periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione”.

Esso è redatto congiuntamente dagli operatori delle unità sanitarie e dal personale insegnante curriculare e di sostegno della scuola, con la partecipazione dell’insegnante operatore psico-pedagogico, ove presente, in collaborazione con i genitori o gli esercenti la potestà parentale dell’alunno.

La stesura prevede, inoltre, il coinvolgimento del gruppo di lavoro per l’inclusione, alias G.L.I., nominato per ciascun istituto, e del gruppo per l’inclusione territoriale, alias G.I.T., nominato a livello provinciale, oltre che del dirigente scolastico.

Nella definizione del piano, tutti i soggetti propongono (ciascuno in base alla propria esperienza pedagogica, medico-scientifica e di contatto e sulla base dei dati derivanti dalla diagnosi funzionale e dal profilo dinamico funzionale) gli interventi strategici finalizzati alla piena realizzazione del diritto all’educazione, all’istruzione ed integrazione scolastica dell’alunno con disabilità, tenuto conto delle sue specifiche esigenze, difficoltà e potenzialità, nonché dei progetti di riabilitazione e dei percorsi di socializzazione che lo riguardano.

Le proposte vengono successivamente integrate tra loro, in modo da giungere alla redazione di un progetto conclusivo unitario, all’interno del quale viene anche indicato il monte ore settimanali di sostegno.

Sulla base dell’indicazione contenuta nel P.E.I. (in base all’art. 10 del d.lgs. n. 66 del 13 aprile 2017, come modificato dal d.lgs. n. 96 del 7 agosto 2019) il dirigente scolastico, raccolte le osservazioni ed i pareri del G.L.I., sentito il G.I.T., tenendo conto delle risorse didattiche, strumentali, strutturali presenti nella scuola, nonché della presenza di altre misure di sostegno, invia all'ufficio scolastico regionale la richiesta complessiva dei posti di sostegno.

Secondo costante giurisprudenza, ribadita anche a seguito alla novella dell’articolo, la determinazione del numero delle ore di sostegno contenuta all’interno del P.E.I. costituisce un provvedimento amministrativo vincolante e, pertanto, autonomamente impugnabile (ante riforma: Cass., S.U., 8 ottobre 2019, n. 25101; Cass., S.U., 20 aprile 2017, n. 9966; Cass., S.U., 28 febbraio 2017, n. 5060; Cass., S.U., 25 novembre 2014, n. 25011; Cons. Stato, 3 maggio 2017, n. 2023; dopo la riforma: T.A.R. del Lazio, 10 giugno 2021, n. 6920; in senso contrario, T.A.R. del Lazio, 15 marzo 2021, n. 3084).

Il P.E.I. non è, dunque, un atto interlocutorio, ma un provvedimento definitivo, non modificabile per effetto di successive revisioni in senso peggiorativo, da parte del dirigente scolastico e degli altri organi dotati di un margine di apprezzamento residuo sul suo contenuto.

Va, pertanto, escluso che gli uffici scolastici possano ridurre le ore quantificate nella richiesta del dirigente, come proposte del G.L.O., anteponendo le ragioni di contenimento della spesa erariale al diritto all’inclusione: sicché eventuali modifiche alle misure di sostegno contenute nel P.E.I., sia proposte dagli organi territoriali dotati di poteri consultivi, sia apportate dal dirigente scolastico, possono ritenersi ammissibili solo se in bonam partem, in quanto incidenti in melius sulla sfera giuridica degli alunni disabili.

Contrariamente argomentando, la norma finirebbe altrimenti per consentire ad organi che sono portatori di interessi in conflitto (id est le esigenze di finanza pubblica) e, comunque, non sono in una posizione di sufficiente vicinitas, rispetto allo studente con disabilità, di derogare ex post e in pejus alle misure di sostegno individuate dal gruppo di componenti più prossimi alla sua sfera affettiva e dinamico relazionale: ciò in stridente contrasto con i principi di inclusione delle persone fragili, stabiliti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali sopra richiamate.

L’ultimo decreto interministeriale.

Con decreto del 29 dicembre 2020, n. 182, il Ministero dell’Istruzione e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto tra loro, sulla scorta dell’indicazione contenuta all’art. 7 del d.lgs. 13 aprile 2017, n. 66, hanno adottato una nuova disciplina attuativa, in punto di “Adozione del modello nazionale di piano educativo individualizzato e delle correlate linee guida, nonché modalità di assegnazione delle misure di sostegno agli alunni con disabilità.

La sentenza del T.A.R. del Lazio, 14 settembre 2021, n. 9795, accogliendo il ricorso promosso da una decina di associazioni rappresentative delle persone con disabilità, ha, tuttavia, annullato tale decreto, ravvisando un eccesso di delega e un contrasto con le norme nazionali ed internazionali, in materia di inclusione di soggetti affetti da disabilità (per un più approfondito commento si consenta il rinvio a Gelli, Piano educativo individualizzato e sostegno all’alunno disabile, in Fam. dir., 2022, 190).

Tale orientamento, frutto di un’interpretazione normativa attenta alle esigenze di tutela della persona disabile, è, stato tuttavia oggetto di apparente ripensamento, in sede di appello.

Il Consiglio di Stato VI° Sezione, aveva in prima battuta rigettato la domanda di sospensione cautelare, preannunciando una pronuncia nel merito, su questioni che, in quella sede, apparivano “delicate” (Cons. Stato, 8 novembre 2021, confermata da Cons. Stato, 26 novembre 2021).

Con sentenza del Consiglio di Stato, VII° Sezione, del 26 aprile 2022, il ha, invece, accolto l’appello proposto dai Ministeri, negando la diretta impugnabilità del decreto interministeriale per insussistenza “di una lesione concreta ed attuale della situazione soggettiva dell'interessato che determini, a sua volta, la sussistenza di un interesse attuale all'impugnazione”; rilevando altresì che, in mancanza di un interesse (collettivo) ad agire degli enti ricorrenti, l'esame dei motivi di merito declinati nell’impugnazione dovesse ritenersi superfluo.

Ovviamente la disamina delle censure sollevate nell’originario ricorso potrà ancora assumere rilievo in futuro, per effetto di un provvedimento applicativo che renda attuale il pregiudizio di un alunno con disabilità, così radicando l’interesse alla reazione in sede giurisdizionale.

Nel merito, quindi, non sono state incise le argomentazioni fatte proprie dal T.A.R. del Lazio che, lamentando una modificazione in pejus dello statuto del minore con disabilità, evidenziava numerose criticità della nuova disciplina sul P.E.I.

Anzitutto, nel decreto impugnato, si ammette che la programmazione scolastica dell’alunno fragile possa prevedere la frequenza con orario settimanale ridotto e/o l’esonero generalizzato da alcune discipline, assegnando la relativa decisione ai docenti, senza passare attraverso il necessario assenso delle famiglie.

Il facsimile di modello P.E.I. allegato al decreto contiene, inoltre, un riquadro da cui si desume che l’alunno disabile possa essere autorizzato a svolgere un certo numero di ore in laboratori o altri spazi per lo svolgimento di attività separate, rispetto al gruppo classe.

Tali disposizioni, così come formulate, paiono contrastare con il diritto all’istruzione in condizioni di pari opportunità, essendo foriere di una possibile discriminazione dello studente con disabilità, il quale potrebbe, di fatto, essere estromesso o isolato, per ragioni che prescindono dai suoi reali bisogni e rispondono piuttosto ad esigenze logistiche della scuola (ad esempio, per incapacità dell’insegnante curriculare di gestire l’alunno, senza la compresenza dell’insegnante di sostegno).

Non ultimo, mentre le linee guida si spingono ad affermare la responsabilità erariale dei componenti del G.L.O., contraddittoriamente, il decreto riduce in modo apprezzabile, i margini di discrezionalità valutativa del gruppo, inserendo un meccanismo di rigida predeterminazione delle risorse professionali destinate al sostegno didattico, fondato sul cd. “debito di funzionamento”.

Ad oggi, infatti, l’assegnazione delle misure di sostegno era demandata ad una “prassi” che quantificava le ore in misura percentuale rispetto all’orario settimanale di un insegnante di sostegno (cioè 25 ore per la scuola dell’infanzia, 22 per la scuola primaria, 18 per le scuole secondarie di primo e secondo grado): così, nelle condizioni di disabilità gravissima e grave, di norma, si prevedeva la copertura per la totalità dell’orario scolastico, mentre, in quella media e lieve, per circa la metà o poco meno della metà dello stesso, con un grado di variabilità tra i diversi uffici territoriali (Cons. Stato, 3 maggio 2017, n. 2023).

In base agli allegati al nuovo decreto, il fabbisogno dell’alunno dovrà, invece, essere commisurato sulla base di precisi range che definiscono la forbice minima e massima delle ore di sostegno necessarie per ripristinare condizioni di funzionamento accettabili, in relazione alle sue capacità, secondo cinque livelli che indicano l’entità delle difficoltà riscontrate, su una scala che va da assente a lieve, media, elevata, fino a molto elevata.

Come si spiega all’interno dello stesso documento e nella relativa relazione accompagnatoria, l’effetto generale della riforma sarà quello di determinare una rimodulazione delle risorse scolastiche messe a disposizione della disabilità, rompendo il “rapporto 1:1” tra gravità della condizione di disabilità ed entità del sostegno.

Così, ad esempio, a detta del Ministero, un alunno non vedente che oggi, essendo in una condizione disabilità di massima gravità, gode di sostegno per l’intero calendario scolastico, con i nuovi parametri di calcolo, beneficerà di interventi educativi fino a un massimo di cinque ore, con conseguente risparmio di denaro pubblico.

Secondo il T.A.R. del Lazio, tutti gli istituti introdotti dalle interpolazioni normative in questione si pongono in evidente contrasto rispetto ai principi contemplati dalle norme costituzionali, comprese quelle internazionali di rango pattizio, che, ai sensi dell’art. 117 Cost., rappresentano un parametro interposto di legittimità delle norme interne.

La ratio di tale principio è che debba essere il “contesto”, inteso come ambiente, procedure, strumenti educativi ed ausili, a doversi adattare agli specifici bisogni delle persone con disabilità e non viceversa.

In quest’ottica, la personalizzazione delle misure di sostegno dev’essere orientata in modo da rappresentare uno strumento per favorire e non per mortificare il diritto alla piena inclusione degli studenti fragili.

Allo stesso tempo, le esigenze di finanza pubblica non possono giustificare restrizioni di tutela che limitino le risorse da destinare agli studenti con disabilità, riducendo l’assegnazione delle ore di sostegno sotto la soglia necessaria per garantire il loro diritto all’istruzione (C. EDU, 10 settembre 2020, n. 59751/15; C. Cost., 22 febbraio 2010, n. 80; Cons. Stato, 3 maggio 2017, n. 2023).

Disattendendo l’aspettativa creata dall’ordinanza cautelare, il Consiglio di Stato non entra nel merito di alcuna di tali censure, che vengono semplicemente ritenute assorbite.

La pronuncia, basata esclusivamente su argomentazioni di carattere preliminare e procedimentale, è destinata ad avere effetti rebus sic stantibus: bisognerà, dunque, attendere l’eventuale ricorso delle famiglie concretamente incise, per avere un definitivo chiarimento sulla questione, la cui soluzione è dunque soltanto rinviata.

L’odierno quadro normativo troverà poi il suo completamento soltanto all’esito di una modifica effettiva delle modalità di accertamento della condizione di disabilità in età evolutiva e delle discendenti certificazioni, che dovrà attuarsi mediante l’adozione delle linee guida da parte del Ministero della Salute.

Non conosciamo ovviamente in anticipo le direttive di tale futura riforma che si proclama “in linea con la Convenzione Onu”.

Si auspica, tuttavia, che, al di dà delle affermazioni di principio, quest’impulso al rinnovamento, anziché adottare correttivi utili per cercare di ridistribuire le risorse in maniera più equa, non diventi il veicolo di possibili arretramenti di tutela, a detrimento del servizio fondamentale di inclusione scolastica.

E’ comprensibile, infatti, che lo Stato abbia tra le sue priorità anche quella di risanare le casse erariali: rese, oggi, ancor più esangui dalla crisi ecomonica correlata all’attuale crisi sanitaria.

Tuttavia, ad avviso di chi scrive, non sembra che, nella scala dei valori e, comunque, a fronte della perplessità connesse a passate scelte politiche e amministrative, questo sia il focus su cui il Governo dovrebbe concentrarsi per raggiungere obiettivi di contenimento della spesa pubblica.

Scelte politiche di tal fatta andrebbero a collidere non solo con i principi costituzionali e sovranazionali di cui si è detto, ma anche con il recente monito delle stesse Nazioni Unite. L’UNICEF, nel suo ultimo rapporto sulla condizione dell’infanzia nel mondo (edito nell’ottobre 2021) ha denunciato la scarsità degli investimenti pubblici destinati dai Paesi alla tutela della salute mentale dei minori, lanciando, a livello globale, una richiesta di impegno, comunicazione e azione, per proteggere i bambini più vulnerabili.

In tal senso, come ben evidenziato dal medesimo ente, deve tenersi conto del fatto che i soggetti con disabilità sono la categoria che ha pagato il prezzo più alto, in occasione della pandemia. Per effetto del lockdown, non solo hanno scontato, come la popolazione giovanile in generale, pesanti perdite a livello di educazione didattica, occasioni di socializzazione e routine quotidiane, ma hanno spesso subito l’interruzione dei servizi di assistenza sanitaria e del sostegno scolastico, con un aggravamento della loro situazione di isolamento e larghi passi indietro, rispetto a step di crescita individuale faticosamente raggiunti.

Ben venga, dunque, una riforma volta a dipanare il coacervo normativo, portando ordine nella materia ed integrando, ove necessario, con la legge, i vuoti di disciplina che oggi sono colmati dalla prassi. Ma il prezzo da pagare, per avere finalmente un po’ di chiarezza, non può, in ogni caso, tradursi in un sostanziale taglio delle risorse, messe complessivamente a disposizione dei minori più fragili.

Ridurre, per questioni di finanza pubblica, l’entità dei mezzi al servizio di soggetti doppiamente deboli, come sono i minori con disabilità, non sarebbe né lecito, né consono alle logiche solidaristiche che, in una società civile, impongono di ripartire il “costo” della condizione di disabilità tra tutti i consociati (per analoghe conclusioni, con riferimento al problema del sostegno nella scuola paritaria, si consenta il rinvio a Gelli, Sostegno all’alunno portatore di handicap nella scuola privata paritaria, in Fam. dir., 2017, 1093).

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