Genitorialità omoaffettiva, divieto di maternità surrogata e “margine di apprezzamento” degli Stati secondo la CEDU

22 GIUGNO 2021

di Valentina Cherchi, avvocato in Cagliari                               

Con l’importante sentenza del 18.05.2021 (Causa Valdìs Fjölnisdòttir e altri c. Isalanda – domanda n.71552/17) la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto legittima la decisione delle autorità islandesi che, alla luce del divieto di maternità surrogata secondo la legge nazionale, non ha riconosciuto a una coppia di cittadine la genitorialità su un bambino nato all’estero con la maternità surrogata e senza alcun legame genetico con la coppia. Con conseguente rifiuto di registrare il bambino nel Registro Nazionale come cittadino islandese e come loro figlio.

La sentenza conferma i principi espressi nella sentenza 24/1/2017 Paradiso e Campanelli contro Italia ma, per la differenza sostanziale del caso, consente alla Corte alcuni interessanti approfondimenti sui concetti di vita familiare, vita privata, legittimità e necessità dell’interferenza da parte dello Stato.

 

Il fatto. Le ricorrenti, sposate tra loro, avevano fatto ricorso alla maternità surrogata negli Stati Uniti. Il bambino era stato concepito utilizzando la fecondazione in vitro con gameti donatori e non era biologicamente imparentato con loro. Alla nascita, avvenuta in California, erano state registrate come genitori e, non appena rientrate in Islanda, avevano richiesto la registrazione del bimbo nel registro nazionale islandese, come cittadino e come loro figlio, in conformità con il certificato di nascita.

Il Registro nazionale aveva rifiutato la registrazione e tale decisione era stata poi confermata in appello dal Ministero dell'Interno, stante il divieto di maternità surrogata in Islanda.

Nel frattempo, essendo il bambino considerato minore straniero non accompagnato, era stato nominato un tutore legale e disposto un affido provvisorio alle cure delle ricorrenti.

Le aspiranti genitrici avevano quindi fatto ricorso all’autorità giudiziaria, chiedendo l'annullamento della decisione del Ministero e una sentenza dichiarativa che imponesse a Registers Iceland la registrazione. Avevano anche presentato domanda di adozione, rimasta sospesa nell’attesa dell’esito del giudizio in corso.

Nel 2015 il bambino otteneva la cittadinanza islandese. Nello stesso anno le ricorrenti, avendo divorziato, ritiravano la domanda di adozione e veniva disposta una nuova regolamentazione dell’affidamento, con collocamento prevalente presso ciascuna di esse ad anni alterni, con ampio spazio per i rapporti con l’altra.

Il Tribunale, rilevando che riconoscere la genitorialità avrebbe creato una scappatoia legale per aggirare il divieto di maternità surrogata, aveva ritenuto legittimo l’operato dell’autorità statale; sia la Corte distrettuale che la Cassazione, seppure con argomentazioni parzialmente diverse, avevano confermato la decisione.

Infine, nel 2019, la sig.ra Fjölnisdóttir e la sua nuova coniuge ricevevano in affidamento permanente il bambino, con parità di accesso per la sig.ra Agnarsdóttir e la sua nuova coniuge.

 

La decisione. Basandosi sull'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e sull'articolo 14 (divieto di discriminazione), le ricorrenti lamentavano che il rifiuto delle autorità di registrare le due donne come genitori del bambino avesse costituito un'ingerenza nei loro diritti al rispetto della vita privata e familiare.

La decisione della Corte di rigettare il ricorso è stata così argomentata.

Le disposizioni dell'articolo 8 non garantiscono né il diritto di costituire una famiglia, né il diritto di adottare, ma presuppongono l'esistenza di una famiglia, intesa in senso ampio.

Nel caso di specie, pur essendo la maternità surrogata illegale in Islanda, e conseguentemente non configurabile un rapporto di genitorialità, il bambino era stato affidato ininterrottamente alle cure delle ricorrenti e ciò aveva determinato l’instaurazione di una "vita familiare", fatto che differenzia la situazione rispetto al caso Paradiso e Campanalli contro Italia, nel quale il rapporto tra i ricorrenti era stato interrotto dalle decisioni delle autorità nazionali.

Il rifiuto di riconoscere le due donne come genitori nonostante il certificato di nascita ha effettivamente costituito un'interferenza nel diritto delle tre ricorrenti al rispetto di tale vita familiare (rif Mennesson c. Francia, n. 65192/11, § 49, CEDU 2014).

Considerando tuttavia le disposizioni della legge islandese sul divieto di maternità surrogata, l’interferenza non può considerarsi arbitraria o manifestamente irragionevole, ma anzi dotata di base giuridica sufficiente, perseguendo lo scopo legittimo di proteggere i diritti e le libertà altrui, in particolare quelli delle donne che potrebbero essere sottoposte a pressioni per la maternità surrogata, nonché i diritti dei bambini a conoscere i propri genitori naturali. (cit. Mennesson, sopra citata, § 62, e Paradiso e Campanelli , sopra citata, § 177).

Valutando poi se tale ingerenza fosse necessaria, concetto che implica un'esigenza sociale impellente, e sia proporzionata allo scopo legittimo perseguito, tenuto conto del giusto equilibrio tra i pertinenti interessi concorrenti, la Corte ribadisce che su questioni che sollevano delicate questioni morali ed etiche sulle quali non vi è consenso a livello europeo deve essere concesso agli Stati un ampio “margine di apprezzamento” (es. sul tema della fecondazione assistita eterologa in SH e altri c. Austria ([GC], n. 57813/00, §§ 95-118, CEDU 2011 e Paradiso e Campanelli, sopra citata, § 182,).

Margine di apprezzamento entro il quale lo Stato aveva agito nel caso di specie, affiancando al mancato riconoscimento di un vincolo genitoriale formale, provvedimenti volti alla tutela sostanziale della vita familiare attraverso l’affidamento del bambino alle ricorrenti, il riconoscimento della cittadinanza e l’opzione dell’adozione rimasta aperta sino al loro divorzio. Il tutto operando un giusto equilibrio tra il diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare e gli interessi generali che lo Stato aveva cercato di tutelare con il divieto della maternità surrogata.

Così argomentando, la Corte ha quindi ritenuto insussistente la violazione dell'articolo 8 della Convenzione per quanto riguarda il diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare e privata e respinto, perché palesemente infondate, le censure in ordine alla violazione dell’art.14.

Una annotazione a parte merita il discorso relativo al diritto al rispetto della vita privata che, sinora, la Corte ha sostanzialmente equiparato alla vita familiare, considerandola dal punto di vista della stabilità del godimento da parte di genitore e figlio della reciproca compagnia, (si veda, tra le tante, Elsholz c. Germania [GC], n. 25735/94, § 43, ECHR 2000 VIII; K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 151, ECHR 2001 VII; e Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n.37283/13, § 202, 10 settembre 2019).

Al riguardo il parere separato del Giudice relatore, allegato alla sentenza, evidenzia come il diritto al rispetto della vita privata riguardi in realtà il diritto del bambino di stabilire i dettagli della sua identità come essere umano individuale, che prescinde dal vincolo biologico con gli aspiranti genitori. Si auspica pertanto che, nel futuro, la Corte possa soffermarsi sulla portata del diritto del bambino a stabilire una relazione legale genitore-figlio, come elemento del suo diritto al rispetto della vita privata e non solo familiare.

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