L’ex coniuge non ha diritto a percepire pro quota la cd indennità di incentivo all’esodo dovuta all’altro coniuge

07 GIUGNO 2024 | Mantenimento del coniuge

di Avv. Massimo Osler

Con sentenza n. 6229, pubblicata in data 07.03.2024, la Corte di Cassazione, riunita a Sezioni Unite, ha escluso che la cd indennità di incentivo all’esodo, rappresentata dalle somme corrisposte dal datore di lavoro come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente, rientri nell’alveo dell'indennità di fine rapporto di cui all’art. 12 bis della legge n. 898/1970, spettante pro quota all’ex coniuge titolare dell'assegno divorzile e non passato a nuove nozze.

Il caso di specie trae origine dalla domanda giudiziale proposta avanti al Tribunale di Milano, con la quale la moglie chiedeva, ai sensi del citato art. 12 bis, l’attribuzione alla stessa anche di una quota di quanto percepito dal marito a titolo di indennità di incentivo all’esodo.

Con sentenza del Tribunale di Milano n. 5680/2017, la domanda attorea veniva accolta solo con riferimento al TFR del marito, riportando il Giudice a quo che “…non era dovuto all'attrice alcun importo percentuale con riferimento alle somme destinate dal convenuto ad un fondo di "previdenza complementare" nonché con riferimento alle somme percepite a titolo sostanzialmente risarcitorio - di incentivo all'esodo”.

La moglie impugnava, quindi, il provvedimento di primo grado e, all’esito del giudizio in appello, la Corte, con sentenza n. 4725/2019, confermava le statuizioni del giudice di prime cure, evidenziando che, anche qualora – a differenza di quanto rappresentato dal Tribunale di primo grado – al cd incentivo all'esodo fosse attribuita natura retributiva, anziché risarcitoria, il medesimo non rientrerebbe in ogni caso nell'alveo del trattamento di fine rapporto di cui all’art. 12 bis legge n. 898/1970, trattandosi di retribuzioni non maturate in costanza di matrimonio, ma corrisposte anticipatamente allo scopo della salvaguardia del lavoratore che abbia perduto la sua occupazione e sia in attesa di reperirne un'altra.

Avverso tale ultimo provvedimento la moglie proponeva, infine, ricorso per cassazione, a seguito del quale la Prima Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 12014/2023, rilevata la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale circa l'assoggettamento o meno delle somme corrisposte al lavoratore come incentivo all’esodo alla disciplina di cui all’art. 12 bis della legge n. 898/1970, richiedeva di sottoporre la questione alle Sezioni Unite.

Nella predetta ordinanza di rimessione alla Sezioni Unite, si evidenziava che la giurisprudenza di legittimità più recente aveva ritenuto che le somme corrisposte dal datore di lavoro come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente rientrassero nell’alveo dell’indennità di fine rapporto di cui all’art. 12 bis legge n. 878/1970, in quanto dette somme avrebbero costituito redditi da lavoro dipendente “…essendo predeterminate al fine di sollecitare e remunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto” (Cfr., in questo senso, Cass. n. 14171/2016; Cass. n. 19309/2003) e sarebbero state essendo assoggettate, al pari del TFR, a tassazione separata (Cfr. Cass. n. 5545/2019; Cass. n. 25193/2022).

Tale orientamento, dunque, si poneva in contrasto con precedenti decisioni della Corte di Cassazione che, seppur in epoca meno recente, avevano affermato che la quota dell'indennità di fine rapporto spettante all’ex coniuge riguardava unicamente quell'indennità (comunque denominata) che, maturando alla cessazione del rapporto di lavoro, si determinava in proporzione alla durata del rapporto medesimo e all'entità della retribuzione corrisposta al lavoratore, escludendo pertanto eventuali ulteriori importi erogati in occasione della cessazione del rapporto di lavoro ad altro titolo (Cfr. Cass. n. 3294/1997).

Il Primo Presidente, preso atto del contrasto registrato nella giurisprudenza di legittimità, disponeva, quindi, ai sensi dell'art. 374, comma 2, cpc, che sul ricorso de quo si pronunciassero le Sezioni Unite.

Con sentenza n. 6229/2024 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno rigettato il ricorso della moglie, affermando il seguente principio di diritto: “La quota dell'indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell'art. 12 bis della L. n. 898 del 1970 n. 898, introdotto dall'art. 16 L. n. 74 del 1987, al coniuge titolare dall'assegno divorzile e non passato a nuove nozze, concerne non tutte le erogazioni corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, ma le sole indennità, comunque denominate, che, maturando in quel momento, sono determinate in proporzione della durata del rapporto medesimo e dell'entità della retribuzione corrisposta al lavoratore; tra esse non è pertanto ricompresa l'indennità di incentivo all'esodo con cui è regolata la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro”.

Il predetto principio non rappresenta altro che la conseguenza dell’applicazione del criterio che “…opera come spartiacque tra ciò che il coniuge beneficiario dell'assegno di divorzio può pretendere e ciò che lo stesso non può, invece, esigere, a mente dell'art. 12-bis L. n. 898/1970” e che trae origine dal fatto che il fondamento del diritto dell’ex coniuge di vedersi assegnata, ai sensi dell’art. 12 bis, una quota parte dell’indennità di fine rapporto dell’altro coniuge è il medesimo su cui poggia il riconoscimento dell'assegno divorzile, in quanto “…l'attribuzione patrimoniale risponde … alle medesime finalità, assistenziale e perequativo-compensativa, cui obbedisce, secondo il noto arresto di queste Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 11 luglio 2018, n. 18287), l'assegno in questione”.

Tale conclusione, secondo la Corte di Cassazione, è confermata dalla lettura del testo legislativo il quale, assegnando sic et simpliciter la quota di indennità al coniuge, non passato a nuove nozze, che sia già titolare dell'assegno di divorzio, si basa su di un presupposto chiaro: quello per cui le due attribuzioni patrimoniali – rappresentate dall’assegno divorzile e dalla quota di indennità dovuta all’ex coniuge – sono dirette al conseguimento dei medesimi risultati. Diversamente, afferma la sentenza in commento, “… l'automatismo contemplato dall'art. 12 bis non avrebbe ragion d'essere e la norma avrebbe previsto un nuovo apprezzamento di merito da parte del giudice chiamato a pronunciarsi sulla spettanza dell'indennità”.

Tanto chiarito, prosegue la Corte, la locuzione “indennità di fine rapporto” di cui all’art. 12 bis comprenderà tutte le attribuzioni patrimoniali, comunque denominate, che mantengano una necessaria correlazione con la pregressa vita coniugale, ovvero che, pur maturando alla data di cessazione del rapporto lavorativo, siano determinate in misura proporzionale alla durata del rapporto di lavoro e all'entità della retribuzione corrisposta, qualificandosi come “… quota differita della retribuzione condizionata sospensivamente nella riscossione dalla risoluzione del rapporto di lavoro (Cass. 17 dicembre 2003, n. 19309, cit.; cfr. pure Cass. 11 aprile 2003, n. 5720) secondo cui la quota dell'indennità di fine rapporto ha per l'appunto riguardo a quella parte della retribuzione, destinata al sostegno del nucleo durante la convivenza dei coniugi, percepita in forma differita”.

Tra queste, l’indennità di fine rapporto più comune rimane il Trattamento di fine rapporto, ma nel novero dell’art. 12 bis si possono comprendere, ad esempio, anche le indennità di risoluzione del rapporto di agenzia, senza che rilevi la circostanza che le medesime non abbiano carattere prevalentemente retributivo.

Dunque, al fine di stabilire se una determinata attribuzione in favore del lavoratore rientri o meno fra le indennità di fine rapporto contemplate dall'art. 12 bis, non è determinante il carattere strettamente o prevalentemente retributivo della stessa, ma è “… decisivo, piuttosto, il correlarsi dell'attribuzione - fermi, ovviamente, gli altri presupposti stabiliti dalla legge - all'incremento patrimoniale prodotto, nel corso del rapporto, dal lavoro del coniuge che si è giovato del contributo indiretto dell'altro”.

Solo con l’applicazione del predetto criterio sarà, infatti, possibile garantire il perseguimento della funzione assistenziale e perequativo-compensativa che fonda, come sovra precisato, anche l’attribuzione ex art. 12 bis legge n. 898/1970, in quanto solo in tal modo risulterà evidente il collegamento tra la partecipazione dell’ex coniuge all'indennità di fine rapporto e il contributo personale ed economico offerto dal medesimo alla formazione del patrimonio dell’altro e/o alla formazione del patrimonio di entrambi. Diversamente, ove l’indennità sia priva di tale necessaria correlazione con la pregressa vita coniugale, la medesima dovrà essere esclusa dalla fattispecie di cui all’art. 12 bis.

Invero, precisa la Corte, la cd indennità di incentivo all'esodo non opera quale retribuzione differita, sicché è da escludere la conseguente necessità di farne partecipe il coniuge che di tale retribuzione ha già fruito sotto forma di assegno divorzile.

Invero, riflette la Corte, “… tale indennità non si raccorda ad entità economiche maturate nel corso del rapporto di lavoro, onde non trova fondamento giustificativo l'apprensione di una quota di essa da parte del coniuge che ha diritto alla percezione dell'assegno di divorzio: l'esigenza di assicurare, in chiave assistenziale e perequativo-compensativa, una ripartizione dei redditi maturati nel corso del matrimonio qui non ricorre, proprio in quanto non si è in presenza di proventi accantonati nel corso della vita coniugale e divenuti esigibili al cessare del rapporto lavorativo; si è piuttosto al cospetto di un'attribuzione patrimoniale discendente da un sopravvenuto accordo con cui si remunera il coniuge lavoratore per il prestato consenso all'anticipato scioglimento del rapporto di lavoro”.

Allegati:

Sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 6229/2024, pubblicata in data 07.03.2024.  

Ordinanza della Prima Sezione della Corte di Cassazione n. 12014/2023, pubblicata in data 08.05.2023.

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