L’installazione di una microspia all’interno dell’abitazione, ove l’autore convive con il partner, integra il reato di interferenza illecita nella vita privata

di Avv. Anna Silvia Zanini

Con la sentenza n. 12713/2023, la Suprema Corte ha esaminato in quali circostanze di fatto l’installazione di una microspia all’interno dell’abitazione, ove la coppia convive, abbia rilevanza penale, integrando il reato di interferenze illecite nella vita privata ai sensi dell’art. 615 bis c.p.

Il predetto articolo del codice penale prevede, rispettivamente al primo e al secondo comma, due diverse ipotesi di reato, il c.d. delitto di indiscrezione e quello di rivelazione. A venire in rilievo, nel caso di specie, è la prima figura di reato, caratterizzata da una determinata modalità della condotta, che deve estrinsecarsi attraverso l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, dalla commissione del fatto in luoghi di privata dimora o nelle loro appartenenze ex art. 614 c.p., e dalla circostanza che il procacciamento di notizie o immagini attinenti alla vita privata della persona offesa svolgentesi nei luoghi indicati deve avvenire "indebitamente".

La norma tutela la pace e la libertà domestica, come risultato della duplice facoltà di ammissione o di esclusione dalla propria sfera privata, per salvaguardare il proprio spazio individuale.

Posto che oggetto giuridico del reato è la riservatezza domiciliare, la norma incriminatrice sanziona i soli comportamenti di interferenza attuati da chi risulti estraneo agli atti di vita privata oggetto di indebita captazione.

Dunque, l'interferenza illecita prevista e sanzionata dall'art. 615-bis c.p. è quella proveniente dal terzo estraneo alla vita privata e non già quella del soggetto che, invece, sia ammesso, sia pure estemporaneamente, a farne parte, mentre è irrilevante l'oggetto della ripresa, considerato che il concetto di "vita privata" si riferisce a qualsiasi atto o vicenda della persona in luogo riservato.

Nel caso in esame, l’imputato aveva installato una microspia all'interno dell'abitazione dove viveva insieme alla ex compagna, con la quale era in corso un procedimento per l'affidamento del figlio minore, e si era così procurato notizie attinenti all’intera vita privata della donna. Il movente della condotta dell'imputato veniva individuato nel tentativo di provare la manipolazione del figlio minore da parte della madre contro di lui. La Corte d’Appello confermava la condanna nei confronti dell’autore del fatto alla pena di 4 mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno alla parte civile, con riguardo al delitto di cui all'art. 615-bis cod. pen.

Il ricorrente in Cassazione lamentava, tra l’altro, che la Corte d’Appello aveva errato nel ritenere configurabile il delitto di interferenze illecite nella vita privata, sostenendo che il delitto in esame non potesse ritenersi sussistente quando l'autore della condotta fosse il titolare dell'abitazione in cui veniva effettuata la registrazione, perché egli era parte di quella "vita privata" che la disposizione penale mirava a tutelare. Egli, inoltre, lamentava il mancato riconoscimento della scriminante dello stato di necessità, avendo agito al fine di tutelare il legame padre/figlio e l'incolumità psicologica del minore.

La Suprema Corte riteneva infondati i motivi, rilevando come, per costante giurisprudenza, integra il reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all'art. 615-bis cod. pen. la condotta di colui che, mediante l'uso di strumenti di captazione visiva o sonora, all'interno della propria dimora, carpisca immagini o notizie attinenti alla vita privata di altri soggetti che vi si trovino, siano essi stabili conviventi o ospiti occasionali, senza esservi in alcun modo partecipe.

Il reato, pertanto, non è configurabile solo allorquando l'autore della condotta partecipi con i medesimi soggetti e con il loro consenso all'atto della vita privata oggetto di captazione.

Non risulta, invece, decisivo, al fine di escludere la rilevanza penale della condotta, che il fatto avvenga nell'abitazione di chi ne sia l'autore, giacché ciò che rileva è che il dominus loci non sia estraneo al momento di riservatezza captato.

Dunque, il discrimine tra interferenza illecita e lecita non è dato dalla circostanza che il fatto avvenga nell'abitazione di chi ne sia l'autore, ma dalla circostanza che il dominus loci sia stato o meno partecipe al momento di riservatezza captato.

Nel caso all'attenzione degli Ermellini, è stata accertata la non partecipazione dell'imputato alle conversazioni registrate tra la vittima e suoi interlocutori mediante apposizione di una microspia nell'abitazione comune.

La Suprema Corte ha chiarito che

risponde del reato anche chi predispone mezzi di captazione visiva e sonora nella propria dimora, carpendo immagini e conversazioni o notizie attinenti alla vita privata di chi in tale abitazione si trovi, siano essi stabili conviventi oppure occasionali ospiti, quando l'autore della condotta non sia partecipe dell'atto della vita privata captato”.

La Cassazione ha inoltre escluso l’applicabilità della causa di giustificazione dello stato di necessità, avendo l’autore affermato di aver effettuato le registrazioni al fine di tutelare il figlio minore, ribadendo come non possa avere rilievo scriminante la spinta emotiva che ha determinato il ricorrente a commettere il delitto, in quanto per la sussistenza del reato è richiesto il dolo generico, consistente nella volontà cosciente dell'agente di procurarsi indebitamente immagini inerenti alla privacy altrui.

Il ricorso è stato quindi rigettato.

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