Se il padre cambia cognome deve essere valutato l’interesse della figlia minore alla stabilità dello stesso

di avv. Barbara Bottecchia

IL CASO. La madre divorziata di una minorenne (sentenza del Tribunale di Roma del 2017 dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio e successiva pronuncia di nullità del vincolo dichiarata dal Tribunale ecclesiastico) viene a conoscenza dell’avvenuto cambiamento di cognome dell’ex marito con conseguente effetto sul cognome della figlia. Rappresenta quindi alla competente Prefettura di non aver mai prestato il prescritto consenso alla modifica, e contestualmente diffida l’Amministrazione “alla riconduzione allo status quo ante del cognome della sola minore ripristinando il suo cognome alla nascita”.

La Prefettura della provincia di Roma in accoglimento annulla d’ufficio, in data 4.3.2021, il provvedimento del 2.10.2017 con il quale era stato modificato il cognome dell’ex marito.

Avverso tale provvedimento propone ricorso al TAR Lazio l’ex marito, lamentando come il provvedimento impugnato fosse stato emesso circa 3 anni e 6 mesi dopo l’autorizzazione da lui ottenuta di cambio del cognome, e quindi ben oltre il termine di 18 mesi stabilito dall’art.21 nonies comma 2 bis della legge 241 del 1990, violando così il suo legittimo affidamento e comunque eccepiva il difetto del dolo nella sua condotta. Precisava, altresì, che non potevano sussistere ragioni di interesse pubblico essendo il diritto al nome un diritto della personalità da collocare, a suo dire, nella dimensione privatistica, con la conseguenza che il Prefetto non avrebbe alcuna possibilità di effettuare un bilanciamento tra i due interessi, privilegiando con il provvedimento impugnato quello della figlia alla stabilità del cognome; e dovendosi ritenere, viceversa, prevalente il suo interesse al cambio del cognome essendo la sua scelta motivata dalla sua volontà di onorare la memoria del padre (adottivo), illustre giurista.

Resisteva la madre deducendo di essere venuta a conoscenza del cambio di cognome dell’ex marito e conseguentemente della figlia, solo in occasione della richiesta dell’ex marito al Ministero degli Affari Esteri di modificare il cognome della minore anche sul passaporto diplomatico. A quel punto ella ha verificato i registri anagrafici del Comune di Roma scoprendo che alla figlia era stato modificato il cognome. Procedeva, quindi, alla diffida alla Prefettura e ad interessare della questione anche la procura della Repubblica.

Deduceva, altresì, che la richiesta di modifica del cognome da parte dell’ex marito era stata accompagnata da autodichiarazioni non veritiere, rese ai sensi del DPR 445/00 avendo egli omesso di riferire di aver contratto matrimonio e di aver avuto una figlia, e corredando la richiesta con una carta di identità del 2009 antecedente al matrimonio e alla nascita della figlia, in cui risultava di stato libero. Precisava, altresì, che la figlia a scuola e dalla cerchia di amici con il cognome originario e che l’imposizione del nuovo cognome le potrebbe creare un problema di identità.

LA DECISIONE. Il Tar Lazio respinge il ricorso dichiarandolo infondato poiché, a causa delle omesse dichiarazioni del ricorrente in ordine alla composizione del suo nucleo familiare, da un lato la madre non ha potuto esprimere il necessario consenso, e dall’altro la Prefettura non ha potuto effettuare una corretta valutazione del bilanciamento dell’interesse del padre alla modifica del cognome con il pubblico interesse alla stabilità e alla certezza degli elementi identificativi della persona e del suo status giuridico e sociale.

Ne consegue che legittimamente l’Amministrazione ha agito in autotutela, annullando il provvedimento impugnato, viziato da evidenti profili di illegittimità per difetto di istruttoria imputabile all’istante, potendolo fare anche superando il rigido termine dei diciotto mesi (entro il quale il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio), sussistendo nel caso di specie l’interesse pubblico alla certezza e alla continuità dello status, oltre che della continuità delle risultanze anagrafiche, coincidente con l’interesse privato della figlia minore al mantenimento del proprio personalissimo diritto al nome e alla continuità della vita di relazione.

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