La Kafala nel processo penale

Commento a Cass. Pen., Sez. I, Sent., 9 giugno 2021, n. 22734

 

Nel diritto islamico la “Kafala” è l’istituto giuridico con il quale chiunque, per mezzo di una dichiarazione solenne da rendersi dinanzi ad un giudice o ad un notaio, può rendersi kafil, assumendo l’impegno di provvedere alle esigenze di vita di un makfoul, un minore abbandonato, fino al raggiungimento della sua maggiore età, con l’obbligo di accudirlo con le stesse modalità di un genitore.

La Kafala costituisce lo strumento principale di protezione dell’infanzia in tanti Paesi islamici, ove non esiste un istituto giuridico paragonabile all’adozione, intesa secondo le norme dell’ordinamento italiano: il kafil è personalmente obbligato nei confronti del minore a provvedere alle sue esigenze, anche se non sorge alcun vincolo di filiazione, né vengono meno i rapporti giuridici eventualmente esistenti tra questi e la famiglia d’origine.

La nostra giurisprudenza, di merito e di legittimità, ha più volte affermato che, ai fini del ricongiungimento familiare, e del rilascio del relativo nulla osta, deve trovare riconoscimento in Italia il provvedimento straniero di affidamento di un minore anche mediante Kafala.

La Suprema Corte ha recentemente affrontato anche la rilevanza dell’istituto della Kafala in ambito penale.

Il Caso. Un donna veniva tratta a giudizio per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina perché, nel corso di un viaggio verso la Turchia con scalo a Roma, l’Autorità italiana accertava accompagnarsi con una minore che non era sua figlia.

L’imputata veniva condannata dal GUP presso il Tribunale di Civitavecchia, e la sentenza confermata dalla Corte d’Appello di Roma. Proponeva ricorso per Cassazione, rilevando che, in virtù dell'istituto islamico della Kafala, si era impegnata a crescere e curare l’educazione della minore, figlia della sorella, e che ciò legittimava anche il viaggio che stava affrontando con lei.

Lamentava che tale circostanza, non considerata nei giudizi di merito, doveva ritenersi idonea a far escludere la configurabilità del reato di cui all’art. 12, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998 e ciò alla stregua della giurisprudenza che ravvisa la non configurabilità del reato nella condotta del genitore che porta con sé irregolarmente il figlio minore (cfr. Cass. Pen. sez. 1 n. 23872 del 3.06.2010: “non integra il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina la condotta dello straniero che faccia illegalmente ingresso nel territorio dello Stato portando con sè la propria figlia minorenne”.

La sentenza in commento ha accolto il motivo di ricorso rilevando che la Corte d’Appello di Roma aveva “omesso di esaminare la documentazione prodotta dalla difesa relativa all'esistenza dell'indicato istituto islamico. Ciò ha comportato un evidente vulnus, in quanto i giudici di merito avrebbero dovuto accertare la validità o meno della dedotta kafala e la sua equiparabilità al rapporto madre/figlio per le importanti conseguenze giuridiche derivanti in caso di esito positivo di detta valutazione

La sentenza è stata, quindi, annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello, che dovrà valutare se la sussistenza dell’istituto della Kafala sia idonea ad escludere la configurabilità del reato di cui all’art. 12, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998.

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