Restituire valore alla vita anche nelle restrizioni imposte dalla malattia: Cure palliative e Terapia del dolore nel parere del Comitato Nazionale di Bioetica del 14 dicembre 2023

di Avv. Cristina Arata

Negli ultimi decenni la dignità umana si è progressivamente trasformata, sia nell’ordinamento internazionale che in quello interno, da valore meramente etico a parametro giuridico delle condotte ed infine a vero e proprio diritto soggettivo, oggi sancito anche a livello europeo dalla Carta di Nizza (art. 1 co. 1 “La dignità umana è inviolabile”).

La materia di elezione che ha consentito questa evoluzione giuridica è stata la relazione di cura, ed in particolare le tematiche connesse al fine vita, in cui ha trovato ampia attenzione l’esigenza del sollievo dal dolore.

Nel nostro ordinamento, già nel 1997, la “Carta dei diritti dei morenti” prevedeva all’art. 5 il “diritto a non soffrire inutilmente” e quindi al sollievo dal dolore e dalla sofferenza.

Diritto successivamente ribadito nel 2005 nella “Carta dei diritti sul dolore inutile”, elaborata da Cittadinanzattiva, che si muoveva nel solco segnato dal Progetto “Ospedale senza dolore” esito dell’accordo Stato Regioni del 24 maggio 2001, poi evolutosi nel Progetto “Ospedale – Territorio senza dolore” recepito nella legge n. 38/2010 (“Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”), normazione di assoluta avanguardia che contempla un insieme di principi e disposizioni volte a garantire un’assistenza qualificata e appropriata in ambito palliativo e nella terapia del dolore, sia per il malato che per la sua famiglia.

All’art. 2, co. 1, lett. a) della l.n. 38/2010 le cure palliative (CP) sono definite come “l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”.

Alla successiva lettera b) la terapia del dolore (TD) viene definita come “l’insieme degli interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore”.

Il Comitato Nazionale di Bioetica (CNB), nel parere reso a dicembre 2023, sottolinea come la legge n. 38/2010 valorizzi il diritto alla salute ex art. 32 Cost. sia mediante un approccio olistico alla persona sia affermando il diritto universale di accedere alle CP e alla TD, inserite dal DPCM 12 gennaio 2017 nei LEA (livelli essenziali di assistenza).

Altro aspetto fondamentale della normativa è il superamento della concezione che tendeva a considerare le Cure Palliative circoscritte all’orizzonte temporale del fine vita: l’accesso deve essere precoce, valutato in base alla situazione clinica, alla complessità assistenziale e alla prognosi del singolo paziente. Superato anche il limite di loro applicazione ad alcune sole patologie (evolutive ad esito infausto): oggi CP e TD operano in tutti gli ambiti assistenziali, in ogni fase della vita e per qualunque patologia ad andamento cronico ed evolutivo per cui non esitano terapie, o le stesse risultino inadeguate ai fini della stabilizzazione della malattia.

La sofferenza non è più, quindi, un aspetto inevitabile del percorso del malato, ma una dimensione che va affrontata con sistematicità in tutte le fasi e in ogni setting di assistenza, e con un approccio integrato e multiprofessionale, che preveda la convergenza di competenze specializzate provenienti da molteplici discipline e professioni (medici, psicologi, infermieri, fisioterapisti, operatori socio-sanitari, assistenti sociali, assistenti spirituali, volontari) oltre che di familiari, amici, comunità.

Il Comitato Nazionale, alla luce delle esperienze applicative maturate nell’ultimo decennio, richiama l’attenzione su due aspetti essenziali: la relazione con il paziente e la formazione di medici e operatori.

Partendo dal diritto inalienabile del paziente ad essere adeguatamente informato sulle sue reali condizioni di salute, sulle opzioni di trattamento disponibili e sulle sue aspettative di vita, il CNB afferma l’urgenza di un intervento “culturale”, che recuperi una visione della morte come processo “normale”, parte ineliminabile della vita.

Consapevolezza strettamente connessa alla possibilità concreta di restituire valore alla vita, sia pure nelle restrizioni imposte dalla malattia, e all’efficacia dello sforzo di operatori e sistema socio-sanitario nel mitigare ogni forma di sofferenza nel costante rispetto della volontà del paziente, attuale o espressa nelle DAT (disposizioni anticipate di trattamento, il c.d. Testamento Biologico) o ancora nella pianificazione condivisa delle cure (art. 5 della l.n. 219/2017).

Sul piano culturale l’azione informativa non va, ovviamente, diretta solo ai cittadini ma anche al personale medico e socio-sanitario, per abbattere pregiudizi e malintesi persistenti che ancora impediscono la giusta diffusione e accesso alle CP e alla TD.

È poi necessario adeguare l’offerta formativa universitaria pre e post laurea, ancora troppo insufficiente e lacunosa: deve essere ricompresa nel piano formativo una seria preparazione sulla comunicazione e l’attenzione agli “aspetti psico-sociali e spirituali dell’assistenza”, che non attengono solo all’eventuale fede religiosa ma a quella più ampia dimensione interiore basata su un sistema di valori che dia senso all’esistenza, anche nelle condizioni di estrema fragilità.

La ricerca scientifica e la disponibilità crescente di farmaci e dispositivi in grado di prolungare l’aspettativa di vita pur in presenza di malattie evolutive, consente oggi un approccio non solo precoce ma anche simultaneo, in cui al palliativista si affianchino altre figure professionali e specialisti di varie discipline. Ciò rileva soprattutto quando le CP e la TD trovano applicazione in età pediatrica.

La riflessione del Comitato Nazionale parte, quindi, dalla constatazione che viviamo un tempo in cui sono notevolmente ampliati il numero delle patologie trattate e l’estensione del periodo di tempo in cui può essere necessario un intervento palliativo e il sollievo dal dolore.

Un tempo in cui vi è necessità di rendere effettivo l’accesso universale alle CP e alla TD con la diversificazione e aumento dei luoghi in cui possono essere erogate (ospedali, Hospice, RSA, case di riposo, ambulatori specialistici, domicilio del paziente).

Un tempo tuttavia in cui vi sono ancora troppe disuguaglianze economiche, sociali e geografiche che affliggono, non solo per l’aspetto in esame, il nostro sistema socio sanitario. Cui si unisce la grave assenza di personale qualificato, cui suppliscono di fatto milioni di “informal caregivers” la cui importanza è stata di recente riconosciuta anche dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e, nel nostro diritto interno, (per la prima volta) dalla legge di bilancio 2018 (art. 1 co. 254-256 l.n. 205/2017).

In sostanza disciplina normativa e pratica clinica delle CP e della TD devono correre parallelamente, nel rispetto e nell’applicazione di principi fondamentali.

Il primo aspetto è l’accesso universale ed equo: l’invecchiamento della popolazione unito ai mutamenti nelle tipologie delle malattie ha portato ad una crescente necessità di CP (circa l’1,4% della popolazione adulta necessita di tali cure). Questo espone al rischio di uno squilibrio tra necessità effettive e disponibilità dei servizi.

È compito del legislatore e del Governo garantire l’equilibrata distribuzione delle risorse, anche accelerando l’accreditamento delle reti di CP a livello regionale e locale, in modo che si integrino con immediatezza ai percorsi di assistenza a pazienti con patologie croniche ed evolutive di ogni età, e in modo che cooperino fra loro. L’accesso universale alle CP deve essere effettivo: l’età cronologica o le categorie diagnostiche non devono essere usate come filtri per l’esclusione a priori dei pazienti. Allo stesso modo deve essere assicurato l’accesso ai farmaci fondamentali per ridurre la sofferenza fisica e psichica, assicurandone la gratuità (compresi gli oppioidi).

Vanno poi previsti sostegni o agevolazioni fiscali per coloro che si impegnano nell’assistenza, a partire dai familiari e caregivers, per alleviarne anche il carico emotivo: obiettivo delle CP è promuovere il benessere complessivo del paziente ma anche di coloro che lo accompagnano nel percorso terapeutico.

Altro aspetto fondamentale è l’attivazione tempestiva. Al fine di riconoscere prontamente la necessità di CP e procedere con trattamenti appropriati, è essenziale diffondere la comprensione della natura e finalità delle CP tra il personale sanitario, compresi i medici di medicina generale, in modo da integrare le CP nell’assistenza primaria.

È essenziale favorire la collaborazione tra specialisti della malattia di base del paziente e i palliativisti, per una valutazione integrata e globale degli obiettivi e percorsi di cura, soprattutto quando possono ancora essere orientati ad un significativo prolungamento della vita. Sviluppare la loro sensibilità verso i desiderata dei pazienti e delle loro famiglie.

L’accompagnamento integrato del paziente seguirà l’evoluzione della patologia, con progressivo prevalente ruolo del palliativista nelle fasi più avanzate: in tale contesto la presa in carico nella rete di CP non verrà percepita da pazienti e familiari come una rinuncia ai trattamenti, ma come necessità che la cura resti proporzionata al quadro clinico. Questo passaggio graduale e sereno è favorito anche dall’utilizzo di strumenti come la pianificazione condivisa delle cure, che anticipa le riflessioni sulle evoluzioni della malattia e le necessità terapeutiche e di supporto.

Meglio, per il CNB, sarebbe creare uno “sportello unico”: punto di contatto esclusivo dei pazienti con le reti CP, TD e i servizi sanitati e sociali, per poter beneficiare della complessità dei servizi senza sentirsi disorientati dall’inevitabile intreccio di competenze e responsabilità.

L’integrazione delle strutture e del personale sanitario è essenziale per garantire che gli eventi legati alla salute siano percepiti come continui e coerenti da pazienti e famiglie, riducendo la sensazione di abbandono di fronte alla frammentazione delle risposte di cura.”

Resta primario anche il diritto del paziente a ricevere informazioni complete sul percorso di cura: molti pazienti che accedono alle CP si trovano in una condizione di particolare fragilità, spesso con ridotta capacità di autodeterminarsi. Il contesto comunicativo, quindi, è particolarmente delicato e richiede preparazione attenzione e strumenti appropriati. Ecco perché può risultare utile una riflessione sulle CP già nella fase iniziale della diagnosi di una patologia cronico evolutiva, e rappresentarle nel quadro delle opzioni di trattamento presenti e future. Replicando poi le informazioni nelle fasi successive, in modo da arrivare al momento in cui sarà ineludibile l’applicazione delle CP con un paziente e familiari già consapevoli.

Allo stesso modo il contenuto delle informazioni deve essere adeguato alle varie fasi della malattia: dall’iniziale approccio sull’esistenza e sulle finalità ad un progressivo approfondimento della loro funzione di supporto alla qualità della vita, e nelle fasi più avanzate del ruolo terapeutico anche per la gestione di sintomi refrattari, che resistono alle terapie più avanzate, fino alla possibilità di accedere alla sedazione palliativa profonda e continua.

È compito del medico e dei sanitari comunicare con il paziente in modo sopportabile e progressivo, senza mai occultare informazioni rilevanti, ma al contempo consentendo di riceverle, comprenderle ed elaborarle secondo le possibilità: “Ogni persona affronta la sfida emotiva psicologica e fisica di una diagnosi e di una prognosi in modo unico,  trovando il proprio ritmo e il proprio modo di gestire la situazione.”

 

Le CP, sotto questo profilo, sono anche garanzia del riconoscimento dei limiti della medicina che “deve guarire”, e un baluardo contro ogni forma di ostinazione irragionevole alle cure (c.d. accanimento terapeutico).

Un ruolo fondamentale giocheranno in futuro la formazione e la ricerca.

La formazione e preparazione sulle CP devono essere diffuse a tutti gli operatori dei servizi sociali e sanitari (geriatri anestesisti neurologi internisti medici intensivisti riabilitatori infermieri ecc.) per sviluppare competenze adeguate e favorire la collaborazione interprofessionale.

È necessario arricchire l’offerta formativa pre-laurea e post laurea assicurando a tutti gli operatori le competenze necessarie per individuare tempestivamente il bisogno di CP in ogni contesto sanitario. L’approccio formativo deve favorire una visione comprensiva della medicina, sia come disciplina rivolta al trattamento della malattia (cure) sia come attenzione alla soggettività del paziente (care).

È necessario arricchire tutti i programmi formativi con moduli specifici di bioetica applicata, fornendo gli strumenti necessari per affrontare i dilemmi etici associati ai trattamenti terapeutici e diagnostici che si attuano nel percorso di malattia alla fine della vita, e promuovendo un approccio educativo che valorizzi sia la dimensione scientifica che quella umanistica, aperta ad accogliere tutte le dimensioni dell’esperienza umana, inclusi valori credenze ed esigenze individuali, e la transizione verso la morte, e valorizzando la dignità e la complessità dell’esperienza umana del paziente e della sua famiglia.

Quanto alla ricerca sarà essenziale trasferire adeguati finanziamenti nel campo delle CP e nella gestione del dolore.

È necessario creare reti collaborative tra clinici e ricercatori, per promuovere la condivisione di conoscenze, la collaborazione interdisciplinare e il trasferimento efficace dei risultati della ricerca alla pratica clinica, tenendo conto della necessità di integrare le migliori evidenze disponibili con le esigenze, le preferenze e i valori dei pazienti e delle loro famiglie.

È necessario allineare gli sforzi della ricerca nazionale con quella internazionale, per contribuire alla conoscenza globale nel campo delle Cp. E infine promuovere solide linee guida per condurre studi su pazienti con malattie cronico – evolutive e in situazione di grave disabilità, assicurando il giusto equilibrio tra la tutela dei diritti del paziente e il contributo alla ricerca scientifica per lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici.

In conclusione per il CNB le CP e la TD devono trovare applicazione secondo i principi di equità e giustizia sociale, nel rispetto dell’autonomia e della dignità della persona, specialmente nelle fasi di avvicinamento alla fine della vita.

Il complessivo sistema deve riconoscere e valorizzare il ruolo di sostegno delle famiglie e dei caregivers, perseguire la ricerca e l’innovazione, contrastare i pregiudizi favorendo consapevolezza e partecipazione dei cittadini e degli operatori nelle decisioni di politica sanitaria in tema di CP.

Le reti di CP devono funzionare informandosi ai principi di integrazione e competenza, e l’organizzazione deve ispirarsi al valore della responsabilità e della trasparenza, rimuovendo inutili percorsi burocratici che rendono faticoso l’accesso alle CP e garantendo la disponibilità dei farmaci e di ogni ausilio utile per il trattamento dei sintomi, favorendo la disponibilità di tempo umanità empatia e comprensione.

Cure palliative e trattamento del dolore non possono prescindere dalla stretta coesistenza di competenza, rigore scientifico e umanità.

Etica e scienza trovano così una loro necessaria coesistenza nella pratica assistenziale, potendo rappresentare nel loro connubio una risorsa strategica di intervento per l’intero SSN e al contempo garantire al paziente empatia, rispetto e qualità di vita.

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