La Carta dei diritti delle persone con emofilia

È stata di recente presentata alla Camera dei deputati la Carta dei diritti della persona con emofilia, redatta e condivisa tra associazioni dei pazienti, associazioni civiche, medici clinici esperti di emofilia ed esperti del settore medico sanitario nazionale.

L’emofilia rappresenta la più grave delle malattie emorragiche congenite di origine genetica e comporta, fra l’altro, l’alterazione del processo di coagulazione del sangue. Le emorragie possono manifestarsi a carico di qualsiasi organo o apparato, e se coinvolgono organi vitali possono mettere rischio la stessa vita della persona. Frequenti sono le emorragie a livello delle articolazioni.

I bisogni dei pazienti emofilici sono, quindi, molteplici e differenziati a seconda della loro età e caratteristiche di vita.

Con l’emofilia si deve convivere. E’ quindi essenziale cercare di mantenere una buona qualità di vita, raggiungibile purché le attività clinico-assistenziali volte al soddisfacimento dei bisogni delle persone affette da emofilia tengano conto della loro complessiva dimensione esistenziale, e quindi anche lavorativa e familiare: resta fondamentale garantire loro l’integrazione e l’inclusione sociale.

Questa assistenza organizzata deve anche prevenire le situazioni di rischio di insorgenza delle manifestazioni emorragiche.

La Carta dei diritti nasce appunto come strumento di dialogo tra cittadini, medici ed istituzioni, come terreno comune per definire un itinerario condiviso da percorrere insieme.

L’obiettivo finale è quello di aumentare il livello di riconoscimento, di protezione e di attuazione dei diritti dei malati di emofilia nei differenti contesti sanitari nazionali.

Per promuovere una partecipazione responsabile dei cittadini al sistema sanitario nazionale, le persone devono essere informate e consapevoli.

Chi acquisisce la capacità di comprendere il proprio bisogno assistenziale può cooperare nell’ottimale gestione delle risorse e dei servizi, a beneficio proprio e di quello degli altri cittadini. Questo non è solo l’esito dell’esperienza della relazione di cura con le malattie rare, croniche e neurodegenerative, ma è anche il quadro normativo disegnato da ultimo dalla legge n. 219/2017, sul consenso informato e sulla relazione terapeutica.

La Carta raggruppa e cerca di descrivere i diritti delle persone affette da emofilia, quelli riconosciuti dall’ordinamento giuridico interno, dalla costituzione europea, dalle fonti internazionali: uno strumento di conoscenza e di cultura condivisa, sia per il cittadino paziente, sia per le istituzioni e organizzazioni che a vario titolo interagiscono con lui.

Si tratta di principi comuni da cui partire per individuare strategie e metodi di intervento adeguati ai bisogni di pazienti e delle loro famiglie, attraverso una sinergia consapevole e voluta, volti a promuovere una comunità che si fa carico della relazione di cura e di assistenza sociosanitaria coinvolgendo diverse professionalità, organizzazioni e istituzioni, una “comunità sanante” impegnata complessivamente all’ascolto, alla comunicazione, al riconoscimento della dignità della persona.

Sul piano dei contenuti la Carta recepisce gli approdi più importanti della riflessione bioetica e biomedica.

Anzitutto la centralità della persona malata e la necessità della personalizzazione del progetto di cura e di vita. Poi l’adesione ad un concetto di salute che non è “assenza di malattia o di infermità”, ma uno stato di equilibrio, di benessere fisico e mentale e sociale: in presenza di situazioni di cronicità la cura diventa “prendersi cura” della persona nel suo insieme di relazioni, legami, attività di vita.

I diritti individuati della Carta sono complessivamente undici raggruppati in quattro aree fondamentali: la comunicazione, l’educazione, la personalizzazione della cura, la ricerca.

Pare rilevante, in linea con quanto disposto dall’articolo 1 della l. n. 219/2017, sottolineare (rinviando per il resto alla lettura del documento allegato) il diritto alla “comunicazione”, che è anzitutto possibilità per la persona con emofilia di accedere a tutti i tipi di informazioni riguardanti il suo stato di salute, di conoscere i servizi socio sanitari disponibili e le possibilità di utilizzazione delle risorse pubbliche e private.

La persona con emofilia deve quindi essere informata in modo chiaro e completo, ma anche adeguato e appropriato, sul proprio stato di salute (natura e diagnosi delle malattie) e sulle aspettative di vita (prognosi trattamenti e loro effetti collaterali).

L’adeguatezza richiede una comunicazione non improvvisata, ma pensata e programmata, che tenga conto del/dei destinatari e che sia tarata su di loro; eseguita con calma, nel tempo necessario, in ambiente idoneo.

La comunicazione deve dare spazio alle emozioni del paziente, alle sue paure, ai suoi desideri e deve consentirgli di apprendere quale possa essere lo stile di vita più aderente alla sua quotidianità e quali siano gli interventi necessari di prevenzione e di sicurezza.

Questa alleanza terapeutica è una relazione basata sulla fiducia e richiede spesso l’intervento di un’équipe multi disciplinare (medico specialista, psicologo, paziente esperto): nella pratica spesso vengono coinvolti i c.d. pazienti esperti, persone affette dalla stessa malattia che hanno già ricevuto un’adeguata formazione ed educazione e che quindi sono in grado di trasferire la propria esperienza concreta agli altri pazienti e ai loro familiari.

Una comunicazione efficace implica sempre un ascolto attivo, un atteggiamento empatico, un dialogo aperto.

E l’attenzione alla verifica e al monitoraggio della ricaduta delle informazioni rese, dell’effettiva loro comprensione.

Un accenno infine al diritto all’educazione sanitaria: un diritto non solo ad essere informati, ma anche “formati” e quindi ad essere messi in grado di acquisire conoscenze supplementari ed utili, in modo da rendere la persona il più possibile autonoma nella gestione della propria malattia, dei sintomi e della propria quotidianità. Anche per aiutarla a proteggersi dalle possibilità di danno alla salute nei vari ambienti di vita (familiare scolastica e sociale).

Si tratta quindi di consentire al paziente di acquisire competenze e abilità comportamentali e di gestione della malattia e della terapia.

Questo consente e agevola la personalizzazione dei percorsi assistenziali. Nell’ambito della patologia cronica i pazienti possono, infatti, avere caratteristiche cliniche molto diverse: è quindi necessario differenziare i pazienti in base alla loro storia di malattia e personale, cui è correlata in genere una specifica complessità assistenziale.

Il piano di cura personalizzato è diverso dal classico piano di cura clinico, perché costituisce un programma che integra un percorso assistenziale con un percorso esistenziale.

Un programma che tiene in considerazione i bisogni e le aspettative del paziente, che è l’attore fondamentale della propria cura, fisico e morale. Lui è il vero esperto della sua malattia.

Ma soprattutto è un approccio che coglie le persone nella loro esistenza biografica: un riconoscimento umano e socio sanitario che garantisce anche un risparmio di scala, perché evita il dissiparsi di risorse non utili e che possono, per il principio etico e giuridico di giustizia distributiva, essere impiegate altrove.

 

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