Legge applicabile e termine per l’esercizio dell’azione di disconoscimento di paternità

Con l’ordinanza n. 19324/2020, la Cassazione civile ha chiarito che il giudice, prima di applicare la legge straniera, deve verificare la sua conformità “all’ordine pubblico internazionale”, da intendersi come complesso dei principi comuni ai diversi ordinamenti in un determinato momento storico a tutela dei diritti fondamentali dell’uomo e, in caso di contrasto, in mancanza di altri criteri di collegamento, deve applicare la legge italiana. La Suprema Corte, con riferimento alla legge nazionale, ha poi evidenziato il principio di carattere generale riguardante la prova della tempestività dell’azione di disconoscimento di paternità, relativamente alla quale il dies a quo da cui decorre il termine per esercitarla coincide con il momento della conoscenza “in termini di certezza”, della condotta della moglie “idonea al concepimento per opera di altri”.    
La Corte d’appello di Milano, confermando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto inammissibile, per carenza di legittimazione ad agire, il ricorso presentato dai genitori cittadini rumeni del figlio premorto volto al disconoscimento di paternità del nipote ancora minore.
La Corte territoriale aveva ritenuto che, in base alle norme del codice della famiglia rumeno, applicabile al caso in esame in base all’art.33, comma 3, della legge n. 281/1995, nel testo vigente alla nascita del bambino, l’azione di disconoscimento di paternità poteva essere promossa soltanto dal presunto padre ed eventualmente solo continuata dagli eredi, ma non avviata da altri.
Inoltre, anche qualora fosse stata applicata la legge italiana, la Corte rilevava che non era stata fornita la prova del momento della conoscenza dell’adulterio e quindi della tempestività dell’azione promossa dagli eredi del presunto padre.
I genitori del presunto padre avevano quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza, esponendo in primo luogo che la disciplina rumena applicata al caso in esame, non consentendo agli eredi del defunto padre di agire direttamente in giudizio, si poneva in contrasto con l’ordine pubblico interno ed il diritto comunitario e doveva quindi essere disapplicata con conseguente ricorso alla normativa italiana. Con il secondo motivo di ricorso, esponevano che la Corte aveva errato nell’accertamento della data in cui il presunto padre era venuto a conoscenza certa dell’adulterio della moglie, a nulla rilevando precedenti dubbi o sospetti sulla paternità del figlio.
La Corte di cassazione ha ritenuto fondati entrambi i motivi del ricorso, in particolare, ha richiamato il principio in precedenza espresso per cui

"il giudice nazionale, prima di procedere all’applicazione della disciplina straniera regolante la fattispecie, deve verificare se la stessa risulti contraria all’ordine pubblico internazionale, da intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico o fondati su esigenze di garanzia, comuni ai diversi ordinamenti, di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo (Cass.19405/2013)”. L’applicazione della legge straniera presuppone quindi “l’accertamento della coerenza di tale disciplina con le esigenze di tutela di diritti fondamentali dell’uomo desumibili dalla Costituzione, dai trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nonchè dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (Cass.19599/2016)”.

Da questa premessa, appariva evidente che la norma applicata al caso in esame, ponendo un ingiustificato limite al “diritto di accesso” alla giustizia da parte degli eredi del presunto padre titolare dell’azione di disconoscimento, “si pone in contrasto con il diritto di iniziativa processuale riconosciuto dagli artt. 24 Cost., 6 CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”, e quindi doveva essere “trascurata”, dovendosi fare applicazione della legge italiana, come previsto dall’art.16, comma 2, L.n.218/1995.
In merito al secondo motivo del ricorso, relativo alla tempestività dell’azione di disconoscimento ai sensi dell’art.244 c.c., ancora la Suprema Corte ha richiamato il proprio orientamento per cui

il dies a quo per la decorrenza del termine annuale di esperibilità dell’azione deve identificarsi col momento in cui l’attore “ha conosciuto, in termini di certezza, l’esistenza di una condotta della moglie idonea al concepimento per opera di altri” mentre “non assumono rilievo né il sospetto dell’esistenza di una vera e propria relazione, né la dimostrazione di una condotta che tale capacità non abbia”.

Gli ermellini precisano che “un simile principio assume portata generale, di modo che ad esso devono ispirarsi sia l’attore, nell’assolvere all’onere che su di lui grava di comprovare la tempestività dell’iniziativa processuale assunta, sia le altri parti processuali, nel caso in cui intendano effettuare allegazioni difformi dagli assunti avversari al fine di retrodatare l’epoca indicata dall’attore”.
Ciò significa che, qualora il convenuto intenda addurre l’anteriorità della condizione di consapevolezza, deve contrapporre “la dimostrazione di una identica situazione di certezza in epoca anteriore e non può limitarsi a prospettare il mero sospetto”.
Allo stesso modo, in caso di allegazioni contrastanti delle parti in merito alla datazione della scoperta dell’adulterio, il giudice dovrà adottare il medesimo “canone di certezza”, secondo cui “vale a tal fine l’acquisizione certa della conoscenza (e non del mero sospetto) di un fatto rappresentato o da una vera e propria relazione, o da un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere”.

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