E’ possibile ordinare (ex art. 3 l. n. 219/2012) al socio del genitore obbligato al mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio di pagare all’avente diritto?

Il Tribunale di Vicenza, con decreto n. 9990/2020 del 06.11.2020, nell’ambito di un procedimento promosso dalla madre per la regolamentazione del regime di affidamento e mantenimento delle figlie minori, nate da genitori non coniugati, ha rigettato, ritenendola inammissibile, l’istanza avanzata dalla ricorrente, ex art. 3 l.n. 219/2012, di ordinare alla società datrice di lavoro del padre-obbligato di pagare direttamente l’assegno di mantenimento per le figlie alla madre-avente diritto.
Il Tribunale, dopo la costituzione in giudizio del padre, ha emesso i provvedimenti in ordine all’affidamento, al collocamento e al contributo da parte di quest’ultimo al mantenimento delle minori rigettando perciò tale istanza.
L’art. 3 della l.n. 219/2012 sancisce, a garanzia dei provvedimenti patrimoniali in materia di alimenti e mantenimento della prole, che “il giudice può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, di versare le somme dovute agli aventi diritto, secondo quanto previsto dall’articolo 8, secondo comma e seguenti, della legge 1° dicembre 1970, n. 898”.
Secondo il Tribunale di Vicenza tale disposizione presenta una strutturazione ambigua, poiché, per un verso, richiama l’istituto disegnato dalla legge divorzile, ma, per un altro verso, tratteggia il sistema di tutela previsto per il procedimento di separazione coniugale ex art. 156 c.c..
In particolare, il Tribunale evidenzia che le differenze tra i due istituti sopra richiamati sono, invece, sostanziali ed evidenti, perché in materia di separazione “l’iter che determina la distrazione di parte dei crediti spettante all’obbligato fa capo ad un procedimento giurisdizionale in cui la distrazione stessa è costituita per effetto del provvedimento giudiziale, mentre nel rito divorzile la situazione è del tutto differente e prescinde da qualsivoglia intervento dell’autorità giudiziaria, configurandosi come procedura stragiudiziale quantunque, attraverso un percorso dettagliatamente disegnato nelle sue cadenze, volta a consentire la più efficace attuazione di un provvedimento emesso dall’Autorità Giudiziaria”.
Secondo il Tribunale berico, l’art. 3 in esame realizza una sorta di tertium genus, che presenta una forte ambiguità strutturale e funzionale “atteso che, da un lato, si prevede che sia il giudice ad ordinare al debitor debitoris di versare le somme spettanti all’avente diritto e, dall’altro, si stabilisce che ciò avvenga secondo il rito divorzile che non presuppone affatto l’intervento giudiziale”.
Ciò premesso, il Tribunale ha ritenuto che “il sistema di garanzie accordato dal legislatore alla prole nata da genitori non coniugati si ispiri, nel suo complesso, al regime proprio della disciplina della legge n. 898/1970 e successive modificazioni, dal momento che: 1) la prima delle norme, in materia di obbligo di prestare garanzie reali e personali, non fa altro che estendere alle nuove controversie il regime giuridico previsto dalla legge divorzile; 2) la seconda delle norme, in materia di sequestro, è a sua volta diretta a estendere alle nuove controversie la disciplina prevista dalla legge divorzile, attraverso l’espresso richiamo all’istituto delineato dall’art. 8, settimo comma, legge n. 898/1970”, e che, “l’interpretazione che milita verso il ricorso diretto alla distrazione, mediante procedura stragiudiziale, è altresì suggerita da una lettura semplificante che privilegia il principio di ragionevole durata del processo in tutte le sue articolazioni, principio che deve essere finalisticamente salvaguardato attraverso accorgimenti atti a far sì che il carico giudiziario sia deflazionato piuttosto che appesantito da nuovi modelli processuali e, per di più, dalla creazione di un modello che non si conformi né all’uno né all’altro di quelli già esistenti nell’ordinamento ma, in buona sostanza, raccolga in sé profili di minore salvaguardia di ciascuno di essi”.
Da tali considerazioni esso ha concluso che “lo strumento di tutela dei figli nati da coppia non coniugata vada identificato con l’omologa fattispecie coniata dal legislatore nella disciplina divorzile, così accordandosi prevalenza al preciso richiamo della norma di cui all’art. 8, secondo comma e seguenti, legge div. piuttosto che al meno efficace riferimento all’ordine che il giudice può essere chiamato a impartire. Ne discende l’inammissibilità della domanda avanzata dalla ricorrente” ai sensi dell’art. 3, comma 2, L. 219/2012.

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