La tutela dei “bambini in carcere”: rinnovato il Protocollo tra DAP e Telefono Azzurro e il Protocollo sottoscritto dall’I.C.A.M. della Casa di Reclusione Femminile di Venezia

In Italia sono circa 70.000 i bambini e gli adolescenti che ogni anno entrano in carcere per incontrare un loro genitore. Secondo i dati della sezione Statistica del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria alla data del 30 settembre 2019, nelle carceri e negli Istituti a Custodia attenuata per detenute madri (ICAM) sono altresì presenti 42 madri con 46 figli al seguito, di età compresa tra i 0 ed i 6 anni.

Questi bambini hanno bisogno di una specifica attenzione e tutela perché possano crescere in modo sano ed equilibrato, sia quando si trovano con la loro mamma all’interno della struttura, sia quando escono da questa struttura, seppur senza il genitore con cui hanno sempre vissuto. Non diversamente vanno supportati nel loro percorso di crescita i figli che, pur non vivendo in carcere, si recano presso gli istituti di pena per passare del tempo con il genitore detenuto.

Con questa intenzione è stato rinnovato il “Protocollo d’intesa tra Telefono Azzurro e Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) – Bambini e carcere”, sottoscritto nella sua versione originaria il 05.02.2013 e rinnovato con modifiche il 06.07.2016.

L’obiettivo guida del Protocollo d’Intesa e di tutto il progetto “Bambini e Carcere”, è quello di tutelare i diritti dei bambini di genitori detenuti.

A tal fine il DAP ed il Telefono Azzurro operano “nella tutela del superiore interesse dei minori, per la tutela della loro integrità psico-fisica e per assicurare la piena attuazione dei loro diritti così come espressi nella Convezione O.N.U. del 20 novembre 1989”, riconoscendo al fanciullo “il diritto al riposo e al tempo libero, di dedicarsi al gioco ed ad attività ricreative proprie della sua età e di partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica … in condizioni di eguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali”.

La protezione attiva è indirizzata sia ai bambini che si trovano in una situazione di detenzione, perché hanno meno di sei anni e si trovano, quindi, in carcere o presso un I.C.A.M. con la madre, sia ai bambini e adolescenti che si recano in visita al genitore detenuto.

Nel primo caso l’Intesa mira a valorizzare e supportare la relazione madre-figlio, costruendo le basi per garantire al bambino la possibilità di accedere anche le risorse esterne al carcere.

Questo è l’obiettivo del “Progetto Nido” per i bambini da 0 a 3, che prevede attività di sostegno (gestite da volontari appositamente formati) rivolte sia ai bambini che alle madri, tra cui, ad esempio, l’allestimento all’interno del carcere di una “sezione nido”, con giochi e accessori adeguati, l’organizzazione dell’uscita dei bambini, accompagnando il loro accesso a servizi esterni al carcere (nidi comunali, parchi gioco, ludoteche), il sostegno alle madri nel processo di integrazione con le altre detenute e con l’intero contesto penitenziario e l’aiuto, se necessario, nella gestione del quotidiano con il loro bambino (ad esempio: quando devono recarsi in udienza). A queste attività del “Progetto Nido” sono interessati anche gli ICAM, con i dovuti adeguamenti.

Il “Progetto ludoteca” è, invece, “destinato ai bambini e agli adolescenti che entrano in carcere per far visita ad un genitore”.

Lo scopo è quello di creare “un clima sereno ed accogliente” per gli incontri, “supportando i genitori nell’esercizio dei rispettivi ruoli” e cercando di favorire “l’instaurarsi di relazioni positive del minore tra coetanei, genitori, volontari e agente preposto”. L’intesa sottolinea l’importanza di garantire “un contesto stabile che favorisca continuità nello sviluppo di relazioni familiari positive” e l’organizzazione di “momenti ludici e formativi (laboratori, eventi) guidati dai volontari” per consentire ai minori ed ai genitori di “sperimentare esperienze nuove ed arricchenti”.

Col Protocollo in commento DAP e Telefono Azzurro si sono, inoltre, impegnati a “definire attività comuni di formazione, informazione ed aggiornamento delle risorse impegnate” per acquisire e potenziare le “reciproche competenze teoriche e pratiche" ed a concordare iniziative volte a coinvolgere il più possibile gli Enti locali nel tentativo di “facilitare la realizzazione degli scopi” dell’Intesa.

La sensibilità verso il diritto dei bambini di madri detenute ad una crescita sana ed equilibrata è molto forte anche a livello regionale.

In Veneto, ad esempio, lo scorso 22 maggio 2019 è stato firmato tra il Garante Regionale dei diritti della persona, la Direzione dell’I.C.A.M. della Casa di Reclusione Femminile di Venezia, la Questura di Venezia, il Comune di Venezia, il Comitato dei Sindaci dei Comuni di Marcon, Quarto D’Altino, Venezia e l’Associazione “La Gabbianella ed altri animali” di Venezia il nuovo Protocollo d’Intesa che riguarda, appunto, le “Procedure per l’attivazione di accoglienza dei bambini in carcere con la madre”.

L’Intesa che regola il processo di accoglienza dei minori presso l’ICAM di Venezia distingue quattro diverse fasi: l’ingresso in istituto di una madre con il proprio bambino, la restrizione, la dimissione ed il post dimissione.

E per ciascuna fase individua i compiti e gli impegni dei numerosi “attori istituzionali” coinvolti (Direzione dell’I.C.A.M., Direzione dell’U.I.E.P.E., Servizi Sociali del Comune di Venezia e di altri Comuni, il Centro per l’Affido e la Solidarietà Familiare dei distretti 1 e 2, L’associazione “La Gabbianella ed altri animali”, L’Ufficio Immigrazione della Questura di Venezia, La Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Venezia ed il Tribunale per i Minorenni) “che metteranno in campo, a partire della proprie funzioni, competenze, responsabilità e procedure”.

Lo scopo, anche in questo caso, è quello di “garantire ai bambini che si trovano in carcere con le loro madri fino al sesto anno di età e a quelli che al compimento di tale età, o anche prima se ne ricorrono le condizioni, vengono dimessi tutti gli interventi necessari alla loro crescita e alla costruzione del loro benessere psico-fisico”.

Non è facile vivere la genitorialità in carcere, in un ambiente fatto comunque di privazione di spazi, di controlli e limiti, di regole che il genitore subisce senza a volte poterne creare di proprie per mantenere un’autorità educativa nei confronti del figlio; non è facile essere bambino in carcere e vivere i limiti fisico spaziali di quel mondo, integrando quello che accade all’esterno (pensiamo, ad esempio, come può essere percepito il fratello che dopo il colloquio si allontana ed esce dalla struttura); ma per un bambino non è neppure semplice uscire dal carcere lasciandovi la madre, che a quel punto non potrà garantirgli né contatto fisico, né accudimento diretto: una separazione che, se non strutturata, può essere vissuta come un abbandono.

Di qui l’importanza di rendere permeabili ai bambini i due mondi, interno ed esterno, e di garantire modalità di esercizio della genitorialità che, pur non escludendo le limitazioni inerenti l’espiazione della pena, abbiano come obiettivo anche la crescita per quanto possibile equilibrata dei figli. Sotto questo profilo, negli ultimi anni l’apporto strutturato delle associazioni di volontariato è stato di fondamentale importanza.

 

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