Nessun mantenimento per il figlio (ultra)maggiorenne affetto da patologia depressiva

di avv. Valentina Alberioli

IL CASO. Il Tribunale di Tivoli, adito da Tizio in sede di modifica delle condizioni del divorzio, revocava l’assegno di mantenimento di euro 500,00 mensili posto a carico di quest’ultimo in favore del figlio maggiorenne Sempronio, convivente con la madre Caia, in ragione del fatto che il ragazzo aveva maturato una “significativa esperienza lavorativa ed adeguate capacità reddituali”.

La Corte d’Appello di Roma, in riforma del suindicato decreto, riteneva che quanto affermato dal giudice di primo grado non avesse trovato conferma negli atti di causa, poiché non risultava che il contratto con cui Sempronio era stato assunto a tempo parziale fosse stato prorogato.

Inoltre, le “ingravescenti condizioni psicopatologiche” del ragazzo erano documentate da certificati medici redatti da specialisti del servizio sanitario nazionale, condizioni che hanno comportato la sua presa in carico riabilitativa da parte del servizio di salute mentale della ASL e, “pur non integrando la condizione di grave handicap che comporterebbe automaticamente l’obbligo di mantenimento, erano tali da influire sulla sua difficoltà ad attivarsi efficacemente per reperire e svolgere un’attività lavorativa”.

Avverso la sentenza Tizio proponeva ricorso per cassazione, in base a due motivi.

Con il primo motivo il ricorrente deduceva la violazione degli artt. 315 bis c.c. e 337 septies, comma 1 c.c., poiché la Corte d’Appello non aveva tenuto conto di fattori quali la raggiunta età matura del figlio (prossima ai trent’anni), le dimissioni volontarie rassegnate dallo stesso e la sua assoluta inerzia nella ricerca di una nuova occupazione; inoltre, la pregressa esperienza lavorativa di Sempronio dimostrava il di lui effettivo ingresso nel mondo del lavoro e la sua indipendenza economica.

Con il secondo motivo il ricorrente deduceva, poi, la violazione degli artt. 337 septies e 2697 c.c., 115 c.p.c., in quanto “la sussistenza in capo al figlio di patologie psicopatologiche idonee a ridurre temporaneamente la capacità di lavoro può trovare sussidio al più in appositi strumenti pubblici di sostegno, ovvero nell’obbligazione alimentare e non già nell'ordinario contributo al mantenimento in favore del figlio maggiorenne”.

Tizio evidenziava, poi, che le certificazioni mediche in atti dimostravano solamente l’insorgenza di uno stato di malessere del figlio, ma non spiegavano perché quest’ultimo avesse unilateralmente deciso di dimettersi e, dopo le dimissioni, non si fosse attivato per la ricerca di una nuova occupazione, restando completamente inerte.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23133 del 2023, ha ritenuto assorbito il primo motivo e fondato il secondo.

Il Giudice di legittimità ha, infatti, preliminarmente richiamato il principio di diritto, più volte enunciato (ex plurimis: Cass. Civ. nn. 29264/2022 e 38366/2021), secondo cui “il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione dell'obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare da azionarsi nell’ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell’individuo bisognoso”.

La Cassazione ha, quindi, precisato che tale principio vale anche nel caso di figlio (ultra)maggiorenne non autosufficiente che risulti affetto da una patologia (nel caso di Sempronio, depressione) inidonea ad integrare la condizione di grave handicap che, sola, comporterebbe automaticamente l’obbligo di mantenimento.

Nel caso di patologie non integranti handicap grave, infatti, per soddisfare le essenziali esigenze di vita del figlio maggiorenne non autosufficiente, “ben può richiedersi, ove sussistano i presupposti, un sussidio di ausilio sociale, oppure può proporsi l’azione per il riconoscimento degli alimenti, i quali rappresentano un ‘minus’ rispetto all’assegno di mantenimento, con la conseguenza che nella richiesta di un tale assegno può ritenersi compresa anche quella di alimenti”.

La Corte di Cassazione, in accoglimento del secondo motivo, ritenuto assorbito il primo, ha, pertanto, rinviato la causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, perché riesamini il caso e si pronunci sulle spese del giudizio di legittimità.

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