Il testamento olografo è comunque nullo quando la data non è autografa

21 MAGGIO 2021 | Successioni e donazioni

Con l’ordinanza 19 marzo 2021, n. 7863, la Corte di cassazione ha affermato che, in caso di testamento olografo, l’omessa o incompleta indicazione della data ne comporta l’annullabilità, mentre l’apposizione di questa ad opera di terzi, se effettuata durante il confezionamento del documento, lo rende nullo perché ne viene a mancare l’autografia, a nulla rilevando l’importanza dell’alterazione.

IL CASO. Con atto di citazione notificato in data 30.1.1997, Tizio, Caio e Sempronio convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Voghera, Mevia chiedendo che venisse accertata la revoca implicita del testamento di data 11.4.1993 in forza dell’esistenza di un testamento olografo di data successiva, ossia del 5.9.1995, e, conseguentemente, che la convenuta venisse condannata a restituire tutte le somme di denaro, titoli di stato ed obbligazioni del valore di circa Lire 450.000.000 che tratteneva e che aveva prelevato dai conti correnti di deposito titoli intestati al de cuius, in forza del testamento del 1993.

Con il testamento datato 5.9.1995, il de cuius aveva disposto delle sue sostanze, lasciando alla nipote Mevia la somma di Lire 120.000.000, mentre il restante dei soldi e i beni immobili ai nipoti Tizio, Caio e Sempronio.

Mevia, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda, rilevando la data apocrifa del testamento del 5.9.1995.

Il Tribunale di Voghera, atteso che nel corso del giudizio non era stata accertata l’integrale autenticità del testamento del 5.9.1995, rigettava la domanda degli attori e li condannava al pagamento delle spese di lite.

Tizio, Caio e Sempronio, dopo aver visto rigettare la loro impugnazione dalla Corte d’appello di Milano, proponevano ricorso per cassazione fondato su tre motivi. Mevia resisteva con controricorso.

In particolare, con il terzo motivo, i ricorrenti denunciavano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, poiché, nonostante la procedura di verificazione del testamento del 5.9.1995 in secondo grado avesse consentito di accertare che l’intera scheda testamentaria era di provenienza del de cuius e che, pertanto, sia il testo, sia la firma, sia la data di quest’ultima erano riconducibili al testatore in persona, la Corte d’appello aveva confermato la decisione di primo grado, che aveva ritenuto non autentico il testamento in questione.

La Corte di cassazione, con sentenza n. 23443 del 19.12.2012, accoglieva il suddetto terzo motivo, cassava la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinviava la decisione ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano.

IL GIUDIZIO DI RINVIO. La Corte d’appello, in sede di giudizio di rinvio, premesso che il punto focale del caso di specie era rappresentato dall’accertamento della non genuinità, totale o parziale, della scheda testamentaria che vedeva come beneficiari Tizio, Caio e Sempronio, riteneva che le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado confermassero la falsità del testamento recante la data del 5.9.1995 e, pertanto, rigettava l’appello con sentenza n. 2464 del 17.6.2016, condannando gli appellanti al rimborso delle spese di lite.

Secondo i giudici di secondo grado: i) la consulenza aveva infatti effettivamente confermato come il testamento del 1995 si connotava per una fluenza della grafia e per una maggiore sicurezza della dinamica grafica al punto che facevano propendere per una sua redazione in epoca anteriore, alla luce del progressivo deterioramento delle condizioni psicofisiche del testatore; ii) emergeva altresì in maniera decisiva la distonia del tratto grafico della data da quello delle altre componenti numeriche, che erano sicuramente attribuibili al de cuius. Secondo la Corte d’appello, a tali premesse conseguiva necessariamente la non riferibilità della data all’epoca di redazione della scheda testamentaria.

Tizio, gli eredi di Caio e Sempronio proponevano nuovamente ricorso per cassazione.

Con il primo motivo, deducevano violazione e falsa applicazione degli artt. 384 e 394 c.p.c., nonché dell’art. 602 c.c., comma 2, in quanto la Corte d’appello non si sarebbe conformata al principio di diritto affermato dalla Cassazione in occasione della decisione sulla sentenza d’appello.

Sempre col primo motivo, i ricorrenti censuravano, altresì, quanto ritenuto dal giudice del rinvio in merito al fatto che Mevia aveva avanzato una domanda di accertamento negativo della validità del testamento, laddove la stessa si era invece limitata a disconoscere il testamento di data successiva.

L’ORDINANZA. La Corte di cassazione ha rigettato il motivo proposto con ricorso.

In primo luogo, la Suprema Corte ha ribadito, infatti, che, diversamente da quanto accade nell’ipotesi di pronuncia di annullamento per violazione o falsa applicazione di norme di diritto che obbliga il giudice del rinvio semplicemente ad uniformarsi ex art. 384, comma 1, c.p.c. “in caso di ricorso per cassazione avverso la pronuncia del giudice di rinvio per violazione della precedente statuizione di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice, poteri che, nell’ipotesi di rinvio per vizio di motivazione, si estendono non solo alla libera valutazione dei fatti già accertati, ma anche all’indagine su altri fatti, con il solo limite del divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi già censurati del provvedimento impugnato”.

Inoltre, dal momento che, per giungere alla conferma della soluzione del Tribunale, per i giudici del rinvio era stato decisivo il punto della CTU di primo grado in cui si sottolineava la distonia del tratto grafico che contraddistingueva la data del 5.9.1995 rispetto a quello che risultava dalle altre componenti numeriche presenti nella stessa scheda, e sicuramente attribuibili al de cuius, secondo gli Ermellini, la decisione impugnata era pervenuta alla medesima (precedente) conclusione della falsità della data (e quindi alla verosimile anteriorità delle restanti disposizioni della scheda testamentaria) sulla base di una motivazione, questa volta, immune dalle contraddittorietà ed illogicità invece riscontrate dal primo intervento di questa Corte”.

Infine, la Suprema Corte ha rigettato anche il secondo profilo del primo motivo di ricorso, argomentando che “l’accertamento dell’effettivo contenuto della domanda resta riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità”.

Pertanto, dal momento che la domanda di accertamento negativo dell’invalidità del testamento non richiede formule sacramentali, “ben può quindi essere identificata nella contestazione di Mevia, quanto alla veridicità della data apposta alla scheda favorevole ai ricorrenti, non solo quanto all’effettiva corrispondenza della stessa a quella di redazione ma anche in rapporto alla attribuibilità della grafia al testatore”.

A tal fine”, la Corte di cassazione, ricordando il principio di diritto già enunciato con la sent. n. 27414/2018, in base al quale

nel testamento olografo l’omessa o incompleta indicazione della data ne comporta l’annullabilità, mentre l’apposizione di questa ad opera di terzi, se effettuata durante il confezionamento del documento, lo rende nullo, perché, in tal caso, viene meno l’autografia stessa dell’atto, senza che rilevi l’importanza dell’alterazione”, nel caso di specie, ha concluso che “l’accertamento del giudice di rinvio circa la non autenticità della data rende quindi invalida la scheda, non potendosi peraltro invocare il restante contenuto della scheda, poiché sarebbe comunque priva di una valida data (con la conseguente annullabilità della stessa, anche nel caso in cui fosse dimostrata la non contestualità della sua apposizione rispetto al momento del confezionamento della scheda) mancando in ogni caso la prova della sua posteriorità rispetto a quella invocata dalla controricorrente”.

In definitiva, la seconda sezione della Corte di cassazione ha rigettato il ricorso e condannato i ricorrenti al rimborso in favore della controricorrente delle spese di lite.

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