La Cassazione fa il punto sul significato di best interest of the child e dichiara la PAS “pseudoscientifica”

di dott. Gianluca Conte

L’ordinanza della Cassazione n. 9691/2022 ha avuto enorme risonanza non solo nell’ambito degli operatori del diritto ma anche presso il grande pubblico, con significativi spazi nei principali mezzi d’informazione.

Il provvedimento deve questo clamore principalmente ad uno dei molteplici problemi giuridici che affronta. Infatti, la decisione, su importanti quotidiani nazionali, è stata presentata come -la sentenza della Cassazione contro "l'alienazione parentale" – e si è scritto - smontata la PAS nei tribunali dei minori -.

In verità, la Cassazione affronta il problema della PAS in poche, seppur significative, righe, peraltro richiamando suoi precedenti, che poco aggiungono a quanto sappiamo sull’opinione che gli Ermellini hanno della PAS.

L’ordinanza fornisce, però, notevoli indicazioni sull’interpretazione del criterio del best interest of the child, e sulle valutazioni che il giudice deve operare nel bilanciare gli interessi contrapposti e le differenti, possibili, soluzioni da adottare in presenza di un rifiuto del minore verso un genitore ed in presenza di più o meno gravi condotte ostative del genitore favorito.

 

Il caso

La Corte d’Appello di Roma aveva confermato la decisione del TM di Roma con la quale:

-   la ricorrente era stata dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale nei confronti del figlio;

-   si ordinava il trasferimento di quest’ultimo in una casa-famiglia, con interruzione di ogni rapporto con la madre e la sua famiglia, al fine di ristabilire quanto prima la frequentazione con il padre.

I provvedimenti si erano basati su tre diverse consulenze tecniche (due svolte in precedenti procedimenti) che avevano attestato l’atteggiamento fortemente oppositivo della madre alla ripresa del rapporto padre-figlio, evocando in maniera velata la controversa teoria della Sindrome da Alienazione parentale.

La ricorrente si è affidata a nove motivi di ricorso.

I primi due attenevano a questioni processuali ed è stato ritenuto infondato il primo e inammissibile il secondo.

Con il terzo motivo la ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 112 cpc, avendo il giudice di seconde cure omesso di pronunciarsi su tutta la domanda sottoposta, in particolare avrebbe “omesso di motivare, ovvero adottato una motivazione apparente, eccessivamente sintetica ed apodittica, su varie doglianze espresse avverso il provvedimento del TM”.

Con il quarto motivo, in relazione all'affermata inammissibilità del reclamo laddove chiedeva l'accertamento dell'invalidità delle c.t.u. “la ricorrente si duole che la Corte territoriale: abbia recepito acriticamente le conclusioni dei suddetti c.t.u., senza esaminare e motivare sulle specifiche censure della stessa reclamante; non abbia motivato sul rigetto dell'istanza di revoca della nomina di tutore e curatore speciale, sul provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale e di diniego di affidamento esclusivo del minore”.

Il quinto motivo di ricorso riguardava la nullità del decreto impugnato per mancato rispetto del giudicato interno, in relazione ad un precedente procedimento e alla rinomina dello stesso CTU ed è stato dichiarato inammissibile.

Con il sesto motivo la ricorrente ha lamentato “che la Corte d'appello abbia deciso il collocamento del minore presso la casa-famiglia, previa decadenza della ricorrente dalla responsabilità genitoriale, sulla base del contenuto di tre c.t.u., che avevano di fatto recepito le argomentazioni relative alla PAS, fondate su pregiudizi ascientifici” e la mancata valutazione del rischio fisico del trasferimento in comunità (il minore è affetto da grave patologia). Con lo stesso, la ricorrente ha censurato il fatto “che la Corte d'appello l'abbia ritenuta anche responsabile di aver interrotto il percorso terapeutico intrapreso presso l'ospedale (-------), quando invece dagli atti era emersa l'inadeguatezza dei servizi sociali incaricati di tale progetto”.

Il settimo motivo censura, ex art. 360, co 1, n. 5, l’omesso esame di un “fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione alla mancata valutazione comparativa degli effetti sul minore del disposto collocamento in struttura etero-familiare sottraendolo al suo ambiente familiare, amicale e scolastico rispetto al beneficio atteso”.

Con l’ottavo motivo è stato censurato il mancato ascolto del minore, oramai quasi dodicenne, in relazione a scelte idonee ad incidere drasticamente sulla sua vita.

Con l’ultimo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la falsa applicazione di diverse convenzioni internazionali volte a tutelare i diritti dei minori e della CEDU “anche in relazione al divieto assoluto del minore di avere contatti con la madre” sostenendo che “non risponda al suo interesse superiore e al suo diritto di non subire ingerenze nella sua vita privata, quantunque sia da attuare il diritto del padre alla bigenitorialità”.

 

La decisione

Il ricorso è stato accolto per tutti i motivi tranne il primo, secondo e quinto, e quelli ritenuti fondati sono stati esaminati congiuntamente “poiché tra loro connessi”.

La Corte ha rilevato come, sia il provvedimento di primo che di secondo grado, abbiano posto rilievi e critiche alla condotta della madre circa gli “ostacoli frapposti continuamente alla ripresa dei rapporti tra il minore e il padre” ed hanno evidenziato i vari percorsi terapeutici, precedentemente disposti, per il minore e i genitori imputandone il fallimento alle condotte della madre. Da qui sono giunti alla conclusione che l’unica misura utile all’attuazione della bigenitorialità fosse la decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale, con collocamento presso una casa-famiglia.

Muovendo dalle statuizioni dei primi due gradi, la Corte ha richiamato i propri precedenti, secondo i quali “in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore”.

In relazione a ciò, la Corte riassume le doglianze della ricorrente come “essenzialmente incentrate sul vizio delle varie C.T.U. inficiate […] dal riferimento alla PAS quale parametro antiscientifico”.

Ma la soluzione individuata nei precedenti gradi di giudizio (eliminazione della figura materna, ostacolante, al fine di ripristinare il rapporto con il padre) non è condivisa dalla Cassazione che considera non corretta una configurazione della bigenitorialità che consente di rimuovere la figura materna a favore di quella paterna.

Il giudice di secondo grado ha omesso, infatti, di considerare le possibili ripercussioni sull’assetto cognitivo del minore di “una brusca e definitiva sottrazione dello stesso dalla relazione familiare con la madre”.

In sostanza, la Corte territoriale ha mancato di valutare le conseguenze delle sue decisioni a 360°, non considerando l’evenienza che la soluzione, in astratto potenzialmente corretta, avrebbe potuto produrre conseguenze ancora più gravi nel minore di quelle già prodotte dalla condotta ostativa della madre ponendosi in contrato con il best interest of the child.

La Corte ci fornisce una interessante ricognizione di tale principio, descrivendolo nelle sue tre configurazioni.

  1.  un diritto sostanziale, del minore a che il “proprio superiore interesse sia valutato e considerato preminente quando si prendono in considerazione interessi diversi”.
  2. un principio giuridico interpretativo, in forza del quale “se una disposizione di legge è aperta a più di un’interpretazione, si dovrebbe scegliere l’interpretazione che corrisponde nel modo più efficace al superiore interesse del minore”.
  3. Infine, una regola procedurale “ogni qualvolta sia necessario adottare una decisione che interesserà un minorenne specifico […] il processo decisionale dovrà includere una valutazione del possibile impatto  della decisione sul minorenne”.

Da queste ulteriori premesse la Cassazione critica il provvedimento impugnato per aver espresso una visione parziale dell’interesse del minore senza affrontare la questione della sottrazione improvvisa del minore dall’ambiente in cui è cresciuto.

Tale critica si estende anche alle consulenze che non si interrogano sugli “esiti imprevedibili sotto il profilo psico-cognitivo” che l’allontanamento e il collocamento etero familiare avrebbero potuto ingenerare. Inoltre, il richiamo alla PAS, e a ogni suo “più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo”. Infatti, le valutazioni psicologiche della CTU “pur muovendo dai fatti indubbi inerenti all’ostruzionismo della ricorrente verso l’ex compagno” fanno riferimento al “postulato patto di lealtà” o al “condizionamento psicologico”, termini che, per la Corte, lasciano “aleggiare la teorica della sindrome dell’alienazione parentale”.

La Corte afferma che, al fine della tutela della bigenitorialità ciò che va provato non è se la condotta abbia o meno prodotto una PAS (teoria che la sentenza critica pesantemente) ma “se la condotta sia stata tale da aver leso in modo grave il rapporto tra il figlio e l’altro genitore”.

La Cassazione richiama anche la giurisprudenza della Corte EDU che, nell’interpretare l’art. 8 della Convenzione, ha precisato la necessità di rigorosi controlli sulle restrizioni supplementari al diritto di visita dei genitori e alle garanzie giuridiche che mirano a dare effettiva protezione al diritto al rispetto della vita familiare.

Da ciò dipende che l’accertamento della violazione del “diritto del padre alla bigenitorialità” non può comportare “automaticamente la decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale”.

La Suprema Corte ha stabilito che, nel caso concreto, il provvedimento impugnato ha dimostrato una visione parziale del miglior interesse del minore non motivando (e dunque non valutando) le potenziali ripercussioni sul minore del trasferimento coattivo in comunità, potenzialmente con l’uso della forza, in particolare a fronte delle evidenze documentali che riportavano come, per il resto, il minore fosse accudito in maniera adeguata.

La Cassazione precisa come ogni decisione che miri a “privilegiare l’interesse del minore in prospettiva futura, al prezzo di produrgli una sofferenza immediata” deve compiere una doppia valutazione:

  •   Verificare che sia altamente probabile l’esito negativo nel lungo periodo e che dalla scelta opposta deriverebbe un danno elevato;
  •   Che la sofferenza nel breve periodo appaia superabile senza strascichi traumatici.

Tali valutazioni sono state omesse sia dal TM che dalle Corte territoriale.

Inoltre, è mancato il fondamentale ascolto del minore, che nel caso dell’infra dodicenne capace di discernimento è adempimento previsto a pena di nullità. Se il giudice decide di ometterlo è gravato da specifico obbligo di motivazione, anche qualora opti per l’ascolto “effettuato nel corso delle indagini peritali o demandato ad un esperto”.

Infine, il PG presso la Corte di Cassazione aveva presentato, nella sua requisitoria, istanza di remissione alle Sezioni Unite affinché venisse affermato il principio che gli artt. 330 333 cc e 68 cpc siano da interpretare nel senso che “l'allontanamento del minore dalla sua residenza possa avvenire solo per evitare un pericolo grave ed imminente per la sua incolumità”. L’istanza, reiterata anche dalla ricorrente, è stata respinta ma la Corte spende comunque alcune righe sul tema chiarendo come

l’uso della forza fisica, diretta a sottrarre il minore alla madre e al luogo in cui vive, “non appare misura conforme ai principi dello Stato di diritto in quanto prescinde del tutto dall'età del minore, ormai dodicenne, non ascoltato, e dalle sue capacità di discernimento, e potrebbe cagionare rilevanti e imprevedibili traumi per le modalità autoritative che il minore non può non introiettare” ponendo problemi “anche in ordine alla sua compatibilità con la tutela della dignità della persona”.

Secondo la Cassazione sono da privilegiarsi le misure economiche ex art. 709 ter c.c. nei confronti del coniuge che “dolosamente o colposamente si sottragga alle prescrizioni impartite dal giudice”.

 

Conclusioni

La Cassazione con l’ordinanza 9691/2022 fornisce importanti indicazioni sull’interpretazione del concetto di best interest of the child e in maniera esplicita definisce come antiscientifici i riferimenti alla PAS. A tale argomento APF aveva dedicato una Newsletter speciale, della quale segnaliamo il contributo del prof. Benatti “lo stato dell’arte della ricerca psicologica in materia di alienazione parentale” che richiama l’attenzione su come la PAS, ben lontana dal poter essere classificata come “sindrome”, sia una realtà comunque esistente come “fenomeno relazionale” o “disfunzione della relazione”.

La stessa Cassazione, pur rigettando l’accezione di sindrome, dà atto delle condotte ostative della madre e della necessità di porvi rimedio.

Tale rimedio, tuttavia, non può produrre un danno ancora maggiore nel minore di quello già indotto dalle condotte ostative della madre, ed anche l’uso della forza è da escludersi dovendo privilegiarsi gli altri strumenti predisposti dall’ordinamento. Di tali “ulteriori” strumenti, avevamo avuto modo di parlare sempre nel numero speciale dedicato alla PAS.

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