Separazione coniugi: l’assegno di mantenimento va determinato tenendo conto dei redditi sottratti al fisco

di avv. Valentina Alberioli

IL CASO. All’esito del procedimento di separazione personale di Tizio e Mevia, il Tribunale di Milano stabiliva un contributo paterno al mantenimento del figlio maggiorenne Caio, non economicamente autosufficiente, di euro 1.200,00 mensili, oltre al 100% delle spese straordinarie, nonché un assegno di mantenimento in favore della moglie di euro 1.300,00 mensili.

Avverso tale decisione Mevia interponeva appello, lamentando l’insufficienza della quantificazione degli assegni.

In particolare, censurava la sentenza nella parte in cui, ai fini della determinazione del tenore di vita familiare e delle effettive condizioni economiche del marito, non aveva tenuto conto dei redditi di quest'ultimo derivanti dall’attività di libero professionista, asseritamente non dichiarati al fisco.

Insisteva, pertanto, nella richiesta dell’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. e che fossero eseguiti accertamenti di polizia tributaria.

La Corte d’Appello rigettava l’impugnazione di Mevia, la quale proponeva ricorso per cassazione, in base a due motivi.

Con il primo motivo di ricorso deduceva la violazione o falsa applicazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 156 e 337 ter c.c.), per avere il Giudice di secondo grado ritenuto che i redditi non dichiarati, di cui il nucleo familiare aveva in passato beneficiato, non potessero essere considerati ai fini della determinazione degli assegni.

Con il secondo motivo deduceva la violazione o falsa applicazione di legge [art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., all’art. 2729 c.c. e all’art. 5, comma 9, I. n. 898 del 1970, esteso in via analogica al giudizio di separazione, all’art. 36 d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 19, comma 1, lett. d), I. n. 413 del 1991, e all’art. 337 ter, ultimo comma, c.c.], per avere la Corte d’Appello negato indagini di polizia tributaria e ulteriori approfondimenti istruttori mediante ordini di esibizione ex art. 210 c.p.c., escludendo anche il ricorso alle presunzioni gravi, precise e concordanti, al fine di determinare l’effettivo tenore di vita familiare.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22616 del 2022, ha ritenuto fondati entrambi i motivi proposti da Mevia.

Ha, anzitutto, affermato che dall’esame delle norme (id est: art. 156, comma 1, c.c., art. 337 ter c.c., art. 706 c.p.c. e art. 5, comma 9, l. n. 898 del 1970, applicabile in via analogica anche ai procedimenti di separazione personale) e della consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. n. 9915/2007, Cass. n. 16739/2020) si evince chiaramente che “ciò che rileva, ai fini della determinazione degli assegni di mantenimento del coniuge e dei figli in sede di separazione, è l'accertamento del tenore di vita condotto dai coniugi quando vivevano insieme, a prescindere, pertanto, dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali da questi ultimi godute, assumendo rilievo anche i redditi occultati al fisco, in relazione ai quali l'ordinamento prevede, anzi, strumenti processuali, anche ufficiosi, che ne consentano l'emersione ai fini della decisione”.

Infatti, qualora il giudice ritenga che gli elementi di prova offerti non siano sufficienti o attendibili, dispone, anche d’ufficio, l’intervento della polizia tributaria al fine di accertare la reale situazione economica e patrimoniale dei coniugi, in quanto “l’occultamento di risorse economiche rende per definizione estremamente difficile la dimostrazione della realtà delle stesse in base alle regole dell'ordinario riparto dell'onere della prova, rischiando di pregiudicare il diritto di difesa di chi ha interesse alla loro emersione processuale”.

Tale “potere” del giudice di disporre indagini di polizia tributaria non dev’essere, però, inteso quale suo “’dovere’ imposto dalla ‘mera contestazione’ delle parti in ordine alle rispettive condizioni economiche”.

La parte interessata all’attivazione dei poteri ufficiosi de quibus non può, cioè, limitarsi a contestare genericamente la veridicità delle allegazioni e delle prove avversarie, dovendo essa invece dedurre “fatti precisi e circostanziati in ordine all’incompletezza o all’inattendibilità delle risultanze fiscali acquisite al processo”, ossia allegare “fatti concreti, in grado di mettere in discussione la rappresentazione della parte avversa in ordine alle condizioni di vita” e tali da far ritenere che il coniuge detenga, effettivamente, “sostanze economiche o patrimoniali ulteriori rispetto a quelle rappresentate in giudizio”.

A tali condizioni, il giudice ha il “dovere” di disporre le indagini di polizia tributaria, “non potendo rigettare le domande volte al riconoscimento o alla determinazione dell'assegno, fondate proprio sulle circostanze specifiche che avrebbero dovuto essere verificate per il tramite delle menzionate indagini”.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse, erroneamente, disatteso tali principi.

Infatti, nonostante Mevia avesse specificamente contestato le risultanze acquisite al processo, così evidenziando l’incoerenza tra il tenore di vita assicurato da Tizio alla famiglia e l’entità dei redditi dichiarati dallo stesso, il Giudice di secondo grado aveva rigettato la richiesta di indagini di polizia tributaria, in base al “non corretto” presupposto della irrilevanza dei redditi sottratti al fisco ai fini della ricostruzione del tenore di vita familiare, al contempo rigettando altresì l’appello con cui erano stati richiesti maggiori importi per gli assegni di mantenimento proprio in ragione delle dedotte maggiori entrate extrafiscali.

Inoltre, la Corte d’Appello non aveva verificato se gli elementi addotti da Mevia in ordine alla incompletezza e inattendibilità delle risultanze relative alle consistenze economiche del marito fossero così specifiche e circostanziate da giustificare l’approfondimento istruttorio da parte della polizia tributaria. Solo all’esito dell’acquisizione di tali informazioni, la stessa Corte avrebbe, poi, potuto valutare se queste fossero idonee a rappresentare un tenore di vita migliore di quello già acquisito al processo e, dunque, a giustificare il richiesto aumento degli assegni di mantenimento.

Per tutte tali ragioni, la Corte di Cassazione ha, quindi, accolto il ricorso di Mevia negli anzidetti termini e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, per la rideterminazione degli assegni di mantenimento, sulla base delle circostanze specifiche da verificare per il tramite delle menzionate indagini.

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