L’utilizzabilità dei messaggi del coniuge sul sito di “incontri” nell’ambito della causa di divorzio: la posizione della CEDU

di Laura Durello, avvocato in Padova, ricercatrice di Diritto Processuale Civile, Università di Ferrara

Sommario: I. Premessa. – II. Il caso. – III. La decisione della CEDU. – IV. L’orientamento interno.

 

Premessa

La questione affrontata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) nel caso M.P. c. Portogallo, ricorso n. 27516/14, attiene all’utilizzabilità nell’ambito del giudizio di divorzio dei messaggi privati del coniuge pubblicati su un sito di incontri. In particolare, la Corte di Strasburgo si è interrogata se tale utilizzo si ponga in contrasto con l’art. 8 della Convenzione Europea dell’Uomo ovvero in violazione del diritto al rispetto della vita privata e della corrispondenza.

Il caso

Il caso portato all’attenzione della CEDU si riferisce alla condotta di un marito che nell’ambito della causa di divorzio aveva prodotto i messaggi che, in costanza di matrimonio, la moglie aveva inviato ad altri uomini in un sito on line di incontri.

La vicenda ha inizio quando il matrimonio tra una cittadina spagnola, residente a Madrid e un cittadino portoghese entra in crisi. A causa dei rispettivi impegni professionali, i coniugi vivevano tra la Spagna e il Portogallo. A seguito del deterioramento della relazione coniugale, nel 2011 la donna decideva di vivere con i figli in maniera permanente in Spagna e avviava nel giugno dello stesso anno un giudizio di divorzio innanzi al Tribunale di Madrid. Il marito nel mese di agosto del 2011 presentava formale ricorso al Tribunale di Lisbona chiedendo il rimpatrio dei bambini nati dalla relazione coniugale e che la loro residenza fosse stabilita in Portogallo. All’istanza il marito allegava le e-mail che la moglie aveva scambiato con altri uomini su un sito di incontri e che egli aveva rinvenuto sul computer di famiglia. Nel mese di ottobre il marito avviava anche un giudizio di divorzio innanzi al giudice portoghese producendo anche in quella sede le suddette e-mail per provare le relazioni extraconiugali della moglie.

La donna si lamentava innanzi alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo che il giudice portoghese non avesse condannato il marito per aver prodotto nell’ambito della causa di divorzio i suddetti messaggi. La moglie evidenziava, in particolare, che secondo il diritto portoghese, l’accesso alla corrispondenza altrui senza il consenso dell’interessato è un comportamento penalmente perseguibile. Inoltre, il marito non si era limitato a visionare i messaggi della moglie ma li aveva anche prodotti nella causa.

Dunque, secondo la prospettazione della signora, la condotta posta in essere dal marito, nell’ambito della causa di divorzio, costituiva violazione del diritto alla segretezza della corrispondenza e della privacy così come sancito dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.

La decisione della CEDU

La Corte di Strasburgo ha esaminato le motivazioni dei giudici di merito portoghesi e ha ritenuto corretto il non aver perseguito il marito per la condotta censurata dalla moglie.

In particolare, la Corte d’Appello di Lisbona aveva sottolineato la circostanza che il marito aveva pieno accesso all’account di posta elettronica dedicato al sito di incontro in quanto la moglie in costanza di matrimonio gli aveva fornito le credenziali.

Dunque, secondo la prospettazione del giudice del merito i messaggi prodotti in causa non si riferivano alla sola vita privata della moglie bensì a quella della coppia.

Di qui l’incensurabilità della condotta del marito che ha prodotto in giudizio documenti afferenti alla vita di coppia e di cui poteva legittimamente disporne.

La CEDU con sentenza 7 settembre 2021 conferma, innanzitutto, le valutazioni compiute dai giudici portoghesi.

Non solo, la Corte di Strasburgo reputa che la produzione da parte del marito dei messaggi del sito di incontri fosse pienamente lecito.

In particolare, ha evidenziato che "gli effetti della divulgazione dei messaggi contestati sulla vita privata del ricorrente erano limitati", in quanto "sono stati divulgati solo nell'ambito di procedimenti civili" ai quali il pubblico ha accesso "limitato". A ciò si aggiunga che nel caso concreto il Tribunale del merito non aveva neppure esaminato i messaggi poiché non si era pronunciato sul merito delle richieste del marito.

Non solo, la Corte Europea dei diritti dell’Uomo introduce quale parametro di valutazione della liceità/illiceità della condotta quello della pertinenza della produzione documentale in giudizio nell’intento di trovare un equilibrio tra la tutela del diritto di difesa e la tutela del diritto alla vita privata.

Dunque, in forza di questo principio generale, posto che nell’ambito delle cause familiari ed in particolare modo quelle di divorzio viene in rilievo la situazione personale dei coniugi e della famiglia, la privacy cede il posto al diritto di difesa.

I documenti, quindi, dovranno essere pertinenti con l’oggetto della controversia e non eccedenti rispetto alla finalità difensiva.

Al contempo, con riguardo alla produzione in giudizio di documenti attinenti alla vita privata, la Corte valorizza il requisito della continenza, ovvero possono essere divulgate solo le informazioni strettamente necessarie alla causa e, quindi, con un effetto limitato sulla privacy.

Orbene, nel caso esaminato, la Corte Europea valuta la presenza dei suddetti requisiti, da un lato, infatti, i messaggi comprovanti le relazioni extraconiugali della moglie erano pertinenti con la causa di divorzio e, dall’altro, erano stato prodotti nell’ambito di un fascicolo giudiziario con un accesso limitato.

In questo modo, secondo la CEDU, i giudici del merito hanno correttamente individuato un equilibro tra i due interessi dedotti in giudizio ovvero da un lato quello del marito a difendersi in giudizio provando e dall’altro quello della moglie a vedere garantita la segretezza della vita privata.

L’orientamento interno

La posizione assunta dalla CEDU nella pronuncia in esame e, in particolar modo, la consacrazione del “giusto equilibrio” che il giudice deve cercare tra i diversi interessi sottesi in giudizio quando si trova di fronte a prove raccolte con modalità illecite ovvero, in altri termini, assunte in violazione dei diritti individuali protetti, riecheggia un orientamento giurisprudenziale interno che fa uso della tecnica del bilanciamento dei diritti.

Ebbene, a sostegno dell’utilizzabilità della prova illecita nell’ambito del processo civile, ed in special modo in quello di famiglia, viene richiamata la circostanza che la necessità istruttoria di valutare le ragioni delle parti in giudizio legittima il pregiudizio subito dalla parte alle sue libertà fondamentali ed in particolar modo “la tutela dei diritti della personalità della moglie resta evidentemente compromessa e soccombente all’esigenza di accertare la verità su determinati fatti e circostanze che costituiscono elementi di valutazione del giudice che deve occuparsi della fattispecie in esame” (Pret. Trapani, ord. 20 marzo 1993).

Ed ancora, altra giurisprudenza ha ribadito che “è necessario compiere un bilanciamento tra diritti e interessi fondamentali, ed in particolare tra il diritto alla difesa e alla prova da un lato e il diritto alla riservatezza ella protezione dei dati personali, dall’altro” al fine di trovare un punto di equilibrio ovvero un bilanciamento tra i diversi diritti sottesi in giudizio (Trib. Roma, 20 gennaio 2017). In particolare, nel caso esaminato dal Tribunale di Roma nel decidere sull’affidamento esclusivo della prole si affrontava la questione dell’utilizzabilità come mezzo di prova di una videoregistrazione, ottenuta con modalità illecite, di una condotta del padre potenzialmente lesiva dell’interesse del minore. Il Collegio reputava ammissibile la prova, proprio alla luce del richiamo al principio della c.d. gerarchia mobile nel bilanciamento tra il diritto alla riservatezza, il diritto alla prova e l’interesse primario del minore.

Preme, poi, segnalare che i concetti di pertinenza ed uso limitato del documento richiamano il Codice in materia di protezione dei dati personali che contiene una deroga espressa alla regola del “consenso informato” al trattamento, nell’ipotesi in cui il trattamento dei dati, anche di natura sensibile, sia “necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive, o, comunque per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che tali dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento” (cfr. artt.13 comma5, e 24 del Codice).

È interessante, poi, evidenziare che a sostegno della tesi dell’utilizzabilità della prova illecita nell’ambito del processo civile interno si richiamano anche, da un lato, l’assenza del principio della inutilizzabilità (V. Trib. Milano, 9 maggio 2018, n. 5103; Trib. Bari, 16 febbraio 2007; Trib. Roma, 20 gennaio 2017), come invece espressamente previsto nel processo penale all’art. 191 c.p.p., nonché, dall’altro, la presenza del principio dell’acquisizione della prova documentale in forza del quale una volta acquisito un documento sullo stesso non è più possibile alcun tipo di sindacato (Trib. Roma 20 gennaio 2017).

Da ultimo merita di essere segnalata quella giurisprudenza di legittimità di segno contrario che ha affermato il principio secondo il quale nel processo civile è escluso l’ingresso delle prove illecite, statuendo che “in materia di affidamento esclusivo della prole, non è utilizzabile il materiale probatorio raccolto illecitamente né il materiale sottratto fraudolentemente alla parte processuale che ne era in possesso” (Cass., ord. 8 novembre 2016, n. 22677).

In conclusione, l’utilizzo dei moderni sistemi informatici permette di procurarsi elementi probatori anche intromettendosi nella sfera privata altrui, in spregio del diritto alla riservatezza, e ciò inevitabilmente si riflette sul versante processuale e sulla loro utilizzabilità ai fini del convincimento del giudice.

Accanto a questo profilo prettamente processuale, non meno importante, si colloca quello deontologico del difensore che sempre più spesso si trova nella delicata posizione di dover valutare l’utilizzabilità o meno del materiale probatorio illecitamente acquisito dal proprio cliente. L’avvocato, da un lato, potrà sicuramente far riferimento allo stato della giurisprudenza nazionale e sovranazionale in tema di prova illecita e sicuramente, facendo richiamo all’insegnamento della CEDU, verificare il corretto bilanciamento degli interessi in gioco nonché valutare se la prova è pertinente con l’oggetto della causa e la finalità perseguita.

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