Figlia di due donne: la Cassazione nega la rettificazione dell’atto di nascita e “riabilita” l’adozione in casi particolari

di avv. Valentina Alberioli

IL CASO.

Nel 2017 Tizia aveva partorito una bambina, nata all’esito di un percorso di procreazione medicalmente assistita, effettuata all’estero mediante impiego di gamete maschile di donatore anonimo ed ovulo fecondato di Mevia, compagna della partoriente.

L’ufficiale di stato civile del Comune aveva rifiutato di iscrivere la piccola con indicazione di entrambe le donne come madri, limitandosi ad indicare come tale la sola Tizia.

La coppia aveva, pertanto, adito il Tribunale con ricorso ex art. 95 del D.P.R. n. 396/2000, al fine di ottenere la rettificazione dell’atto di nascita della figlia con la doppia genitorialità.

Il Tribunale aveva accolto il ricorso, in considerazione del fatto che la legge n. 40/2004, con riguardo agli effetti del consenso alla p.m.a., “contempla accanto alla genitorialità biologica anche una genitorialità affettiva e psicologica”, e che l’eventuale illiceità della tecnica procreativa “non cancella automaticamente l'interesse del minore alla cancellazione dello status così acquisito”.

La Corte d’Appello, in accoglimento del reclamo che era stato proposto dal sindaco del Comune ed in riforma del suindicato provvedimento, aveva respinto la domanda di rettificazione proposta da Tizia e Mevia, ostando in tal senso la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Sezioni Unite n. 12193/2019 e Cass. n. 7668/2020), “già definita conforme a costituzione (C. Cost. n. 221 del 2019)”, che “non consente un'interpretazione estensiva con riferimento ai soggetti che possono accedere alle tecniche di p.m.a., mentre l'interesse del minore a essere accudito e educato nell'ambito familiare resta adeguatamente garantito dall'istituto dell'adozione”.

E ostandovi, altresì, le disposizioni in tema di formazione dell’atto di nascita, “poiché la stessa dichiarazione di riconoscimento di figlio naturale è prevista dal D.P.R. n. 396 del 2000, art. 29, solo in quanto effettuata da due individui di sesso diverso”.

Avverso il decreto della Corte d’Appello Tizia e Mevia avevano proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi.

Con il primo motivo avevano denunciato “l’omesso esame di fatto decisivo controverso, integrato dalla sussistenza del legame genetico tra la bambina e [Mevia]”, la quale, oltre ad aver espresso il consenso alla p.m.a., aveva altresì fornito “l'ovulo che, fecondato con seme maschile di donatore anonimo, era stato impiantato nell'utero della madre partoriente”, con la conseguenza che anch’essa (al pari di Tizia, madre “biologica”), doveva considerarsi a tutti gli effetti madre (“genetica” o “intenzionale”) della piccola.

Con il secondo mezzo le ricorrenti avevano denunciato la conseguente violazione, da parte della Corte d’Appello, degli artt. 6, 8 e 9 della Legge n. 40/2004, in relazione all’art. 2 della Costituzione (id est diritto fondamentale del nato all’identità personale) e all’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo.

Infine, col terzo motivo Tizia e Mevia avevano denunciato la violazione dell’art. 29 del D.P.R. n. 396/2000 e degli artt. 250 e 254 c.c., in quanto “l’interpretazione fornita dalla corte territoriale a proposito del nesso tra le citate disposizioni codicistiche e quella della legge sullo stato civile, nel testo antecedente alla legge sulla p.m.a., non terrebbe conto della necessità di un'interpretazione evolutiva, peraltro doverosa nell'ottica costituzionalmente e convenzionalmente orientata”.

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LA DECISIONE.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6383 del 25 febbraio 2022, ha pronunciato l’infondatezza del ricorso.  

Ha, infatti, ritenuto che le circostanze poste dalle ricorrenti a fondamento dell’istanza di rettificazione dell’atto di nascita della figlia non fossero idonee a togliere “rilevanza ai principi già affermati da questa Corte in consonanza col vaglio di costituzionalità della L. n. 40 del 2004”, che è la legge applicabile all’atto di nascita oggetto della controversia de qua, in quanto riguarda una bambina nata in Italia da donna di nazionalità italiana.

In particolare, la Cassazione ha richiamato il principio, elaborato in base alle più recenti pronunce (cfr. Cass. n. 8029/2020 e 7668/2020), in forza del quale

“può ritenersi acclarato che sia in contrasto con la L. n. 40 del 2004, l'art. 4, comma 3, il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo da parte di una donna legata a quella che lo ha partorito, stante l'esclusione del ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali.

Questo perché non è consentita, al di fuori dei casi previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto”,

con la conseguenza che è inammissibile “un’istanza tesa a formare l'atto di nascita traducendo in termini certificativi il risultato di ciò che non può trovare ingresso in termini sostanziali”.  

Né, ad avviso del Giudice di legittimità, si può giungere a conclusioni differenti per il fatto che sussista un “legame genetico” tra il nato e la donna sentimentalmente legata alla partoriente, per aver costei donato l’ovocita.

Tale circostanza, infatti, “non cambia la sostanza delle cose”, perché, comunque, in base alla legge nazionale “una sola è la persona che può essere menzionata come madre in un atto di nascita”.

Inoltre, chiaro sarebbe il dettato degli artt. 4 e 5 della L. n. 40/2004, i quali prevedono la limitazione dell’accesso alle tecniche di p.m.a. ai casi di sterilità o di infertilità accertate e certificate da atto medico, e quindi a situazioni di “infertilità patologica, alle quali, come precisato dalla Corte costituzionale [cfr. Corte Cost. n. 221/2019], non è omologabile la condizione di contro fisiologica - di infertilità della coppia omosessuale”.

Siffatti limiti, ad avviso della Cassazione e contrariamente a quanto sostenuto da Tizia e Mevia, non contrastano con i principi e i valori costituzionali, avendo peraltro recentemente (con le sentenze nn. 32 e 33 del 2021) la Corte Costituzionale dichiarato inammissibile – perché involgente scelte discrezionali del legislatore – la questione di legittimità degli artt. 8 e 9 della Legge n. 40/2004 e dell’art. 250 c.c. laddove, sistematicamente interpretati, non consentirebbero al figlio nato da un percorso di p.m.a. eterologa praticata da una coppia dello stesso sesso di acquisire lo status di figlio riconosciuto anche dalla madre cd. intenzionale, ove non vi siano le condizioni per procedere all’adozione nei casi particolari e sia accertato giudizialmente l’interesse del minore.

Inoltre, la Cassazione, al fine di ribadire la fondatezza del proprio orientamento, ha “ricordato” che la stessa Corte Costituzionale ha sottolineato che

“non è configurabile un divieto costituzionale, per le coppie omosessuali, di accogliere figli, spettando tuttavia alla discrezionalità del legislatore la relativa disciplina” e ha evidenziato che, “a fronte della inesistenza di certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l'inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore (v. C. Cost. n. 221 del 2019 e C. Cost. n. 230 del 2020), il profilo direttamente inerente alla tutela del miglior interesse del minore, nato a seguito di p.m.a. praticata da due donne, resta presidiato dalla possibilità del ricorso alla cd. adozione in casi particolari, in base a un'interpretazione estensiva dell'art. 44, comma 1, lett. d), della L. n. 184 del 1983, in favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico del minore (v. Cass. Sez. U n. 12193-19)”.

Pertanto, sussistendo già a tutt’oggi delle norme (id est la disciplina della cd. adozione in casi particolari) volte a riconoscere la genitorialità del genitore omoaffettivo cd. intenzionale, non vi è alcuna “necessità di colmare in via giurisprudenziale un vuoto di tutela”.

In ogni caso, secondo la Cassazione, tale “vuoto” se anche ritenuto esistente, a fortiori trattandosi di materia “eticamente sensibile”, sarebbe comunque colmabile in via legislativa, e non già mediante una “qualsivoglia attività di supplenza in termini solo giurisprudenziali”.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha, quindi, rigettato il ricorso proposto da Tizia e Mevia.

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Sia consentito rilevare come la Prima Sezione della Corte di Cassazione Civile, con l’ordinanza in commento, sembri aver fatto un “passo indietro” rispetto a quanto essa stessa aveva affermato solo pochi giorni prima nella complessa ordinanza interlocutoria n. 1842 del 21.01.2022.

Infatti, con l’ordinanza n. 6383/2022 in commento, contraddicendo il contenuto della propria precedente pronuncia n. 1842/2022 (peraltro, affatto richiamata) ed invocando quei principi giurisprudenziali (SS.UU. n. 12193/2019) che essa stessa aveva ritenuto superati, nega ora la sussistenza di un qualsivoglia vuoto normativo nella materia de qua, ed afferma persino l’idoneità del ricorso all’adozione in casi particolari a tutelare il diritto del nato da p.m.a. o da maternità surrogata al legame anche con il cd. genitore d’intenzione.

Urgente e necessario, a questo punto, l’intervento chiarificatore delle già investite Sezioni Unite e/o, a fortiori, del legislatore.

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