Ritocchi della grafia del testatore nel testamento olografo e problemi di validità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9375, depositata il 21.5.2020, affronta il tema della autenticità della grafia del testatore in materia di testamento olografo.

IL CASO. I Giudici di primo grado avevano rigettato la domanda di Tizia e di Caio, nei confronti di Sempronia, beneficiaria di due testamenti della de cuius, per nullità dei suddetti testamenti per difetto di forma. La Corte d’appello ha confermato la decisione di primo grado, rilevando che la domanda era infondata, posto che la consulenza tecnica d’ufficio, disposta in secondo grado, aveva confermato l’autografia della sottoscrizione delle due schede testamentarie.

Inoltre, i dettagli valorizzati nella perizia grafica erano compatibili con la normale variabilità della grafia di un soggetto nel corso della sua vita, per ragioni collegate al fisiologico indebolimento dovuto all’età ed i conseguenti riflessi sulla scrittura. 

Tizia e Cario proponevano ricorso per Cassazione.

LA SENTENZA. Tra i numerosi motivi di ricorso, i ricorrenti si dolevano, ai sensi dell’art. 360, comma I, n. 3 e 5 c.p.c., della violazione degli artt. 602, 606 e 2700 c.c., affermando che i giudici di secondo grado avevano utilizzato, nelle proprie motivazioni, le firme apparentemente apposte dalla de cuius in calce ai moduli relativi al consenso informato, allegati alle cartelle cliniche della testatrice. Secondo i ricorrenti: (i) la decisione sulla querela di falso era stata basata su documenti esclusi come scritture comparative da tutte le parti e prodotti in fotocopia; (ii) era stato omesso l’esame di un fatto decisivo, dedotto con il sesto motivo di appello, costituito dalla falsità – mai contestata - di tali sottoscrizioni.

La Corte, nel rigettare il motivo di ricorso, ha precisato che:

a) nel giudizio di verificazione di scrittura privata, le cui disposizioni, si applicano, in quanto compatibili, nel procedimento di falso (art. 101 disp. att. c.p.c.), il giudice ha il potere–dovere di utilizzare tutti gli elementi di prova, comunque acquisiti, senza essere vincolato ad alcuna graduatoria;

b) le attestazioni contenute in una cartella clinica, redatta da una azienda ospedaliera pubblica, hanno natura di certificazione amministrativa, cui è applicabile lo speciale regime di cui all’art. 2699 c.c. e ss., per quanto attiene alle trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, restando invece non coperte da fede privilegiata le diagnosi o le opinioni espresse;

c) l’efficacia probatoria privilegiata è estesa alla provenienza del documento, alle dichiarazioni  delle parti ed ai fatti che il pubblico ufficiale attesta siano avvenuti in sua presenza;

d) che pertanto è del tutto irrilevante, al fine di contrastare la provenienza delle sottoscrizioni, la generica attribuzione a terzi.

Gli Ermellini hanno quindi concluso nel senso che, secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte, il giudizio di verificazione di un testamento olografo deve necessariamente svolgersi con un esame grafico sull’originale del documento. Nel caso di specie, le scritture contestate non rappresentavano il documento la cui autenticità era contestata, ma le c.d. scritture di comparazione.

La sentenza di secondo grado era inoltre corretta, ad avviso della Corte, in quanto il nucleo della motivazione era fondato su una articolata valutazione delle considerazioni dei consulenti, anche alla luce delle sottoscrizioni apposte in calce agli assegni prodotti e del criterio di distribuzione dell’onere della prova nella querela di falso, gravante sull’attore.

Con altro motivo di ricorso, veniva addotto l’omesso esame di un fatto decisivo perché dalla cartella clinica risultava che la testatrice alla data del 25 ottobre 2020 (data della seconda scheda testamentaria) versava in condizioni di salute incompatibili con la redazione del testamento.

Gli Ermellini hanno rigettato il motivo, evidenziando che al ricorso era applicabile l’art. 360, comma I, n. 5, nel testo novellato dal D.L. 22.6.2012 n. 83, convertito nella L. 134/2012.  Detta norma richiede che il ricorrente debba indicare il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso; il “dato”, testuale od extratestuale, da cui esso risulti esistente; il “come” ed il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività per la decisione della controversia.

Di contro, detti requisiti non erano stati soddisfatti dai ricorrenti che si sono limitati ad una censura del tutto generica, che investiva il mancato accertamento della capacità di scrivere della de cuius, tema affrontato invece con congrua motivazione dalla sentenza di appello e confermato proprio dalla incontroversa sottoscrizione degli assegni agli atti di causa.

Anche gli altri motivi di ricorso veniva rigettati, con condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di lite.


 

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