La nullità del matrimonio può essere dichiarata solo dal tribunale ecclesiastico se la moglie non sapeva che il marito non voleva avere figli

Nel procedimento di delibazione della sentenza ecclesiastica che ha dichiarato la nullità del matrimonio concordatario, può esere rilevata d’ufficio la contrarietà della pronuncia al “…principio fondamentale di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole…”. Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza n. 11633 depositata il 16 giugno 2020.

IL CASO. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 3801/2018, aveva rigettato la domanda di delibazione della pronuncia ecclesiastica con la quale era stata dichiarata la nullità del matrimonio concordatario, contratto tra l’attore e la convenuta, rilevandone d’ufficio la contrarietà all’ordine pubblico.
La Corte territoriale aveva ritenuto che nel giudizio svoltosi avanti il tribunale ecclesiastico “…non fosse stata dimostrata la conoscenza o conoscibilità, da parte della [moglie], dell’intima convinzione del [marito] di escludere l’indissolublità del matrimonio o di escludere la possibilità di avere figli…”. Precisava inoltre che, poiché nel caso di specie “…non ricorre [anche] la fattispecie di ordine pubblico della convivenza coniugale almeno triennale…”, era ammessa la rilevabilità d’ufficio della contrarietà all’ordine pubblico della sentenza da delibare, e richiamava in proposito la pronuncia delle Sezioni Unite n. 16379/2014.

Avverso tale decisione il marito ha proposto ricorso per cassazione, denunciando “…la violazione e falsa applicazionedell’art. 8 n. 2 dell’Accordo 18 febbraio 1984 di Revisione del Concordato tra la Santa Sede e lo Stato Italiano, richiamato dall’art. 82 del cod.civ….” ed affermando che, nel caso concreto, non poteva essere negata la delibazione in quanto “…non è consentito il rilievo d’ufficio della contrarietà all’ordine pubblico della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario quando parte convenuta non si opponga all’accoglimento della domanda o non sollevi l’eccezione in senso stretto…”.

LA DECISIONE. La Suprema Corte ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato.

Dopo aver precisato che

il principio di ordine pubblico, ostativo all’accoglimento della delibazione, era quello “…inerente alla tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole…” in base al quale “…il giudice italiano è tenuto ad accertare la conoscenza o l’oggettiva conoscibilità dell’esclusione di uno dei bona matrimoni da parte dell’altro coniuge, con piena autonomia, trattandosi di profilo estraneo … al processo canonico...”,

la Cassazione ha dichiarato che la pronuncia della Corte d’appello andava esente dalla censura, in quanto i giudici del merito, con apprezzamento di fatto, incensurabile fuori dai limiti di cui all’art. 360, primo comma, c.p.c., e con motivazione adeguata, avevano correttamente ritenuto che non fosse stata dimostrata la “…conoscenza o conoscibilità…” da parte della moglie “…dell’intima convinzione del [marito] di escludere l’indissolubilità del matrimonio o di escludere la possibilità di avere figli…”.

La Corte di Cassazione ha ulteriormente affermato che la violazione del principio fondamentale “…di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole…” rappresenta un’ipotesi ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica che può essere rilevata d’ufficio.
Infatti “…l’eccezionale deroga … della distinta fattispecie di ordine pubblico della convivenza coniugale almeno triennale … statuita dalle sezioni unite …. con la sentenza n. 16379/2014… opera esclusivamente in ragione delle indubbie peculiarità di quella fattispecie…” mentre “… la distinta fattispecie di ordine pubblico oggetto del presente giudizio riguarda … come si è visto, solo la violazione del principio fondamentale di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole, il cui rilievo d’ufficio non trova deroga … e assume autonoma e decisiva rilevanza ostativa alla delibazione…”.
 

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