Bullismo e Cyberbullismo: la tutela penale

di avv. Anna Silvia Zanini

 

Il bullismo e il cyberbullismo sono fenomeni sociali estremamente gravi che hanno origine prevalentemente in ambito scolastico e vedono sempre più spesso coinvolti minori tra gli undici e i diciassette anni.

Il fenomeno del bullismo è caratterizzato da azioni violente e intimidatorie, quali aggressioni verbali e fisiche, forme di persecuzione, comportamenti arroganti, sfrontati e di esclusione sociale perpetrati intenzionalmente e ripetutamente da un singolo o da più persone su una vittima.

Tali comportamenti si contraddistinguono per intenzionalità (il soggetto agisce con consapevolezza e con l’intento di arrecare danno alla vittima), persistenza (una serie di aggressioni verbali e fisiche reiterate nel tempo) e per lo squilibrio di forza/potere nella relazione tra bullo e vittima, la quale soffre di una situazione di isolamento mentre l’agente gode della complicità del gruppo.

Con l’avvento della tecnologia e con l’accessibilità ad internet, il fenomeno del bullismo si è insediato anche sulla rete internet, facendo sorgere il fenomeno del cyberbullismo, la cui proiezione nel cyberspazio ne accresce a dismisura le potenzialità offensive.

L’ordinamento italiano con la l.n. 71/2017 ha introdotto una tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, definendo quest’ultimo come: “Qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.

Il fenomeno del cyberbullismo è caratterizzato dall’anonimato, stante la non necessità della compresenza fisica del soggetto attivo e di quello passivo nel medesimo contesto spaziale e sociale e la possibilità di creazione di account falsi, nonché dalla rapida diffusione dell’azione denigratoria e persecutoria, non sussistendo limiti di spazio e di tempo, con conseguente maggiore potenzialità offensiva, peculiarità derivanti proprio dall’utilizzo dalle piattaforme tecnologiche che rendono estremamente difficile per la vittima sottrarsi dalle aggressioni.

In letteratura, è stata proposta una classificazione delle diverse tipologie di condotte integranti il cyberbullismo (N. Willard, “Cyberbullying and cyberthreats”, 2007): flamming (messaggi violenti e volgari mirati a suscitare una lite online), harassment (molestie consistenti nell’invio ripetuto di messaggi offensivi, volgari, minatori, mirati a irritare e ferire psicologicamente la vittima), denigration (invio o pubblicazione di notizie, pettegolezzi o foto compromettenti per danneggiare la reputazione della vittima o le amicizie), impersonation (furto di identità tramite violazione dell’account o creazione di un’identità fittizia parallela a quella della vittima), tricy o outing (ricezione o detenzione di dati o immagini “sensibili” della vittima e successiva pubblicazione attraverso circuiti informatici senza il consenso della predetta), exclusion (esclusione della vittima da un gruppo).

Per attenuare le conseguenze dannose degli atti di cyberbullismo, il legislatore, con la legge sopra citata (l.n. 71/2017), ha previsto una serie di tutele offerte alle vittime della pubblicazione o diffusione di contenuti online che integrano gli elementi costitutivi del cyberbullismo: l'oscuramento dei contenuti, l’intervento del Garante per la protezione dei dati personali, l’ammonimento del questore, altro.

Il nostro ordinamento, tuttavia, non prevede una fattispecie criminosa atta a punire specificatamente il “bullismo” o il “cyberbullismo”.

Va premesso che con la diffusione di internet e, quindi, con l'aumento esponenziale delle occasioni di connessione e condivisione in rete, si è posto il problema della previsione normativa di fattispecie che prevedano un sistema sanzionatorio finalizzato ad arginare il fenomeno della graduale crescita degli illeciti commessi dagli utenti del web.

La casistica di illeciti è varia, creando forti problematiche di tipizzazione: domain grabbing (l’uso abusivo di nomi di dominio corrispondenti a marchi commerciali altrui o a nomi di terzi noti al fine di sfruttarne la fama o farsi pagare un riscatto dal titolare del segno), furti di identità, cyberbullismo, diffamazione a mezzo internet, accesso abusivo a reti informatiche, pedopornografia, crypto locker (criptare i dati della vittima chiedendo un pagamento per la decriptazione) e numerosi altri fenomeni derivanti dall'uso illecito del web.

Per accertare la sussistenza di un reato, i comportamenti eterogenei che configurino i fenomeni di bullismo e di cyberbullismo devono essere analizzati con riferimento alla specifica condotta posta in essere nel caso concreto dal ragazzo minorenne o maggiorenne.

In via preliminare, risulta necessario soffermarsi sulle peculiarità che caratterizzano l’imputabilità penale di un minore di diciotto anni nel nostro ordinamento.

Viene anzitutto in rilievo l’art. 97 c.p. il quale prevede che “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni”. La norma prevede una presunzione legale assoluta di non imputabilità. Pertanto, il soggetto infra quattordicenne che ponga in essere una condotta integrante una fattispecie di reato, non è assoggettabile a pena alcuna. Qualora, tuttavia, emergessero nel minore elementi di pericolosità sociale è prevista l'eventuale applicazione nei suoi confronti di misure di sicurezza ai sensi degli artt. 222 e 224 c.p.

Laddove il reato venga commesso da un soggetto che abbia compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, l’art. 98 c.p. prevede la necessità di stabilire se il minore aveva al momento del fatto la capacità d'intendere e di volere ovvero la capacità di comprendere e volere la condotta avente rilevanza penale. Si rende, pertanto, necessaria una valutazione caso per caso, in relazione alla natura dell'illecito, al bene giuridico offeso e alla struttura della fattispecie criminosa, al fine di stabilire se il minore ultraquattordicenne possa essere ritenuto capace. Solo se tale valutazione avrà esito positivo, il soggetto minore ultraquattordicenne sarà assoggettabile a sanzione penale, seppur diminuita.

Quindi, nei confronti di coloro che commettano comportamenti di bullismo o cyberbullismo prima del compimento del quattordicesimo anno d’età ovvero in età compresa tra i quattordici e diciotto anni, in assenza di capacità di intendere e volere al momento del fatto, non potrà essere instaurato alcun procedimento penale.

Si precisa, altresì, che neppure i genitori di minori che pongano in essere condotte di bullismo o cyberbullismo potranno essere chiamati a rispondere penalmente poiché la responsabilità penale è personale. Gli esercenti la responsabilità genitoriale potranno invece ritenersi civilmente responsabili, ex art. 2048, comma 1, c.c., se è ad essi ascrivibile la culpa in vigilando ed in educando. La responsabilità parentale può essere esclusa, ai sensi del comma 3 dell'art. 2048 c.c., soltanto qualora i genitori dimostrino di non aver potuto impedire il fatto, dovendosi con ciò intendere che gli stessi abbiano integralmente adempiuto al dovere di educare la prole attraverso lo sviluppo nella stessa di una adeguata capacità critica e di discernimento.

Fermi restando i principi sopra esposti, i comportamenti riconducibili ai fenomeni di bullismo e cyberbullismo possono integrare plurime figure criminose che verranno di seguito analizzate specificatamente.

Vengono anzitutto in rilievo i delitti contro la persona e la tutela del bene giuridico dell'integrità fisica e mentale della vittima.

Gli atti di bullismo e cyberbullismo consistenti in violenza perpetrati contro l'altrui persona fisica, quali, ad esempio, schiaffi, calci o pugni, quando non siano idonei a determinare una malattia, integrano il reato di percosse ai sensi dell’art. 581 c.p. Qualora dalla condotta derivino anche dei danni psico-fisici, sarà invece integrato il più grave reato di lesioni dolose di cui all’art. 582 c.p. Infine, nel caso in cui dovesse verificarsi il decesso della vittima, l’agente dovrà rispondere del reato di morte come conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.) se l’evento non era voluto, e di omicidio (art. 575 c.p.) se l’evento era invece previsto e voluto.

In giurisprudenza, è stata altresì analizzata la possibilità che condotte di bullismo e cyberbullismo integrino la fattispecie criminosa di istigazione o aiuto al suicidio prevista e punita dall’art. 580 c.p., nel caso in cui le condotte di prevaricazione, offesa e aggressione possano determinare la tragica scelta della vittima di togliersi la vita, con la precisazione che qualora il suicida abbia un’età inferiore a quattordici anni, l’autore del delitto dovrà rispondere di omicidio volontario (art. 575 c.p.).

Sul punto è intervenuta la Suprema Corte nel caso di una vicenda ricollegabile al “gioco” del Blue Whale Challenge. Si tratta di un adescamento online articolato in una serie di cinquanta prove attraverso le quali un tutor induce un teenager a compiere atti di autolesionismo e a intraprendere azioni pericolose per la propria incolumità che vengono documentate mediante smartphone e condivise in rete sui social fino all’atto finale del suicidio.

La Corte di Cassazione ha precisato che, perché possa dirsi integrato il paradigma normativo di cui all'art. 580 c.p., occorre che l’istigazione al suicidio venga accolta, in quanto la norma postula che il soggetto indotto commetta effettivamente l’atto autolesivo. La figura tipica si realizza altresì allorquando il soggetto istigato – appunto accogliendo l’istigazione – compia un tentativo di suicidio (fatto che di per sé non costituisce reato) e, non riuscendo a realizzare il proposito, si procuri una lesione grave o gravissima.

Rimangono, quindi, fuori dalla suindicata previsione codicistica tutte quelle ipotesi di: a) istigazione non accolta; b) istigazione accolta ma non seguita dalla concretizzazione – a opera dell’istigato – di un tentativo di suicidio; c) istigazione accolta, alla quale faccia seguito l’esecuzione di un atto suicida, che sia però tale da comportare solo lesioni lievi o lievissime. La Suprema Corte ha pertanto concluso affermando che non è configurabile il tentativo con riguardo al reato di cui all'art. 580 c.p., nell'ipotesi in cui all'istigazione non segua un suicidio consumato o tentato con lesioni gravi o gravissime. Nella fattispecie la Corte ha “escluso la configurabilità del tentativo di istigazione al suicidio nel caso di invio di messaggi telefonici ad un minore nell'ambito del gioco noto come Blue Whale Challenge, pur se contenenti l'invito a compiere atti potenzialmente pregiudizievoli” (Cass. pen. n. 57503/2017).

Oltre alle fattispecie di reato a tutela dell’integrità fisica e mentale, le condotte concretizzati i fenomeni di bullismo e cyberbullismo spesso integrano fattispecie di reato che tutelano la reputazione della persona offesa. Viene in rilievo la disciplina della diffamazione, prevista e punita dall’art. 595 c.p., che si realizza allorquando l’agente offenda attraverso qualunque mezzo l’onore di una persona non presente e l’offesa dell’altrui reputazione avvenga mediante comunicazione rivolta a una pluralità di terzi individui. Il requisito della comunicazione tra più persone si considera integrato anche qualora questa avvenga in tempi diversi. Appare di tutta evidenza come la diffusione in rete di affermazioni diffamatorie arrechi maggior danno alla reputazione della vittima, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone apprezzabile per composizione numerica e indeterminabile. Per conforme giurisprudenza, la diffamazione avvenuta tramite social network configura l'ipotesi aggravata dal mezzo pubblicità ex art. 595 c. 3 c.p. (si veda, tra le altre, Cass. pen. n. 8482/2017).

È possibile ravvisare, altresì, la fattispecie delittuosa di minacce di cui all’art. 612 c.p. che si realizza allorquando il bullo pone in essere un atteggiamento intimidatorio riguardante la sfera morale della vittima della quale risulta compromessa la capacità di autodeterminarsi.

Sussiste, invece, il reato di violenza privata ex art. 610 c.p., quando l’agente volontariamente ed illegittimamente costringa una persona, mediante violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, ponendo la vittima in una condizione di soggezione psichica a seguito dell’atto violento.

Sul punto è intervenuta di recente la Suprema Corte, affermando che “il bullismo configura il reato di violenza privata quando il bullo con diverse azioni pone la vittima, cioè un proprio coetaneo, in una condizione di soggezione psichica in conseguenza dell'atto violento che non si esaurisca in sé. Non è, infatti, la violenza o la minaccia il fatto costitutivo del reato, bensì la coercizione”. La Cassazione ha respinto il ricorso che contestava la configurabilità del reato ex art. 610 c.p., per gli atti di bullismo di un minorenne nei confronti del compagno di scuola, costretto a subire il furto di oggetti scolastici, la simulazione sul suo corpo di un rapporto sessuale e altre continue condotte violente e prevaricatrici. Per i giudici di legittimità la compressione della libertà psichica del compagno di scuola, costretto a subire prevaricazioni, è sufficiente all'imputabilità per violenza privata dell'autore delle condotte consistenti in comportamenti oggettivamente coercitivi della volontà della vittima e lesive dell'autodeterminazione del minore.

Le condotte moleste e minacciose poste in essere dai bulli o cyberbulli possono integrare, altresì, la fattispecie criminosa di atti persecutori previsa e punita ai sensi dell’art. 612 bis c.p., allorquando le azioni reiterate cagionino nella vittima alternativamente un perdurante e grave stato di ansia o paura ovvero un fondato timore per l’incolumità propria, di un prossimo congiunto o persona legata da una relazione affettiva con la vittima o infine un cambiamento delle abitudini di vita. È di tutta evidenza come gli atti persecutori possono avvenire tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie determinando condotte di cyber stalking, fenomeno caratterizzato da comportamenti molesti e persecutori posti in essere attraverso i nuovi mezzi di comunicazione (e-mail, messaggistica istantanea, social network, etc.).

La Suprema Corte, a titolo semplificativo, ha ritenuto configurabile il delitto di cui all’art. 612 bis c.p. in caso di pluralità delle condotte vessatorie poste in essere da due imputati in danno a un compagno di classe, per tutto il periodo dell'anno scolastico in cui egli frequentò la scuola, costringendolo, prima, ad interrompere la frequenza scolastica ed, alla fine, ad abbandonare la scuola, eventi che hanno determinato un'evidente alterazione delle condizione di vita del minore e che unitamente all'accertato stato di ansia e di paura per la propria incolumità fisica insorto nel minore, integrano il reato di atti persecutori (Cass. pen. n. 26595/2018).

Il secondo comma dell’art. 612 bis prevede una specifica ipotesi aggravante volta a tutelare le vittime di cyber stalking, che si applica quando gli atti persecutori siano commessi attraverso strumenti informatici o telematici.

Vanno, infine, considerati i reati introdotti più di recente dal legislatore e volti a tutelare le vittime delle nuove forme d’illecito diffuse nella nostra società a seguito dello sviluppo di tecnologie telematiche ed informatiche.

In primis, la comunicazione e diffusione di immagini e video senza il consenso della vittima, volta al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all'interessato, integra il reato di trattamento illecito di dati previsto e punito dall’art. 167 del Codice della Privacy.

Altresì, nel caso di condotte consistenti in furto di identità, perpetrate tramite violazione di account, risulterà integrato il delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico di cui all’art. 615 ter c.p. che punisce chiunque abusivamente si introduca in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantenga contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo. Similmente, l’utilizzo indebito della identità digitale altrui per il tramite della creazione di account falso della vittima all’insaputa di quest’ultima, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, integra il reato di sostituzione di persona di cui all’art. 494 c.p.

Un ultimo aspetto di rilievo concerne la diffusione per via informatica di immagini sensibili della vittima, spesso sessualmente connotate.

Qualora il minore venga ripreso senza consenso, troverà applicazione la fattispecie criminosa di pornografia minorile ai sensi dell’art. 600 ter c.p. La successiva diffusione per via telematica (sms, chat, applicazioni di messaggistica) o pubblicazione informatica (Facebook, Instagram, TikTok, YouTube, Google, social network in generale) dei contenuti medesimi, anche da parte di chi li ha ricevuti senza partecipare alla loro produzione, integrerà il reato di diffusione o distribuzione di materiale pedopornografico ai sensi dell’art. 60 ter, comma 3, c.p. È altresì punibile colui che si limita a procurarsi o a detenere materiale pedopornografico prodotto senza il consenso del minore ai sensi dell’art. 600 quater c.p.

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