La coordinazione genitoriale nei Tribunali Italiani a supporto della bigenitorialità

19 LUGLIO 2021 | Numero speciale PAS

Fernanda Emanuela Rizzo, Avvocato del foro di Milano

L’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ha condotto una analisi delle pronunce giudiziali, disponibili e reperite a livello nazionale, sul tema della coordinazione genitoriale.

Gli esiti consentono di concludere che il Co.Ge è stato recepito dall’esperienza statunitense e accolto dalla nostra giurisprudenza di merito come istituto finalizzato alla tutela del minore che si trovi esposto ai pregiudizi di un conflitto genitoriale ad elevato livello di conflittualità, non mediabile, pregiudizievole del benessere della prole.

Ricerche neuroscientifiche condotte negli ultimi vent’anni sugli effetti della alta conflittualità sui figli denunciano ripercussioni nella relazione genitori-figli, accentuatamente più problematiche, predisponendo al disadattamento emotivo del bambino.

La consapevolezza dei limiti del processo familiare, che non assicura il controllo sui comportamenti delle parti processuali dopo la sua definizione, né il rispetto delle prescrizioni individuate a tutela dei figli, ha  indotto in ambito giudiziario a sperimentare il metodo della coordinazione genitoriale proponendolo, secondo le indicazioni delle Linee Guida dell’AFCC (Association of Family and Conciliation Court), come intervento di supporto a carattere deflattivo e di contenimento del conflitto, mirato ad implementare la co -genitorialità, che opportunatamente guidata e direzionata dal coordinatore genitoriale, può riuscire ad attuare il piano genitoriale basandolo sull’empowerment dei genitori nell’autodeterminazione e sulla loro capacità di problem solving.

Il modello di coordinazione genitoriale accolto dai Tribunali Italiani è incentrato sulla protezione dei diritti della prole minore e sul giudizio prognostico, demandato ad apposita CTU, della possibilità di recupero in modalità condivisa dell’esercizio della funzione genitoriale, nella convinzione che il regime codificato dell’affidamento condiviso rappresenti la condizione migliore per garantire la crescita equilibrata e armoniosa dei figli.

Nell’area dell’alta conflittualità la coordinazione genitoriale si propone solo alle coppie che hanno risorse per andare oltre la logica del conflitto.

Nella prassi, infatti, si rileva che la coordinazione genitoriale non è mai contemplata come intervento associato a condizioni totalmente limitative o ablative della responsabilità genitoriale, anche laddove sia realizzata in abbinamento ad una investitura dei Servizi Sociali con funzioni istituzionalmente di monitoraggio, sostegno della genitorialità e decisionali vicarie nell’interesse della prole.

In tali casi la specifica caratterizzazione del ruolo del Co.Ge è assicurata dal provvedimento giudiziale che ne delimita nel dettaglio funzioni e ambito di operatività rispetto ai Servizi Sociali.

Sugli obiettivi dell’intervento si riscontra una concorde adesione pur in presenza di una significativa disomogeneità circa l’inquadramento e applicazione della figura del Co.Ge, da riconnettere alla mancanza di una disciplina normativa che dipani alcune criticità applicative nel riadattamento del modello statunitense ai diritti costituzionalmente garantiti nel nostro ordinamento e regoli il collegamento tra questo strumento e la funzione giurisdizionale, indispensabile per garantirne la piena efficacia.

La Linea guida VII dell’AFCC ravvisa una prassi virtuosa nel raccordo con l’Autorità Giudiziaria sin dal momento di conferimento dell’incarico “per fornire l’autorità al Co.Ge per poter lavorare con i genitori al fine di uscire dal processo antagonistico, per ottenere informazioni e per formulare raccomandazioni e decisioni come specificato nell’ordine di incarico”.

Nella prassi dei Tribunali Italiani due sono le tipologie di applicazione del Co.Ge, che fanno capo a due divergenti orientamenti sul suo inquadramento.

Un primo indirizzo inquadra il Co.GE nell’ambito dei metodi di ADR, il cui avvio è condizionato alla acquisizione del consenso delle parti e alla valutazione da parte del Giudice della loro capacità genitoriale, funzionante benché compressa nel conflitto. La designazione del professionista è rimessa alla libera scelta delle parti su mandato privato, di cui il Giudice prende atto nel provvedimento che recepisce il loro accordo.

Il procedimento di coordinazione genitoriale trova la sua puntuale regolamentazione nel contratto professionale privato e si svolgerà parallelamente al giudizio, che non viene sospeso.

La volontarietà si prospetta come la miglior garanzia di conseguimento dell’obiettivo di risanare la relazione tra le parti, facilitarne la comunicazione e riattivare le abilità di co-genitorialità, per cui il Co.Ge in tale contesto opererà essenzialmente attraverso la funzione direzionale e di contenimento, mediando la ricerca di soluzioni condivise, fornendo raccomandazioni in caso di divergenze e - in via del tutto residuale - prenderà decisioni solo se autorizzato dalle parti.  

L’eventuale comportamento inadempiente di una parte, in mancanza di previsione normativa sanzionatoria o protocolli consolidati, potrebbe essere rimesso dalla parte adempiente alla valutazione del Giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c.  ovvero ai sensi dell’art.709 ter c.p.c., non avendo il Co.Ge alcuna legittimazione processuale.

In questo ambito di applicazione è senz’altro avvalorato l’obiettivo facilitativo / educativo, ma rimane quale tema nevralgico di incerta soluzione il collegamento con l’Autorità Giudiziaria che ne potenzierebbe l’effettività del successo (discussa è la possibilità del Co.GE di relazionare al Giudice, se non vi è consenso delle parti).

Un secondo orientamento inquadra il Co.Ge. nella figura processuale dell’ausiliario con nomina da parte del Giudice, che ne definisce poteri e ambiti di operatività e lo raccorda al giudizio attribuendogli la funzione di relazionare al Giudice (titolare del procedimento pendente o, se definito, al GT o al Tribunale dei Minorenni) in merito alla condotta delle parti per i conseguenti provvedimenti.

Evidentemente la soluzione di inserire il Co.Ge nella cornice dell’art. 68 c.p.c. supera l’impasse del raccordo con l’Autorità Giudiziaria gli riconosce l’autorità propria dell’ausiliario del Giudice, tuttavia rischia di imbrigliare pesantemente il procedimento nelle dinamiche antagonistiche tipiche del contenzioso giudiziale a scapito di un percorso autentico delle parti verso una vera collaborazione co-genitoriale.

Non manca un orientamento intermedio, che coniuga l’atto di designazione da parte del Giudice con l’invito alla formalizzazione dell’incarico privato entro il termine assegnato alle parti.

Soluzione che mira a comporre le criticità via via emerse, poiché ottimizza i vantaggi di un accesso volontario alla coordinazione genitoriale e al tempo stesso potenzia la funzione direttiva del Co.Ge nella gestione del conflitto tramite il supporto dato dalla diretta relazione con l’Autorità Giudiziaria.

Generale è la constatazione che le coppie in aspro conflitto solo se vengono inserite in un contesto istituzionale strutturato che le guidi, anche in maniera direttiva, in un lavoro sinergico tra Istituzioni e parti, possono essere orientate criticamente verso soluzioni alternative di risoluzione del loro conflitto, ottenendo l’effettivo depotenziamento dell’alta conflittualità.

Si allegano quattro tipologie di provvedimenti che rimandano agli orientamenti in commento.

 

Tribunale di Milano, decreto 7-29 luglio 2016

Tribunale di Monza, 8 giugno 2017

Tribunale di Varese, 4 marzo 2019

Tribunale di Reggio Calabria 31 maggio 2019

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