Amministrazione di sostegno tra doveri, tutele del beneficiario e responsabilità penale

di avv. Anna Silvia Zanini

L'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno è stato individuato, da dottrina e giurisprudenza, non tanto con riguardo al grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi della persona carente di autonomia, quanto piuttosto nella maggiore idoneità di tale strumento, per flessibilità ed agilità nella procedura applicativa, ad adeguarsi alle esigenze del soggetto beneficiario.

Si tratta di un istituto che, nell'ambito delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, persegue l'obiettivo della minor limitazione possibile della capacità di agire, attraverso l'assunzione di provvedimenti di sostegno, temporaneo o permanente, nel quadro di un servizio di utilità collettiva, essenziale per la salvaguardia degli interessi di soggetti fragili.

L’amministratore di sostegno è gravato da specifici obblighi e responsabilità che lo espongono anche in ambito penale.

Con la sentenza n. 50754 del 2014 la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, ha chiarito che all'amministratore di sostegno, nel quadro delle funzioni a lui assegnate dalla legge, va attribuita la qualità di pubblico ufficiale, considerato il complesso delle norme a lui applicabili ed in particolare: a) la prestazione del giuramento prima dell'assunzione dell'incarico (art. 349 c.c.); b) il regime delle incapacità e delle dispense (artt. 350 e 353 c.c.); c) la disciplina delle autorizzazioni, le categorie degli atti vietati, il rendiconto annuale al giudice tutelare sulla contabilità dell'amministrazione (artt. 374 e 388 c.c.); d) l'applicazione, nei limiti di compatibilità, delle norme limitative in punto di capacità a ricevere per testamento (artt. 596 e 599 c.c.) e capacità di ricevere per donazioni (art. 779 c.c.).

In sostanza tutta la disciplina, formale e sostanziale, pone l'amministratore di sostegno sullo stesso piano del tutore con gli obblighi e le ricadute penali che la sua qualità di pubblico ufficiale comportano, in particolare l’applicabilità di alcune fattispecie di reato proprio, che, cioè, può essere commesso soltanto da colui che rivesta tale particolare qualifica.

Viene in rilievo in primis il reato di peculato (art. 314 c.p.) che risulta integrato laddove l’amministratore di sostegno si appropri di somme di denaro appartenenti alla persona amministrata, somme ricevute in funzione dell’ufficio rivestito ovvero sottratte dai c/c intestati alla vittima a mezzo di prelievo con bonifici, assegni circolari, operazione bancomat e/o pagamenti a diverso titolo.

Con la sentenza n. 10624 del 16.02.2022 la Suprema Corte ha ribadito che integra il delitto di peculato la condotta dell'ADS che, essendo abilitato ad operare sul libretto di deposito postale intestato alla persona sottoposta ad amministrazione, si appropria delle somme di denaro in esso giacenti (nella specie corrispondenti alla differenza contabile tra i prelievi e le spese documentate) per finalità non autorizzate e comunque estranee agli interessi dell'amministrato.

Altro reato tipico del quale può rispondere l’ADS è l’omissione o rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 c.p.) allorquando rifiuti od ometta, a fronte di formale diffida, di redigere il rendiconto annuale che permette al giudice tutelare di effettuare il controllo economico sull’attività prestata a favore dell’amministrato. Spesso si verifica che la mancata redazione del rendiconto annuale sia finalizzata ad evitare la verifica di un’eventuale appropriazione di somme o beni che appartengono al beneficiario. In questo caso si configura un concorso di reati, l’omissione di atti d’ufficio e il peculato.

Altra fattispecie di reato che l’ADS può commettere è l’abuso d’ufficio.

L’art. 410 c.c. prevede, infatti, che l’amministratore di sostegno deve tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario e deve tempestivamente informarlo circa gli atti da compiere. In caso di dissenso, l’amministratore è tenuto ad informare il giudice tutelare. Ove l’ADS agisca ignorando tali obblighi, potrebbe incorrere nell’abuso d’ufficio, qualora con tali condotte intenzionalmente procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrechi ad altri un danno ingiusto.

Non si rinvengono numerosi casi trattati dalla giurisprudenza. Tuttavia, la Suprema Corte ha affrontato il tema con la sentenza n. 38875 del 02.07.2019 che ha statuito la configurabilità di tale illecito penale nel caso in cui l’ADS ponga in essere una operazione economica su un bene immobile di proprietà del beneficiario di ampia utilità personale ma di poco guadagno per l’amministrato. L’uso di beni del beneficiario non deve essere, infatti, finalizzato a soddisfare in misura preponderante interessi privati dell’amministratore di sostegno. 

Ulteriore reato ipotizzabile è quello di falso ideologico in atti pubblici (art. 479 c.p.) che punisce il pubblico ufficiale che nell’esercizio del suo incarico renda una falsa attestazione. Nel caso dell’amministratore di sostegno tale circostanza potrebbe verificarsi qualora il medesimo dichiarasse falsamente che il beneficiario versa in condizioni di indigenza per poter così essere destinatario di determinati contributi economici. Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato è sufficiente il dolo generico, cioè la volontarietà e la consapevolezza della falsa attestazione. Tale delitto si configura, pertanto, non solo quando la falsità sia commessa senza intenzione di nuocere, ma anche quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno.

La Suprema Corte ha altresì vagliato la configurabilità del reato di abuso di mezzi di correzione o di disciplina per le condotte dell’amministratore di sostegno, accertando che  non è configurabile tale reato ove l’ADS abbia assunto i soli compiti previsti e regolati dagli artt. 404 e ss. c.c., in quanto limitati alla assistenza per il compimento di atti negoziali a tutela degli interessi patrimoniali del soggetto che ne beneficia e non implicanti competenze educative, né poteri-doveri di cura e custodia della persona.

Ragionando a contrariis si dovrebbe ritenere integrato il reato di cui all’art. 571 c.p. nel caso in cui tra i compiti e i doveri dell’amministratore di sostegno rientrino, altresì, il farsi carico personalmente della cura e della persona dell’amministrato, e tali doveri vengano violati.

Il contenuto dell’incarico previsto nel decreto di nomina costituisce elemento decisivo anche per la possibile configurabilità in capo all’ADS del reato di abbandono di persone minori o incapaci (art. 591 c.p.): anche in tale ambito la Cassazione ha avuto modo di chiarire che il reato può configurarsi in capo all’amministratore di sostegno solo nel caso in cui quest’ultimo sia investito di una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell'incolumità individuale del soggetto incapace, e non abbia solo un incarico di assistenza nella gestione patrimoniale (Cass. Pen. 26.02.2016 n. 7974).

Infatti, pur avendo un dovere di relazionare periodicamente sull'attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario, il compito dell'amministratore di sostegno resta fondamentalmente quello di assistere la persona nella gestione dei propri interessi patrimoniali, e non anche la "cura della persona", poiché l'art. 357 c. c., che indica tale funzione a proposito del tutore, non rientra tra le disposizioni richiamate dall'art. 411 c.c. applicabili all'amministrazione di sostegno.

Da sottolineare, infine, che in capo all’ADS, quale pubblico ufficiale, vige l’obbligo di denuncia (art. 331 c.p.p.) di reati perseguibili d’ufficio commessi da terzi in danno del proprio amministrato. Nel caso in cui l’amministratore venga a conoscenza di tali condotte (es. circonvenzione di incapace, maltrattamenti, appropriazione indebita etc.) deve informare il giudice tutelare e la Procura della Repubblica, affinché vengano svolte le opportune verifiche e approntate le relative tutele.

Diversamente l'amministratore di sostegno non è titolare del potere di proporre querela in nome e per conto dell’amministrato, dovendosi in ogni caso tener conto dei limiti segnati dal perimetro delle attribuzioni conferitegli con il decreto di nomina: sarà legittimato solo in presenza di un’esplicita previsione nel medesimo decreto e di una specifica, previa, autorizzazione del giudice tutelare all'esercizio del potere di proporre querela in nome e per conto del beneficiario (Cass. Pen. sentenza n. 8812 del 2020).

L’amministratore di sostegno può, altresì, costituirsi parte civile in favore del proprio beneficiario al fine di chiedere il risarcimento dei danni conseguenti a reato.

Sul punto si è di recente espresso il Giudice delle Indagini Preliminari presso il Tribunale di Vicenza affermando, con ordinanza del 05.05.2022, che: “ai sensi dell'articolo 77 comma primo del codice di procedura penale coloro che non hanno il libero esercizio dei diritti possono costituirsi parte civile esclusivamente se rappresentati nelle forme prescritte dalla norma civilistica. L’ADS agisce non già congiuntamente al soggetto amministrato bensì in suo nome, soggiacendo ai sensi dell'articolo 410 codice civile ad un obbligo di informare il beneficiario degli atti da compiere nel suo interesse e, in caso di contrasto, di ricorrere al giudice tutelare. Pertanto, la nomina dell’avvocato […] quale ADS di […] autorizza lo stesso al compimento in nome e per conto dell’amministrato degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione tra i quali rientra l’atto di costituzione di parte civile. Rispetta pertanto le formalità di cui all'articolo 78 codice procedura penale l'atto sottoscritto dal solo amministratore di sostegno in quanto facoltilizzato dal Giudice Tutelare”.

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