Alle Sezioni Unite la questione se la stabile convivenza di fatto dell’ex coniuge comporti sempre l’automatica estinzione del diritto all’assegno di divorzio

Con ordinanza interlocutoria n. 28995/2020, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha rimesso alla Sezione Unite la questione se l’instaurazione di una nuova convivenza da parte dell’ex coniuge, sperequato nella posizione economica, comporti un’estinzione automatica dell’assegno divorzile di cui è beneficiario o se, invece, siano praticabili altre scelte interpretative, che tengano conto della natura compensativa dell’assegno divorzile.
Nel caso esaminato, il Tribunale di Venezia, aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra le parti, ponendo a carico dell’ex marito l’obbligo di versare all’ex moglie un assegno divorzile di euro 850,00 mensili. La Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado ed in accoglimento dell’impugnazione proposta dall’ex marito, respingeva la domanda di riconoscimento dell’assegno divorzile proposta dall’ex moglie, avendo questa instaurato una stabile convivenza con un nuovo compagno, da cui aveva avuto una figlia.
Ricorreva per la cassazione della sentenza di appello l’ex moglie, in particolare facendo valere la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 10, della legge 898 del 1970, nella parte in cui la Corte di Appello di Venezia aveva ritenuto che “la semplice convivenza more uxorio con altra persona provochi, senza alcuna valutazione discrezionale del giudice, l’immediata soppressione dell’assegno divorzile”. Infatti, nel caso di specie, la ricorrente, nei nove anni di matrimonio, aveva rinunciato ad un’attività professionale e/o lavorativa, per dedicarsi ai figli e alla casa, e ciò anche dopo la separazione personale dal marito, che aveva potuto invece applicarsi interamente al proprio successo professionale.
La ricorrente, non più in età di poter reperire un lavoro, viveva con i figli dell’assegno divorzile e si era unita ad un nuovo compagno che percepiva un reddito di circa 1.000,00, per giunta gravato dal mutuo della casa. La coppia aveva altresì avuto una figlia.
La ricorrente evidenziava l’importanza, la funzione e la non necessaria caducità dell’assegno di divorzio nella sua parte compensativa poiché “il profilo compensativo, integrato dall’apporto personale dato dall’ex coniuge alla conduzione del nucleo familiare ed alla formazione del patrimonio comune, destinato ad integrare le ragioni dell’assegno divorzile nella giurisprudenza della Corte di cassazione, avrebbe escluso l’automatismo estintivo dell’assegno divorzile quale conseguenza della nuova convivenza”.
La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha riconosciuto che la questione, consistente nello stabilire se l’effetto estintivo previsto dall’art. 5, comma 10, della legge n. 898 del 1970 nel caso di nuove nozze del beneficiario dell’assegno trovi applicazione e per quali contenuti e limiti nella distinta ipotesi della famiglia di fatto, rientrava tra quelle di massima di particolare importanza ex art. 374, comma 2, c.p.c., ed ha quindi ritenuto necessario investirne il Primo Presidente perché valuti l’opportunità di rimetterne l’esame alle Sezioni Unite.
In particolare,

la Corte ritiene che debba essere ripensato l’orientamento, affermato dalla stessa giurisprudenza di legittimità, per cui, in applicazione del principio di auto-responsabilità, l’ex coniuge beneficiario dell’assegno divorzile che inizia una nuova convivenza di fatto “mette in conto quale esito della scelta compiuta […] il venir meno dell’assegno divorzile”, pur mediando e contenendo tale automatismo degli effetti estintivi con la necessità di accertare, nel giudizio di merito, “i caratteri della famiglia di fatto, in quanto formazione stabile e duratura, e, ancora, in ragione della solidarietà economica che si realizza tra i componenti di quest’ultima”.

L’ordinanza in esame evidenzia che le ragioni di un ripensamento del sopra indicato orientamento derivano da un completo scrutinio del canone dell’auto-responsabilità che, nel disciplinare gli aspetti economico-patrimoniali che conseguono al divorzio, opera non solo per il futuro, “chiamando gli ex coniugi che costituiscano con altri una stabile convivenza a scelte consapevoli di vita e a conseguenti assunzioni di responsabilità”, ma opera anche “per il tempo passato e come tale sul fronte dei presupposti del maturato assegno divorzile là dove di questi, nel riconosciuto loro composito carattere da SU n. 18287 del 2018, si individua la funzione compensativa”. 
Deve, cioè, essere colta “l’esigenza, piena, di dare dell’assegno divorzile una lettura che, emancipandosi da una prospettiva diretta a valorizzare del primo la natura assistenziale […], resta invece finalizzata a riconoscere all’ex coniuge, economicamente più debole, un livello reddituale adeguato al contributo fornito all’interno della disciolta comunione, nella formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’altro coniuge”.
La Suprema Corte, inoltre, afferma che “dopo una vita matrimoniale che si sia protratta per un apprezzabile arco temporale, l’ex coniuge economicamente più debole, che abbia contribuito al tenore di vita della famiglia con personali sacrifici anche rispetto alla proprie aspettative professionali ed abbia in tal modo concorso occupandosi dei figli e della casa pure all’affermazione lavorativa-professionale dell’altro coniuge, acquista il diritto all’assegno divorzile” e , pertanto, il beneficiario gode dell’assegno divorzile “non solo perché soggetto economicamente più debole, ma anche per quanto da egli fatto e sacrificato nell’interesse della famiglia e dell’altro coniuge”.
E, ancora, viene sottolineato che il principio di auto-responsabilità “non può escludere, e per intero, il diritto all’assegno divorzile là dove il beneficiario abbia instaurato una stabile convivenza di fatto con un terzo”, in quanto “il principio merita una differente declinazione più vicina alle ragioni della concreta fattispecie ed in cui si combinano la creazione di nuovi modelli di vita con la conservazione di pregresse posizioni, in quanto, entrambi, esito di consapevoli ed autonome scelte della persona”. Pertanto, “ben può ritenersi che permanga il diritto dell’assegno di divorzio nella sua natura compensativa, restando al giudice di merito al più, da accertare l’esistenza di ragioni per un’eventuale modulazione del primo là dove la scelta di convivenza si riveli migliorativa delle condizioni economiche-patrimoniali del beneficiario e tanto rispetto alla funzione retributiva dell’assegno segnata, come tale, dall’osservanza di una misura di autosufficienza”.
L’ordinanza conclude affermando che “la questione per cui si sollecita l’intervento delle Sezioni Unite è allora quella di stabilire se, instaurata la convivenza di fatto, definita all’esito di un accertamento pieno su stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto dell’ex coniuge, sperequato nella posizione economica, all’assegno divorzile si estingua comunque per un meccanismo ispirato all’automatismo, nella parte in cui prescinde di vagliare le finalità proprie dell’assegno, o se siano invece praticabili altre scelte interpretative che, guidate dalla obiettiva valorizzazione del contributo dato dall’avente diritto al patrimonio della famiglia e dell’altro coniuge, sostengano dell’assegno divorzile, negli effetti compensativi suoi propri, la perdurante affermazione, anche, se del caso, per una modulazione da individuarsi, nel diverso contesto sociale di riferimento”.

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