L’abitualità del reato di maltrattamenti in famiglia: quante condotte sono necessarie?

di Avv. Anna Silvia Zanini

Con la sentenza n. 8333 depositata il 10.03.2022, la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in materia di maltrattamenti contro familiari e conviventi ai sensi dell'art. 572 c.p., fornendo un criterio di rilevazione dell’abitualità della condotta.

La categoria del reato abituale è di origine dottrinale e si basa su caratteristiche che accomunano varie fattispecie di parte speciale del codice penale, non rinvenendosi alcuna disciplina normativa sul punto.

Nel reato abituale il fatto tipico consiste in una serie di condotte omogenee reiterate nel tempo. È proprio la ripetizione a qualificarne il disvalore e l’offensività, in quanto isolati ed occasionali atti lesivi non sono ritenuti sufficienti a compromettere il bene giuridico protetto.

L’abitualità del reato implica la necessaria protrazione di plurime azioni identiche ed omogenee per un periodo di tempo apprezzabile.

Ai fini della configurabilità del reato abituale di maltrattamenti, dunque, è richiesto il sistematico, cosciente e volontario compimento di atti di violenza fisica e morale in danno della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali per quest'ultima, nei cui confronti viene posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica, tale da generare un regime di vita vessatorio, mortificante ed umiliante.

Nel caso in esame, la parte civile aveva proposto ricorso avverso la sentenza di assoluzione emessa in secondo grado di giudizio nei confronti dell’imputato accusato di maltrattamenti nei confronti della moglie separata e dei figli minori nei giorni in cui gli era consentito tenerli.

Il punto oggetto di doglianza era che la Corte territoriale non avrebbe ritenuto sufficiente, ai fini dell’integrazione del requisito essenziale dell’abitualità della condotta, i due giorni a settimana nei quali l’uomo poteva frequentare i propri figli e durante i quali si ritenevano commesse le condotte, definendo, invece, queste ultime, come episodi isolati e sporadici.

Con la sentenza in commento la Cassazione ha, in prima battuta, rilevato la sussistenza dell’elemento della convivenza, presupposto dei maltrattamenti, anche nel caso di genitori separati con filiazione non occasionale ma “frutto di una relazione sentimentale non più attuale dalla quale è sorta l’aspettativa di un vincolo di solidarietà differente dai doveri legati alla condivisa genitorialità”.

Solo in caso di disgregazione effettiva dell’originario nucleo familiare e di cessazione del rapporto di reciproca assistenza morale ed affettiva si può escludere la configurabilità del reato.

La Suprema Corte ha, invece, ritenuto insussistente il requisito dell’abitualità, ugualmente necessario per l’integrazione del reato in esame, evidenziando che nei precedenti gradi di giudizio erano state provate unicamente tre condotte tra quelle contestate all’uomo.

Diversamente da quanto dedotto dalla ricorrente – ha affermato la Cassazione – la Corte d’Appello ha applicato correttamente la norma incriminatrice in riferimento ai fatti accertati, poiché “a seguito dell'individuazione delle condotte contestate, di cui solo tre ritenute provate sulla base delle dichiarazioni di entrambi i minori, ha rilevato come si trattasse di singoli episodi non reiterati, bensì isolati, dunque non idonei a configurare il reato di maltrattamenti”.


 


 


 

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