Il nuovo indirizzo interpretativo non giustifica la richiesta di modifica dell’assegno divorzile

24 DICEMBRE 2022 | Separazione e divorzio

di avv. Luana Momesso

IL CASO La Corte d'appello di Roma, accogliendo parzialmente il reclamo presentato dal marito, divorziato con una figlia maggiorenne non autosufficiente, aveva modificato la decisione del giudice di primo grado che aveva stabilito la misura dell’assegno divorzile in € 1.000,00, riducendolo ad € 800,00 e rigettando invece la domanda dello stesso in merito alla richiesta di un contributo, da parte della ex moglie, al mantenimento della figlia, non più convivente con nessuno dei genitori.

L’ex marito, con ricorso per Cassazione affidato a tre motivi, si rivolgeva alla Suprema Corte chiedendo l’accoglimento delle sue domande.

LA DECISIONE: La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ritorna sulla determinazione dell’assegno divorzile confermando il consolidato orientamento risalente alla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 18257/2018.

Nel caso in esame gli Ermellini rigettano integralmente le domande formulate dal ricorrente, confermando quindi la decisione della Corte territoriale, e precisando che il mutamento di natura e funzione dell’assegno divorzile non costituisce un giustificato motivo per richiedere la modifica delle condizioni di divorzio.

L’ex marito, infatti, con il primo motivo di doglianza, chiedeva che l’importo dell’assegno fosse rideterminato alla luce del nuovo orientamento in merito alla natura, assistenziale, compensativa e perequativa dell’assegno divorzile, espresso dalla citata sentenza del 2018.

Secondo l’interpretazione del ricorrente il giudice d’appello avrebbe dovuto decidere sulla debenza dell’assegno divorzile comparando la situazione patrimoniale complessiva dei due ex coniugi (la moglie, nel frattempo, aveva ereditato una somma di denaro e una quota di un immobile), tenendo conto del contributo fornito dalla moglie alla realizzazione del patrimonio comune e alla conduzione della vita familiare (la madre aveva sempre avuto un rapporto molto conflittuale con le figlie).

Con il secondo motivo il ricorrente lamentava che la Corte d’Appello non avesse considerato adeguatamente le reali condizioni economiche della resistente.

Con il terzo motivo, riferito all’assegno di mantenimento della figlia maggiorenne non convivente con nessuno dei genitori, il padre riteneva che la Corte dovesse valutare che era egli stesso a provvedere materialmente ed economicamente alla figlia e quindi non fosse dovuto alcun contributo alla madre.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale sulla funzione composita (assistenziale, perequativa e compensativa) dell’assegno divorzile, la Suprema Corte indica che occorre verificare, in primis, se il divorzio abbia prodotto uno squilibrio effettivo e di rilevante entità tra i redditi dei due ex coniugi; solo ove ciò sia confermato, bisogna verificare se esso dipenda dalle scelte comuni fatte nella conduzione della vita familiare, dalla definizione dei ruoli dei suoi componenti, dal sacrificio lavorativo e professionale fatto da uno dei due.

Alla luce del nuovo orientamento delle Sezioni Unite, quindi, “il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto ed è necessario, a monte, che esso sia accertato del giudice perché possa procedersi alla revisione dell’assegno divorzile, da rendersi alla luce dei rinnovati principi giurisprudenziali. Pur considerando l’ampiezza della formula adottata dal legislatore, consentire l’accesso al rimedio della revisione dando alla formula dei “giustificati motivi” un significato che si riferisca alla sopravvenienza di tutti quei motivi che possano far sorgere l’interesse ad agire per il mutamento, tra i quali anche una diversa interpretazione avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, non appare opzione esegetica percorribile, in quanto non considera che l’interpretazione giurisprudenziale costituisce una chiave di lettura dei dati di fatto rilevanti per il diritto”.

E’ quindi corretta la decisione dei giudici del gravame che hanno preso in considerazione solamente elementi di fatto circa le condizioni economiche degli ex coniugi: hanno verificato che la situazione reddituale del marito non era sostanzialmente mutata, mentre quella della moglie era migliorata, riducendo l’assegno ad 800 € mensili.

In merito al secondo motivo, la Suprema Corte dichiara la sua inammissibilità in quanto relativa ad un riesame delle valutazioni sulle prove fatto dalla Corte d’Appello, esame non consentito in sede di ricorso per Cassazione.

Infine, l’ultimo motivo è infondato in quanto non sussiste legittimazione attiva ad agire, da parte del genitore per l’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, non più convivente, spettando, in questo caso, solo al figlio il diritto di chiedere un riconoscimento economico al genitore.

Il ricorso è stato quindi integralmente rigettato.

 

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