Il danno per violazione del dovere di fedeltà va liquidato in via equitativa

Il Tribunale di Treviso nel 2019 ha definito un procedimento di separazione personale coniugi pronunciando l’addebito a carico del marito per violazione del dovere di fedeltà ritenendo, però, inammissibile la domanda risarcitoria formulata in quella sede dalla moglie.

Quest’ultima, una volta divenuta irrevocabile la sentenza di separazione, ha adito nuovamente il Tribunale chiedendo il risarcimento del danno non patrimoniale subito a causa della violazione degli obblighi matrimoniali da parte del marito. Per la liquidazione del danno la ricorrente ha chiesto di far riferimento alle tabelle milanesi in tema di danno da perdita del vincolo parentale o in tema di diffamazione cui riteneva di poter equiparare il proprio caso sulla base di parametro analogico.

Il Tribunale ha anzitutto ricordato che per la Cassazione “La natura giuridica del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio implica che la sua violazione non sia sanzionata unicamente con le misure tipiche del diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, ma possa dar luogo anche al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c. senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a ciò preclusiva, sempre che la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale in ipotesi quello alla salute o all'onore o alla dignità personale (Cassazione civ., ord.19 novembre 2020, n. 26383)”.

Ed ha ritenuto sussistenti tali presupposti nel caso di specie, perché si è trattato di un tradimento reiterato anche dopo che il convenuto aveva illuso la moglie rassicurandola che avrebbe interrotto la relazione extraconiugale, avvenuto dopo 4 anni di matrimonio e dopo una lunghissima frequentazione, quando la coppia “aveva elaborato una solida progettualità di coppia” confermata sia dall’aver costituito insieme una scuola di danza, sia dal fatto che l’attrice da circa un anno aveva intrapreso un percorso per avere un figlio.

Per il Tribunale è stata data prova che il tradimento, per le modalità in cui si è esternato, ha certamente provocato umiliazione e mortificazione nella moglie: la relazione extraconiugale, infatti, è maturata nell’ambiente lavorativo comune della coppia e proprio con un’allieva della scuola di ballo verso la quale il convenuto “prestava particolari attenzioni percepite dagli altri allievi come atteggiamenti diversi dal comune rapporto tra insegnante e discendente”. Un teste ha anche dichiarato di aver visto, in occasione di una gara all’estero, il convenuto con l’amante “sotto le coperte nel letto” pur non sapendo dire se indossassero dei vestiti o no.

Le voci che circolavano su tale relazione extraconiugale, peraltro, non riguardavano solo gli allievi e le persone che frequentavano la scuola di ballo, ma anche gli insegnanti di altre scuole che hanno interrotto i rapporti con l’associazione dell’attrice e del marito.

Per il Tribunale tali condotte hanno “superato la normale tollerabilità, generando un certo strepitus, curiosità e maldicenza di terzi, hanno ferito l’onere, il decoro, la stima professionale, la riservatezza e la privacy dell’attrice la quale all’epoca ha vissuto momenti di depressione, tristezza, umiliazione con conseguente innegabile pregiudizio morale”.

Un teste ha confermato che la situazione di tristezza e depressione vissuta dall’attrice in quel periodo era causato dal tradimento e dai conseguenti disagi sul lavoro.

Sul quantum del risarcimento per il Tribunale non è possibile far riferimento al parametro della lesione da vincolo parentale: un tradimento è un illecito endofamiliare che “non può certamente essere equiparato al dolore ed alla sofferenza derivante dalla perdita di una persona a cui il danneggiato sia legato da forte vincolo parentale”.

Non è nemmeno possibile applicare per analogia i parametri elaborati dall’Osservatorio sulla Giustizia civile del Tribunale di Milano per il risarcimento dei danni conseguenti al reato di diffamazione, poiché i presupposti costitutivi di tale illecito e, in particolare, la diffusione e mezzo stampa o con altri mezzi di comunicazione non ricorrono nel caso di specie.

Il danno subito dall’attrice è stato, quindi, quantificato secondo equità ex art. 1226 c.c. considerando che il discredito dalla stessa subita è stato limitato al settore lavorativo; la lesione dei diritti soggettivi costituzionalmente rilevanti non le ha impedito di instaurare un nuovo legame sentimentale e addirittura di costituire una nuova scuola di ballo col suo compagno. Dalle prove orali assunte è, inoltre, emerso che il patimento e la tristezza sono durati per circa due mesi.

Considerato quanto sopra il danno è stato liquidato in Euro 10.000,00 con la precisazione che “su tale importo deflazionato al momento della commissione dell’illecito, rivalutato anno per anno secondo gli indici Istat, sono dovuti gli interessi al tasso annuo del 3% da ottobre 2011 alla data della presente sentenza” e che “dalla data della presente sentenza al saldo effettivo sono dovuti ex art. 1282 c.c. gli interessi al tasso legale”.

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