Cassazione civile sez. un. - 08/11/2022, n. 32914: se la sentenza di separazione o divorzio non riconosce al coniuge il diritto all’assegno stabilito in via provvisoria o ne riduce l’ammontare, quali somme devono essere restituite?

27 GENNAIO 2023 | Separazione e divorzio

di avv. Massimo Osler

Le questioni di particolare importanza che, con ordinanza interlocutoria n. 36509/2021, la prima sezione civile della Corte di cassazione ha ritenuto necessario rimettere al Primo Presidente - che ne ha poi effettivamente disposto l’assegnazione alle Sezioni Unite - riguardavano, in sintesi, la soluzione dei seguenti quesiti:

  • se i crediti afferenti agli assegni che traggono origine dalla crisi del rapporto di coniugio posseggano tutti indistintamente il carattere della irripetibilità propria dei crediti alimentari o se il carattere della irripetibilità possa farsi dipendere dall’entità delle somme erogate a tal titolo
  • se il regime giuridico che sarà individuato in base all'accertamento richiesto sia estensibile anche all'assegno in favore dei figli maggiorenni non autosufficienti di cui venga accertato l'indebito.

Il problema della ripetibilità o meno delle somme percepite a titolo di assegno di mantenimento (o divorzile), che - ex post - risultino essere state corrisposte in eccesso, a seguito di una successiva decisione che ne  revochi l’obbligo di pagamento o lo riduca, è stato oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali, che hanno dato vita sostanzialmente a due orientamenti.

Il primo ha affermato l’irripetibilità degli importi corrisposti in eccesso, ancorandosi, da un lato, all’art. 189 disp. att. C.p.c., che prevede la conservazione dell’efficacia dei provvedimenti provvisori oltre l’estinzione della causa fino a diverso provvedimento che li sostituisca, e, dall’altro, sottolineando la natura alimentare dell’assegno di mantenimento, che esclude la ripetibilità delle somme erogate in eccesso.

Il secondo orientamento non pone un principio generale di irripetibilità, ma chiede di distinguere a seconda dell’entità dell’importo corrisposto: se l’importo del mantenimento corrisposto in eccesso è di “modesta entità” non può essere richiesto in restituzione (Cass. civ. Sez. I, 23 maggio 2014, n. 11489, Cass. civ. Sez. I, 30 agosto 2019, n. 21926), in quanto se le somme sono obiettivamente esigue si presumono consumate per il sostentamento del beneficiario, non avendo costui avuto la possibilità di accantonarne una parte per l'eventuale restituzione.

Al termine di una complessa e articolata motivazione che ha ripercorso sia la normativa che i numerosi precedenti giurisprudenziali che si sono pronunciati in ordine alla natura dei provvedimenti presidenziali, alla decorrenza degli effetti della sentenza definitiva e, non da ultimo, in ordine alla questione relativa alla natura alimentare dell’assegno, la sentenza in commento ha enunciato il seguente principio di diritto:

«In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere:

a) opera la «condictio indebiti» ovvero la regola generale civile della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione «del richiedente o avente diritto», ove si accerti l’insussistenza «ab origine» dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile;

b) non opera la «condictio indebiti» e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, «delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)», sia se viene effettuata (sotto il profilo del quantum) una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purché sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica;

c) al di fuori delle ipotesi sub b), in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilità».

Di conseguenza, in applicazione del richiamato principio di diritto, tutte le somme percepite in forza di un provvedimento provvisorio o di una sentenza di primo grado, poi riformata, dovranno essere restituite se il provvedimento definitivo accerta che, fin dalla domanda originaria, non vi erano i presupposti per il riconoscimento dell’assegno di mantenimento.

Si pensi all’ipotesi in cui, in via presidenziale ed urgente, venga riconosciuto un assegno di mantenimento a favore di un coniuge, al quale venga poi addebitata la separazione con la sentenza definitiva. Poiché l’addebito esclude ab origine il diritto all’assegno di mantenimento, il coniuge, beneficiario in via provvisoria ed urgente, del contributo dovrà restituire interamente le somme percepite, in base ai provvedimenti provvisori.

A tale conclusione la Cassazione perviene, osservando che l’ordinamento non prevede “una disposizione che sul piano sostanziale, sancisca l’irripetibilità dell’assegno, propriamente alimentare, provvisoriamente disposto a favore dell’alimentando”, e neanche in ordine ai contributi economici disposti con i provvedimenti presidenziali, in quanto “non si tratterebbe di sancire l’obbligo di restituzione di quanto percepito a titolo strettamente alimentare, ma di restituire somme di denaro sulla base di un supposto ed inesistente diritto al mantenimento”, essendo stato tra l’altro preliminarmente precisato dalla medesima sentenza che i provvedimenti provvisori presidenziali hanno mera natura cautelare e carattere provvisorio e strumentale rispetto alla sentenza di merito.

Analogamente, "non può negarsi l'efficacia caducatoria e ripristinatoria dello status quo ante e dunque sostitutiva della sentenza impugnata propria della sentenza emessa in esito al successivo grado di giudizio, sulla base del semplice riferimento alla disciplina dettata per gli alimenti in senso proprio". Dunque, se la sentenza di primo grado, a differenza dei provvedimenti provvisori, non riconosce il diritto del coniuge all’assegno di mantenimento o se la sentenza di primo grado, che riconosceva l’assegno, viene riformata in appello, le somme ricevute dal beneficiario vanno tutte restituite, in quanto non è mai esistito il suo diritto al mantenimento.

Nel caso in cui, al contrario, la sentenza definitiva non abbia escluso il diritto all’assegno, ma lo abbia solo rimodulato, riconoscendo un importo inferiore, è necessario fare una distinzione: a) se la riduzione è di modesta entità e la fattispecie attiene ad un contesto di accertata debolezza economica del coniuge richiedente, la ripetibilità è esclusa; b) al di fuori di tale ipotesi, quanto ricevuto in eccesso rispetto alla decisione definitiva dovrà essere restituito, in applicazione della regola generale della ripetibilità.

Dunque, la prestazione è da ritenersi irripetibile, laddove sia intervenuta una rivalutazione o rimodulazione al ribasso - purché sempre in relazione a somme di modesta entità - alla luce del principio di solidarietà post-familiare, in quanto presuntivamente consumate per le esigenze del soggetto economicamente più debole.

Quanto alla determinazione della “modesta entità” della somma la Corte non la quantifica né la determina "in maniera rigida", ma richiede "una valutazione personalizzata" da parte del giudice di merito, il quale dovrà considerare in concreto: "la situazione personale e sociale del coniuge debole, le ragionevoli aspettative di tenore di vita ingenerate dal rapporto matrimoniale ovvero di non autosufficienza economica".

A questo si aggiungano due precisazioni.

Nel caso in cui la rimodulazione dell’assegno sia conseguenza, anche nelle more del procedimento, di fatti nuovi sopravvenuti, è evidente che dovrà essere la sentenza definitiva a statuire la decorrenza della nuova previsione. È il caso, ad esempio, del coniuge beneficiario che, in periodo successivo all’adozione dei provvedimenti provvisori ed urgenti, migliori la propria condizione economica, reperendo un’occupazione. Analogamente, nel caso in cui l’assegno di mantenimento o divorzile venga per la prima volta riconosciuto con la sentenza definitiva, sulla base di presupposti ritenuti sussistenti fin dal tempo dell’introduzione del procedimento, è pacifico che la decorrenza è da considerarsi dal momento della domanda.

In conclusione, la sentenza riconosce di dover dare il "giusto rilievo" alle esigenze "equitative-solidaristiche" che caratterizzano la "peculiare comunità sociale rappresentata dalla famiglia ed anche nelle situazioni di crisi della unione", attribuendo al Giudice il compito discrezionale di contemperare, in considerazione della fattispecie concreta, la generale operatività della regola civilistica della ripetizione di indebito (articolo 2033 c.c.),  al fine di realizzare un "necessario bilanciamento" a tutela del soggetto che sia stato riconosciuto "parte debole nel rapporto".

Ma nel caso in cui la sentenza escluda in radice e non per fatti sopravvenuti il presupposto del diritto al mantenimento, perché manca lo “stato di bisogno” del soggetto richiedente o sia stata addebitata la separazione proprio al coniuge che, nelle more, abbia goduto di un assegno con funzione non meramente alimentare, non vi sono ragioni per escludere l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite, ex art. 2033 c.c.

Quanto alle ulteriori questioni, pure poste dall’ordinanza interlocutoria, attinenti sia all’assegno di mantenimento dei figli sia all’applicabilità agli assegni di mantenimento o di divorzio delle disposizioni specifiche dettate dalla disciplina sugli alimenti, in punto di incedibilità e impignorabilità delle somme, le medesime non sono state esaminate, in quanto la Corte ha espressamente rilevato che non formavano oggetto del giudizio di legittimità pendente.

Ad ogni modo, per concludere anche con un cenno relativo al regime della ripetibilità dell’assegno di mantenimento in favore dei figli maggiorenni, a fronte dell’intervenuta loro conquista dell’indipendenza economica, la sentenza in commento, nell’excursus motivazionale di cui si è accennato, richiama il seguente precedente giurisprudenziale: «in caso di modifica giudiziale delle condizioni economiche del regime post-coniugale, intervenuta in ragione della raggiunta indipendenza economica dei figli, il genitore obbligato può esercitare l'azione di ripetizione ex art. 2033 c.c. anche con riferimento alle somme corrisposte in epoca antecedente alla domanda di revisione, allorché la causa giustificativa del pagamento sia già venuta meno, atteso che la detta azione ha portata generale e si applica a tutte le ipotesi di inesistenza, originaria o sopravvenuta, del titolo di pagamento, qualunque ne sia la causa», precisandosi che, benché l’ex marito debitore si fosse attivato tardi per la modifica giudiziale delle condizioni di divorzio, il suo obbligo doveva ritenersi già cessato allorquando le figlie, contraendo matrimonio, raggiunsero l’indipendenza economica, in quanto «l’irripetibilità delle somme versate dal genitore obbligato all’ex coniuge si giustifica solo ove gli importi riscossi abbiano assunto una concreta funzione alimentare, che non ricorre ove ne abbiano beneficiato figli maggiorenni ormai indipendenti economicamente in un periodo in cui era noto il rischio restitutorio» (Cass., sez. I, n. 3659/2020).

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