Assegno divorzile: vademecum della Corte di Cassazione.

04 DICEMBRE 2023 | Separazione e divorzio

di Avv. Valentina Alberioli

IL CASO. La Corte d’Appello di Perugia confermava la statuizione di primo grado che aveva negato a Tizia l’assegno divorzile, ritenendo che non ne sussistessero i presupposti.

Tizia proponeva, pertanto, ricorso per cassazione, deducendo, con un unico motivo, la violazione e falsa applicazione della legge n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui il giudice di merito aveva respinto la sua domanda di assegno divorzile.

Lamentava, anzitutto, che la sentenza impugnata, reputando irrilevante la situazione di palese disparità reddituale tra gli ex coniugi, aveva finito per giustificare (erroneamente) con la di lei autosufficienza economica il rigetto della domanda di attribuzione dell’assegno, mentre invece, tenendo conto della funzione perequativo-compensativa dello stesso, avrebbe dovuto effettuare una valutazione in concreto in ordine all’adeguatezza del reddito della ricorrente, rapportandolo al contributo dato alla vita familiare.

In particolare, la ricorrente deduceva che il giudice di merito aveva erroneamente dato rilievo alla ritenuta mancanza di prova del fatto che l’incremento del patrimonio immobiliare del coniuge, avveratosi in costanza di matrimonio, avesse “esclusiva giustificazione” nella di lei attività familiare, non richiedendo la norma tale esclusività ed essendo, invece, per la stessa necessario e sufficiente l’aver prestato un contributo personale e duraturo alle esigenze della famiglia.

Tizia, inoltre, censurava la decisione nella parte in cui aveva negato l’assegno a causa della ritenuta assenza di prova del fatto che l’abbandono, da parte sua, dell’incarico di amministratore dell’azienda di famiglia, dopo la nascita del secondo figlio, avesse avuto origine in una “scelta forzata” in ragione dell’esigenza di provvedere alle incombenze familiari, e non che fosse stato originato da contrasti interni alla medesima azienda familiare.

Le ragioni di tale scelta, secondo la ricorrente, non dovevano essere accertate, perché irrilevanti, essendo, invece, decisivo il fatto che ella avesse dedicato il proprio tempo alle incombenze familiari, a seguito della remissione di incarichi professionali esterni.

Tizia aveva, infine, criticato la stessa decisione nella parte in cui il giudice di merito, accertato il di lei contributo alla vita familiare, a seguito della rinuncia all’incarico di amministratore dell’azienda di famiglia, aveva rigettato la domanda di attribuzione dell'assegno, in assenza della dimostrazione che il menzionato contributo avesse assunto la connotazione di “dedizione esclusiva”, evidenziando come l’assegno debba essere corrisposto ogni volta in cui risulti l’assunzione di un impegno familiare con sacrificio di quello lavorativo.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27945 del 2023, ha ritenuto fondato il motivo.

Il Giudice di legittimità ha richiamato la più recente giurisprudenza (Cassazione, SS.UU., n. 18287 /2018) in base alla quale “il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno”.

In particolare,

il giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell'avente diritto”.

In altre parole, il giudice è chiamato ad accertare la necessità di compensare il coniuge economicamente più debole per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte durante il matrimonio, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali-reddituali, la cui prova in giudizio spetta al richiedente (cfr., ex plurimis, Cassazione n. 9144/2023, Cassazione n. 23583/2022, Cassazione n. 38362/2021).

Con particolare riferimento all’onere della prova, la Corte di Cassazione ha richiamato la recente pronuncia a Sezioni Unite n. 32198/2021, che ha affermato che il richiedente l’assegno divorzile deve fornire la prova “del contributo offerto alla comunione familiare” (in termini di “tempo” ed “energie”), “dell’eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio” e “dell'apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge”.

Va, pertanto, dimostrato come la parte economicamente più debole abbia sacrificato occasioni lavorative o di crescita professionale per dedicarsi alla famiglia, “senza che sia necessario indagare sulle motivazioni strettamente individuali ed eventualmente intime [ad esempio, “la parte può aver preferito dedicarsi esclusivamente o prevalentemente alla famiglia per amore dei figli o del coniuge, ma anche per sfuggire ad un ambiente di lavoro ostile o per infinite altre ragioni”] che hanno portato a compiere tale scelta, che, comunque, è stata accettata e, quindi, condivisa dal coniuge”.

Né può ritenersi che, per valutare l’an dell’assegno divorzile, il contributo del coniuge debba comportare il sacrificio “totale” (id est l’abbandono) di ogni attività lavorativa per dedicarsi “in via esclusiva” alla famiglia, essendo, invece, “necessario e sufficiente che il coniuge abbia sacrificato l’attività lavorativa o occasioni di carriera professionale per dedicarsi di più alla famiglia” (ad es., optando per un part time o per un lavoro meno remunerativo, che però lascia più tempo per seguire nel quotidiano il coniuge, i figli e la casa, o, ad es., rinunciando, per gli stessi motivi, a promozioni, a nuovi incarichi o ad avanzamenti di carriera).

La Corte di Cassazione ha ritenuto che la sentenza impugnata non fosse conforme a tali principi.

Anzitutto, la Corte d’Appello, ritenendo che mancasse la prova che “il contributo della moglie alla vita comune avesse comportato serie rinunce ad attività professionali, dipendenti esclusivamente dalla scelta di dedicare maggior tempo ai figli e a lasciare più libero il marito nell'esplicazione della professione medica e di quella parallela di politico” e che “la scelta della ricorrente di lasciare l’incarico di amministratore dell’azienda di famiglia fosse una scelta forzata dalla necessità di provvedere ai bisogni della famiglia, e non fosse determinata da altre ragioni”, ha erroneamente dato rilievo, da un lato, al motivo sotteso alla scelta di Tizia, accettata da Caio, di dedicarsi maggiormente alla famiglia e, dall’altro, al fatto che tale scelta non avesse comportato una dedizione “totale ed esclusiva” al coniuge e ai figli.

Inoltre, il Giudice di secondo grado, ritenendo che difettasse la prova che “l’incremento del patrimonio immobiliare del controricorrente trovasse esclusiva giustificazione nell’apporto pressoché esclusivo della moglie alla famiglia, dato che quest’ultima ha sempre potuto svolgere attività lavorativa”, ha statuito in difformità dal principio in base al quale, ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile, ciò che conta, come si è detto, è il sacrificio lavorativo o professionale per dedicarsi alla famiglia, senza che sia necessario che tale sacrificio si sostanzi in un abbandono “totale” del lavoro al di fuori della famiglia, né che il patrimonio familiare e quello dell'altro coniuge siano incrementati "esclusivamente" grazie al contributo del coniuge che ha operato tale sacrificio, essendo sufficiente un contributo di quest’ultimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, a scapito delle sue occupazioni lavorative o di avanzamenti di carriera.

La Corte di Cassazione ha, pertanto, accolto il motivo di ricorso, rinviando alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione, per la decisione in conformità ai principi suesposti.

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