Il cognome dei figli: i dubbi del legislatore e l’intervento della Corte Costituzionale

05 MAGGIO 2022 | Nome e cognome

di avv. Barbara Bottecchia

Il diritto al nome (composto dal prenome e dal cognome) trova tutela nell’art. 22 della Costituzione, che sancisce il principio per cui nessuno ne può essere privato per motivi politici.  Quale elemento essenziale dell’identità personale riceve, altresì, protezione costituzionale all’art. 2 e agli artt. 6,7,8 e 9 del codice civile.

Il nostro ordinamento prevede che il prenome sia scelto da entrambi i genitori (se non vi è accordo, ai sensi del secondo comma dell’art. 316 c.c., la scelta viene demandata al Giudice), mentre il cognome trova una disciplina differente per i figli nati nel matrimonio e per quelli nati fuori dal matrimonio:

  1. Per i primi l’ordinamento prevede un automatismo: al figlio è attribuito il cognome del padre. Pur non esistendo una disposizione espressa, la Cassazione ha avuto modo di affermare che è la consuetudine a disciplinare l’assegnazione del cognome del figlio nato in costanza di matrimonio e che tale consuetudine ha carattere vincolante;
  2. Per i secondi invece la norma c’è: l’art. 262 c.c. dispone che il figlio nato fuori dal matrimonio assuma il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto; se è riconosciuto da entrambi assuma quello del padre.

In materia di attribuzione del cognome, nel corso degli ultimi quarant’anni, la giurisprudenza ha espresso orientamenti vieppiù volti a modificare la regola, che appariva come intoccabile, dell’attribuzione automatica del cognome paterno.

Alla fine degli anni 80 la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 176 del 1988, affermava, ancora con determinazione, come tale regola corrispondesse all’interesse alla conservazione dell’unità familiare, tutelata dall’art. 29 della Costituzione, e come fosse ancora profondamente radicata nel costume sociale come criterio di tutela della famiglia fondata sul matrimonio.

Successivamente, con la sentenza n. 61 del 2006, questa determinazione comincia ad oscillare, nella consapevolezza del progressivo mutamento della sensibilità sociale: la Consulta, pur dichiarando la questione inammissibile (poiché in ordine alla questione prospettata sarebbe dovuta intervenire con un’operazione manipolativa che non rientrava nei poteri della corte stessa), ha affermato che il sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna.

Un decennio dopo, nel 2016, con la sentenza n. 286 la Consulta torna ad occuparsi dell’argomento, accogliendo la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte d’appello di Genova in relazione agli art. 2,3,29 comma 2 e 117 co.1 Cos. della norma implicita desumibile dagli art. 237,262,299 c.c e degli art. 33 e 34 del dpr 396/2000 nella parte in cui non consente ai coniugi di comune accordo di attribuire al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno, prevedendo così l’automatica attribuzione del solo cognome paterno pur in presenza di una diversa volontà dei coniugi.

Tale pronuncia ha risolto solo parzialmente il problema, poiché ha dichiarato possibile l’attribuzione del cognome materno al figlio solo se in aggiunta a quello del padre, automaticamente imposto, e solo nell’accordo tra i genitori.

Attualmente sia il Tribunale di Bolzano che la Corte d’appello di Potenza hanno sollevato ulteriori questioni di legittimità costituzionale:

  1. il primo ha posto il problema della legittimità costituzionale del primo comma dell’art. 262 c.c. nella parte in cui, in mancanza d’accordo dei genitori sul cognome, impone quello paterno invece di prevedere l’attribuzione di entrambi i cognomi;
  2. la seconda ha sollevato un problema analogo a quello parzialmente risolto dalla Corte nel 2016, ma ponendo l’accento sull’impossibilità di dare il solo cognome materno sull’accordo dei genitori.

Entrambe le questioni sono al vaglio della Corte Costituzionale che sembrerebbe averle accolte, tenuto conto che il 27 aprile 2022 è uscito un comunicato dell’Ufficio stampa della Corte che anticipa la censura di illegittimità delle norme: la Corte ha ritenuto discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il solo cognome del padre.

La Corte afferma, invece, quale regola generale dell’ordinamento l’attribuzione al figlio del cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. Viene rimesso comunque al legislatore il compito di regolare tutti gli aspetti connessi alla decisione così presa.

Va sottolineato che l’ordinamento italiano, nella parte in cui disciplinava la trasmissione del cognome ai figli, ha ricevuto varie denunce di infrazione alla Commissione europea fin dal giugno 2011: l’ordinamento comunitario promuove, infatti, la completa uguaglianza dei genitori in tema di scelta del cognome, in particolare in base alla risoluzione n. 37 del 1978 e alle raccomandazioni del Consiglio d’Europa n. 1272 del 1995 e n. 1362 del 1998.

Varie sono poi le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare la sentenza n. 77 del 2014, che ha ritenuto che costituisca violazione dell’art.14 CEDU, in relazione all’art.8, l’impossibilità sussistente nella legislazione italiana di derogare all’automatica attribuzione al figlio nato nel matrimonio del cognome del padre, e di attribuire il cognome della madre solo in aggiunta e sull’accordo dei coniugi.

Gli ordinamenti degli Stati dell’Unione, per la maggior parte, hanno adempiuto - a partire dalla fine degli anni ottanta - all’impegno assunto: così, al modello precedente, sostanzialmente uniforme nelle varie esperienze se ne sono sostituiti due: l’uno che accomuna nelle linee fondamentali, almeno in parte, Francia, Germania e Olanda ed attribuisce ai figli un solo cognome, denominato familiare, scelto tra quelli dei genitori; l’altro che assegna ai figli entrambi i cognomi e disciplina la scelta dell’unico da tramandare alle successive generazioni.

Il modello francese, introdotto nel 1985, si situava a metà strada tra la scelta congiunta del cognome familiare all’atto del matrimonio (tipico della Germania e dell’Olanda) e quello spagnolo dove vige la regola del doppio cognome: prevedeva, infatti, la facoltà e non l’obbligo di aggiungere al patronimico anche il cognome materno, ma esclusivamente à titre d’usage e senza alterazione alcuna dei meccanismi di acquisizione del nome legale.

Dal 2005, a seguito di un’ulteriore riforma, l’ordinamento francese consente di attribuire al proprio figlio sia il cognome paterno che quello materno, sia i due cognomi nell’ordine scelto dai genitori. In caso di disaccordo il figlio assume il cognome di chi l’ha riconosciuto per primo e in caso di simultaneità il cognome di entrambi senza distinzione tra figli nati dentro o fuori il matrimonio. In caso di nascita all’estero di un figlio di cui almeno uno dei genitori sia francese, la scelta può essere rinviata fino al compimento del terzo anno di età.

Il cognome attribuito al primo figlio si estende automaticamente a tutti i figli della medesima coppia.

Questo il quadro normativo nazionale ed europeo e della giurisprudenza nazionale ed europea che ha reso oramai indispensabile nel nostro ordinamento interno un intervento legislativo che disciplini in modo organico la materia. Tuttavia sarebbe auspicabile anche in ambito europeo l’introduzione di un meccanismo unitario, nel solco dell’auspicata armonizzazione del diritto europeo della famiglia.

Disegno di legge di modifica

La commissione Giustizia del Senato ha avviato nel febbraio scorso l’iter di approvazione di una legge in materia, che mira, in sintesi, a permettere che il cognome del figlio sia frutto di una scelta concordata dai genitori.

I disegni di legge succedutisi negli ultimi anni sono ben 5, molto simili nel contenuto e intendono disciplinare non solo il cognome dei figli, ma anche quello dei coniugi, prevedendo la modifica dall’art. 143 c.c.. Questi disegni di legge sono confluiti in un testo unificato (allegato in calce).

Tale disegno di legge (finalizzato ad eliminare dall'ordinamento ogni discriminazione basata sull'attribuzione del cognome):

  1. riconosce in capo a ciascun coniuge del diritto di conservare il proprio cognome all'atto del matrimonio;
  2. introduce, per i genitori, il principio della libera scelta del cognome da attribuire ai figli, nel senso di poter optare per entrambi i cognomi nell'ordine da essi stessi stabilito, o per il cognome di un solo genitore. In tal modo si superano i rilievi di ordine costituzionale presenti nell'attuale sistema di attribuzione del cognome ai figli, frutto di un'ormai superata cultura familistica, centrata sulla consuetudinaria prevalenza del cognome dell'uomo e, in secondo luogo, si accolgono i rilievi mossi sul punto dalla Corte costituzionale.

L'articolo 1, co. 1, sostituisce l'articolo 143-bis del codice civile, stabilendo che ciascun coniuge conserva il proprio cognome nel matrimonio.

Come conseguenza il comma 2 abroga espressamente la norma del codice civile (articolo 156-bis) che prevede il potere del giudice di vietare alla moglie l’uso del cognome del marito, quando tale uso sia fortemente pregiudizievole. Il comma terzo abroga l’art. 5, commi secondo, terzo e quarto, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, (legge sul divorzio).

L'articolo 2 introduce nel codice civile l'articolo 143-quater, stabilendo che, all'atto della dichiarazione di nascita del figlio presso gli uffici di stato civile, i genitori coniugati possano attribuirgli o il cognome del padre o il cognome della madre, ovvero il cognome di entrambi, nell'ordine concordato. In caso di mancato accordo, al figlio sono attribuiti i cognomi di entrambi i genitori, in ordine alfabetico. Al fine di evitare che, nella stessa famiglia, vi siano figli con cognomi diversi, la disposizione precisa che i figli degli stessi genitori coniugati, nati successivamente e, pertanto, registrati all'anagrafe dopo il primo figlio, porteranno lo stesso cognome di quest'ultimo.

Per evitare una moltiplicazione di cognomi ad ogni nuova generazione, si prevede che il figlio cui sono stati trasmessi entrambi i cognomi dei genitori, ne possa trasmetterne ai propri figli soltanto uno, a sua scelta.

Gli articoli 3 e 4 del disegno di legge estendono, con i dovuti adattamenti, i princìpi del nuovo articolo 143-quater (di cui all'articolo 2) ai figli nati fuori dal matrimonio e ai figli adottivi.

L'articolo 3 riformula l'articolo 262 del codice civile, relativo al cognome del figlio nato fuori del matrimonio, prevedendo una diversa disciplina in ragione del momento in cui avviene il riconoscimento del figlio: se il figlio è riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori, si applica la medesima disciplina di cui al nuovo articolo 143-quater del codice civile per il figlio di genitori coniugati. Se invece il figlio è riconosciuto da un solo genitore, assume il cognome di quest'ultimo. Laddove il riconoscimento da parte dell'altro genitore avvenga successivamente - come nel caso di attestazione giudiziale - il cognome di questo si aggiunge al cognome del primo solo con il consenso del genitore che ha riconosciuto il figlio per primo, nonché del figlio stesso, se di età superiore ai quattordici anni. Estendendo la disciplina dell'articolo 143-quater del codice civile, l'articolo stabilisce, inoltre, che, nel caso di più figli nati fuori dal matrimonio dagli stessi genitori, essi portino lo stesso cognome attribuito al primo figlio.

Sulle possibilità di approvazione della proposta di legge pesa l’incertezza di resistenze trasversali a scardinare completamente l’attuale sistema, pur nel consenso più generalizzato a consentire ai genitori una scelta diversa. Andrebbe forse chiarito il presupposto giuridico, e quindi se la trasmissione del cognome sia un diritto del padre piuttosto che della madre, e non invece un diritto del figlio.

Quanto al cognome del coniuge sorprende una scelta così diversa da quella effettuata dal legislatore in tema di cognome comune delle persone unite civilmente, che riconosce la facoltà di eleggere un cognome comune (comma 10 art. 1 legge n.76 del 2016) proprio per ribadire un principio tradizionale (ritenuto immanente al nostro sistema), e cioè la funzione identificativa del nucleo familiare o della coppia del cognome: anche le unioni civili, a fronte del patto solidaristico assunto, possono avere interesse a manifestare anche all’esterno tale comunione di vita.

Evidente quindi che, se si addivenisse a scelta diversa per il cognome del coniuge, andrà poi coordinata anche la disciplina del cognome degli uniti civilmente, per non perdere la coerenza del sistema codicistico.

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