La fine della convivenza more uxorio e la restituzione delle somme indebite

24 DICEMBRE 2022 | Famiglia di fatto

di dott.ssa Fiorella Guidolin

Lo scorso 10 novembre 2022, la quinta sezione civile del Tribunale ordinario di Milano ha pronunciato la sentenza n. 8892/2022, che ha cercato di definire quali versamenti possano essere considerati indebiti nell’ambito di una convivenza more uxorio successivamente cessata.

Nel caso esaminato, l’attore dopo aver intrattenuto una solida relazione sentimentale ed aver convissuto stabilmente con l’ex compagna per ben 7 anni (dal 2008 al 2015), l’aveva citata in giudizio (unitamente al padre di lei) chiedendone la condanna, in solido, alla restituzione di una somma pari ad Euro 51.083,30 ai sensi dell’art. 2041 c.c.: i convenuti avrebbero tratto un ingiustificato arricchimento dalle somme da lui versate durante la convivenza.

L’attore specificava di aver convissuto per diverso tempo in un appartamento condotto in locazione e di aver poi deciso, insieme alla compagna, di acquistare detto immobile cointestandolo ad entrambi. Tuttavia, al momento della richiesta del mutuo cointestato, la banca si era rifiutata di concederlo anche all’attore che, avviata da poco la propria attività lavorativa, non offriva idonea garanzia di rimborso. Per tale motivo la coppia decideva di procedere comunque all’acquisto dell’immobile, che sarebbe stato intestato solo alla convenuta. A seguito della richiesta dell’istituto di prestare un’ulteriore garanzia, il contratto di mutuo veniva infine stipulato, oltre che dalla compagna, anche dal di lei padre al quale veniva intestato l’1% dell’intera proprietà dell’immobile, mentre il restante 99% rimaneva in capo alla figlia.

Nel gennaio del 2021, a pochi giorni dalla stipula dell’atto di compravendita, l’attore affermava di aver versato a mezzo bonifico bancario una somma pari ad Euro 30.000,00 al padre della compagna, quale parte della provvista necessaria all’acquisto, “con l’ovvia intesa che in caso di futura cessazione della convivenza, l’importo sarebbe stato restituito”. Successivamente aveva versato l’ulteriore somma di Euro 5.000,00 per spese afferenti l’immobile.

Dall’acquisto al 2015, quando la convivenza era cessata, aveva versato mensilmente la quota del 50% della rata di ammortamento del mutuo per un totale di Euro 16.038,00: la provvista derivava infatti da un conto corrente cointestato su cui confluivano i proventi del lavoro di entrambi i conviventi.

Le somme da lui versate per l’acquisto, la contribuzione al pagamento del mutuo, e le ulteriori spese affrontate per l’immobile per l’attore costituivano un ingiustificato arricchimento dei convenuti, ai sensi dell’art. 2041 c.c., cui corrispondeva una deminutio del suo patrimonio personale e il conseguente “diritto ad essere indennizzato ai sensi di legge”, con la somma da lui quantificata in Euro 51.038,00, oltre interessi legali dalla data dei singoli esborsi fino al saldo.

I convenuti si costituivano eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento per violazione del principio di sussidiarietà ex art. 2042 c.c., e contestando nel merito la pretesa avversaria, sia nell’an che nel quantum, anche alla luce della lunga convivenza e dell’apporto pressoché totalizzante alle esigenze del nucleo familiare da parte dell’ex compagna. La convivenza era iniziata nel 2008 proprio nell’appartamento in questione, il contratto di locazione era stato stipulato solo dall’odierna convenuta e l’immobile era stato successivamente acquistato anche grazie ad un versamento pari ad Euro 85.000,00 effettuato dal padre di lei con la contestuale sottoscrizione di un mutuo ipotecario di Euro 130.000,00. La partecipazione al menage famigliare dell’ex compagno era stata sempre discontinua ed incerta per le sue difficoltà economiche.

I versamenti dell’attore costituivano, quindi, un mero contributo alla gestione famigliare non ripetibile poiché obbligazione naturale in virtù della lunga convivenza. In ogni caso, anche loro avrebbero avuto diritto alla restituzione di tutte le somme versate per le esigenze del nucleo in costanza di convivenza della coppia.

Concludevano quindi in via principale per l’inammissibilità della domanda per violazione del principio di sussidiarietà ex art. 2042 c.c., e per il suo rigetto integrale. In via subordinata riconvenzionale chiedevano di compensare quanto eventualmente dovuto con le somme dagli stessi sostenute quantificate in Euro 40.000,00 o nella diversa somma risultante in corso di causa.

Il Tribunale di Milano ha respinto la domanda attorea, rilevando che per giurisprudenza consolidata, incombe su colui che propone l’azione di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. provarne i fatti costitutivi: il pregiudizio proprio e la dipendenza di questo da una non giustificata locupletazione del convenuto (Cass. n. 1061/1963). In particolare, in materia di rapporti tra conviventi more uxorio, l’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro, avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale.

È possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza - il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza (Cass. n. 14732/2018 e n. 11330/2009).

Nel caso in esame era invece pacifico che tra attore e convenuta fosse intercorso un rapporto di convivenza protratto per circa 7 anni, caratterizzato da connotati di stabilità e prospettive di durevolezza, convivenza concretizzata in un’unione di fatto che, quale formazione sociale rilevante ex art. 2 Cost., comporta doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell’altro. Tali doveri si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale e si configurano come adempimento di un’obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. ove siano rispettati i principi di proporzionalità e adeguatezza (Cass. n. 1266/2016).

Era quindi onere dell’attore dimostrare che i versamenti oggetto delle sue domande, effettuati durante la convivenza, si collocassero oltre la soglia di proporzionalità e adeguatezza del doveroso contributo al ménage famigliare. Onere non assolto.

I convenuti invece avevano da un lato contestato la causale dedotta dall’attore proprio eccependo che gli esborsi – in considerazione della lunga convivenza intercorsa tra gli ex conviventi – erano riconducibili a doveri di sussidiarietà rientranti nell’adempimento delle obbligazioni naturali ex art. 2034 c.c. e come tali non ripetibili. Dall’altro documentato che per l’intera convivenza, durata dal 2008 al 2015, l’ex compagna aveva contribuito in maniera “pressoché totalizzante” alle esigenze del nucleo familiare, facendosi interamente carico per i primi tre anni del canone di affitto dell’immobile (successivamente acquistato), nonché dei relativi costi (spese condominiali, bollette, etc.) che aveva continuato ad affrontare anche negli anni di convivenza successivi all’acquisto. L’attore per contro aveva partecipato al ménage famigliare in modo discontinuo, tanto che il padre della sua compagna era intervenuto con significativi contributi alla vita di coppia.

Circostanze rimaste incontestate in giudizio: a fronte della specificità delle contestazioni, l’attore si era limitato ad affermare genericamente che gli esborsi da lui effettuati non rientravano nell’ambito delle obbligazioni naturali che richiedono il rispetto dei “canoni di adeguatezza e proporzionalità”.

Per il tribunale di Milano merita di essere valorizzata anche la circostanza che l’appartamento in oggetto aveva rappresentato l’abitazione familiare dal 2008 al 2015 e che ne aveva usufruito anche l’attore, nonostante il suo contributo alla gestione famigliare fosse stato quasi nullo, soprattutto nei primi tre anni di convivenza. Cessata la convivenza, l’obbligo di restituzione della restante somma mutuata continuava a gravare solo sui convenuti. Infondate quindi tutte le domande attoree.

Allegati

Ok
Questo website usa solamente cookies tecnici per il suo funzionamento. Maggiori dettagli