Acquisto di un immobile da parte del marito, procuratore generale della moglie, con provvista propria ed intestazione del bene anche al coniuge: donazione indiretta?

02 LUGLIO 2021 | Donazioni | Donazioni indirette

di Alessandra Buzzavo, avvocato in Treviso

La Corte d’appello di Venezia, con la sentenza emessa l’1.12.2020, affronta in modo articolato ed esteso il tema delle donazioni dirette e di quelle indirette, sotto i profili della causa del negozio e della forma da osservare.

IL CASO. Il notaio Tizio conveniva in giudizio la moglie avvocato Caia, esponendo che i coniugi, in regime di separazione dei beni, avevano acquistato un immobile, con atto di compravendita 22.3.2011.

All’atto di compravendita era intervenuto personalmente l’attore, sia in proprio, sia quale procuratore generale della moglie, giusta procura in data 21.7.2009.

Il prezzo di acquisto dell’immobile ammontava ad Euro 490.000,00 ed era stato pagato come segue: quanto ad Euro 165.800,00 a mezzo assegni tratti dal conto corrente intestato allo studio notarile di Caio; la restante somma di Euro 373.200,00 mediante bonifico e assegni emessi utilizzando fondi esistenti su un conto corrente aperto il 9.3.2011 da entrambi i coniugi, e provenienti da un mutuo di Euro 315.120,00, contratto da entrambi, oltre ad un versamento effettuato dal solo attore, con assegno tratto da proprio conto corrente personale.

L’attore specificava altresì che, dopo l’erogazione del mutuo, tutte le rate erano state pagate mediante bonifici tratti dal proprio conto corrente personale. Tizio deduceva poi di aver pagato ulteriori somme per spese notarili e spese condominiali relative all’immobile.

Secondo l’attore, quindi, la moglie Caia risultava proprietaria del 50% di immobile, pur non avendo versato alcuna somma, neppure per il pagamento delle rate del mutuo. Aggiungeva che il 21.9.12 la moglie aveva abbandonato la casa coniugale e si era trasferita a casa della madre, revocando – in pari data - la procura generale a lui conferita.

L’attore chiedeva pertanto, in via principale, l’accertamento della sua qualità di procuratore ad negotia, per conto e nell’interesse della moglie, e dell’entità delle somme dallo stesso anticipate nell’interesse della stessa, quantificate in Euro 160.772,91, fino al 31.3.2013, con la conseguente condanna del pagamento in suo favore di dette somme, utilizzate per il pagamento del prezzo della compravendita.

In subordine, previo accertamento di una donazione diretta da lui posta in essere in favore della moglie, quale negozio dissimulato con la formale compravendita del 22.3.2011, ne chiedeva la declaratoria di nullità per mancanza dei requisiti di forma ex art. 782 c.c.. In via ulteriormente subordinata, previo accertamento che l’intestazione del 50% della proprietà dell’immobile dissimulava una donazione indiretta, chiedeva la revoca della stessa per ingratitudine ex art. 801 c.c., per essersi la donataria resa colpevole di ingiuria grave verso il coniuge a causa di una relazione adulterina.

L’avvocato Caia si costituiva in giudizio, sostenendo che l’operazione compiuta dal marito era una tipica donazione indiretta e negava la sussistenza dei presupposti della domanda di revocazione della donazione.

Con sentenza pubblicata il 6.11.2018 il Tribunale, qualificata l’intestazione del 50% dell’immobile in favore di Caia quale atto dissimulante una donazione indiretta, riteneva non sussistere i presupposti della revoca della donazione per ingiurie e rigettava le domande di Tizio.

Quest’ultimo proponeva appello e con il primo motivo lamentava l’erronea qualificazione quale donazione indiretta dell’atto di acquisto della comproprietà del bene immobile oggetto di causa. La motivazione del primo Giudice, secondo Tizio, era in contrasto con il contegno processuale dell’appellata, la quale non aveva mai contestato l’operato dell’ex coniuge come procuratore generale, sia in relazione alla compravendita che con riferimento all’accensione del mutuo ipotecario cointestato, tenuto conto altresì che non aveva svolto alcuna azione diretta contro il marito per un accertamento eventuale di mala gestio del procuratore generale.

Neppure era fondata, secondo Tizio, la motivazione del Giudice di primo grado con riferimento alla presumibile volontà del notaio di compiere una liberalità in favore della moglie, in ragione della serenità del rapporto coniugale, in quanto situazione smentita dai fatti e dai documenti di causa.

Con il secondo motivo, il notaio denunciava l’errore in cui sarebbe incorso il Giudice di primo grado, ritenendo sussistente l’animus donandi, non avvedendosi del fatto che buona parte del prezzo della compravendita proveniva dalla provvista di un mutuo cointestato, stipulato all’uopo a nome di entrambi, con conseguente esclusione dell’animus donandi.

Con il terzo motivo si doleva del rigetto della domanda di revocazione per ingratitudine, ritenendo sussisterne i presupposti.

LA SENTENZA. La Corte d’appello ha ritenuto di trattare congiuntamente i primi tre motivi per la loro stretta connessione.

I giudici di secondo grado hanno anzitutto rilevato che l’appellata non aveva mai contestato l’avvenuto pagamento, solo da parte dell’ex coniuge, di tutte le somme spese per l’acquisto dell’immobile oggetto di causa, intestato ad entrambi per il 50% ciascuno; e neppure aveva contestato le modalità di pagamento dedotte dall’appellante, sostenendo la tesi della donazione indiretta accolta dal primo Giudice. Neppure risultava contestato che il marito avesse partecipato all’atto di compravendita o all’atto di mutuo, sia in proprio sia in forza di procura generale della moglie.

Ai fini della qualificazione dell’operazione negoziale, la Corte ha ricordato che la donazione tipica, prevista dall’art. 769 c.c., è l’atto con il quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto assumendo verso la stessa un’obbligazione. Le altre liberalità, dette anche donazioni indirette contemplate dall’art. 809 c.c., come liberalità risultanti da atti diversi dalla donazione tipica, hanno in comune, con la donazione tipica, l’arricchimento senza corrispettivo, ma si distinguono perché l’arricchimento del beneficiario non si realizza con l’attribuzione di un diritto o con l’assunzione di un obbligo da parte del disponente, ma in modo diverso, e cioè attraverso uno schema negoziale con causa diversa oppure attraverso la combinazione di più atti e negozi.

La riconduzione all’uno o all’altro schema negoziale dell’atto oggetto di causa ha conseguenze rilevanti.

Il codice civile estende infatti anche alla liberalità indiretta le disposizioni riguardanti la revocazione per ingratitudine, ma, nel contempo, esclude l’applicabilità delle norme riguardanti la forma dell’atto di cui all’art. 782, essendo la forma solenne prevista solo per la donazione tipica. Per la validità delle donazioni indirette, invece, non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza della forma prescritta per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità.

Nel caso di specie, l’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente e intestazione in tutto o in parte ad altro soggetto, si configura la donazione indiretta dell’immobile e non del denaro impiegato per l’acquisto. La liberalità si realizza infatti in via indiretta con l’arricchimento del destinatario della liberalità, sicché l’intenzione di donare emerge non già in via diretta dall’atto, ma solo in via indiretta dall’esame necessariamente rigoroso di tutte le circostanze di fatto del singolo caso, nei limiti in cui risultino tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio da chi ne ha interesse.

Ha osservato la Corte che nel caso, invece, in cui la liberalità non si realizzi attraverso l’acquisto con denaro proprio del disponente, ma tramite l’accollo interno del mutuo contratto dal donatario, la soluzione è diversa. In questo caso, la giurisprudenza ha ritenuto che configuri una donazione diretta, e non indiretta, l’accollo interno con cui l’accollante, allo scopo di arricchire il donatario con proprio impoverimento, si sia impegnato nei confronti di quest’ultimo a pagare all’istituto di credito le rate del mutuo bancario. Ciò in quanto la liberalità non è un effetto indiretto, ma la causa dell’accollo, sicché l’atto, non rivestendo i requisiti di forma prescritti dall’art. 782 c.c., deve ritenersi inidoneo a produrre effetti diversi dalla soluti retentio di cui all’art. 2034 c.c..

Nell’ipotesi in cui il pagamento dell’immobile sia effettuato in parte con denaro proprio del donante e in parte tramite provvista proveniente da un mutuo, la giurisprudenza di legittimità più recente ritiene che sussista ugualmente la donazione indiretta di un bene, nella specie l’immobile, laddove sia dimostrato lo specifico collegamento tra donazione e successivo impiego delle somme.

Ciò premesso, nel caso di specie, la Corte ha ravvisato l’oggetto della liberalità nella percentuale di proprietà del bene acquistato pari alla quota di prezzo corrisposta con la provvista fornita dal donante.

Peraltro, la donazione indiretta è configurabile anche nel caso in cui le somme messe a disposizione del donante soddisfino solo in parte l’obbligo di pagamento del prezzo della vendita, in quanto la liberalità non deve necessariamente tradursi in una corresponsione dell’intero prezzo, ma può riguardare anche solo una sua parte, sempre che sia dimostrato lo specifico collegamento tra dazione e successivo impiego delle somme.

Nel caso in esame, dai numerosi atti del procedimento penale per maltrattamenti in famiglia iscritto a carico dell’appellante, era emerso che era il notaio a provvedere a tutte le esigenze della famiglia ed a mantenere il suo elevato tenore di vita. Per quanto dedotto dall’avvocato Caia e non contestato dal notaio Tizio, quest’ultimo aveva un reddito annuale di circa Euro 500.000,00, mentre la moglie aveva redditi modesti derivanti dall’attività di collaborazione presso lo studio del coniuge, pari ad Euro 15.000,00.

In tale contesto la Corte ha ritenuto che la crisi coniugale non era ancora esplosa e che l’intestazione di metà della quota di proprietà dell’immobile alla moglie non poteva avere altro scopo se non quello di realizzare una liberalità in suo favore, nonostante la presenza di una procura generale che legittimava il marito ad agire in suo nome e per suo conto. Era emerso altresì che, anche dopo l’abbandono della casa familiare da parte della moglie, il notaio le aveva ancora manifestato il suo amore, cercando una riconciliazione.

La Corte ha ritenuto inoltre che la spontaneità dell’attribuzione patrimoniale non è incompatibile con la conflittualità esistente tra le parti al momento del contratto, poiché tale elemento fattuale è neutro rispetto alla causa della donazione. L’animus donandi poi era stato anche confessoriamente confermato dall’attore nel corso di due conversazioni registrate agli atti di causa, non contestate dall’attore in ordine alla loro autenticità e provenienza, e quindi utilizzate dalla Corte come elementi di valutazione.

I Giudici veneziani hanno quindi concluso che la donazione indiretta dell’immobile fosse configurabile in proporzione alla parte di prezzo pagata dal notaio con la provvista proveniente dai propri conti personali. Pertanto, considerata la metà della somma pagata direttamente dall’appellante, che avrebbe dovuto essere pagata invece dalla contestataria dei beni, e pari ad Euro 116.940,00, la donazione indiretta posta in essere in favore di Caia era configurabile in relazione alla quota di immobile acquistata con tale somma, pari al 43,39% della quota di cui la donataria era proprietaria rispetto al totale 50%, di talché la donazione indiretta era riferibile al 21,69% dell’intera proprietà dell’immobile.

Sul punto, la Corte ha quindi riformato parzialmente la sentenza di primo grado.

I Giudici di secondo grado hanno rigettato la domanda di rimborso delle somme anticipate dal notaio, ritenendole rientrare nell’obbligazione di cui è gravato ciascun coniuge di contribuire ai bisogni della famiglia ai sensi dell’art. 143 c.c., non sussistendo, a seguito della separazione, un diritto di rimborso di un coniuge nei confronti dell’altro per le spese sostenute in modo indifferenziato per i bisogni della famiglia durante il matrimonio.

Per quanto riguarda invece le somme versate per le rate del mutuo bancario contratto da entrambi, la Corte ha ritenuto non configurabile una donazione indiretta, distinguendo i pagamenti effettuati sino alla data della domanda di separazione personale da quelli effettuati dopo tale data. Prima di questa data, il pagamento delle rate integrava invero una forma di adempimento degli obblighi di contribuzione della vita familiare.

Dopo tale data, i rapporti economici tra i coniugi erano stati sostituiti dai provvedimenti provvisori urgenti emessi dal Presidente del Tribunale e, posto che risultava che la moglie non avesse ottenuto alcun assegno di mantenimento in proprio favore, doveva ritenersi che l’obbligo di pagamento del mutuo tra debitori solidali fosse regolato dalla normativa generale nei rapporti interni. Pertanto la Corte veneta ha ritenuto che l’obbligazione gravava su entrambi, in pari misura, ai sensi dell’art. 1298 c.c., e che il debitore che abbia pagato l’intero debito abbia altresì diritto di regresso nei confronti dell’altro.

La domanda del notaio di rimborso delle somme versate in pagamento del mutuo, con riferimento al periodo successivo alla data di deposito della domanda di separazione, è stata dunque qualificata come domanda di regresso interno, con obbligo della moglie di restituire all’ex coniuge quanto da questi pagato in eccedenza rispetto alla propria quota.

La domanda di revocazione per ingratitudine è stata, poi, esaminata in relazione alla quota di immobile oggetto di donazione indiretta. A questo riguardo, i giudici di secondo grado hanno affermato che l’ingratitudine consiste in una condotta con la quale si rechi offesa all’onore o al decoro del donante, idonea a ledere gravemente il patrimonio morale della persona.

La violazione al dovere di fedeltà dal coniuge in alcuni casi è stata ritenuta capace di riverberarsi sull’efficacia della pretesa donazione intercorsa tra gli stessi, ove sia idonea ad integrare gli estremi della ingiuria grave ai sensi dell’art. 801. La mera infedeltà, non altrimenti qualificata da circostanze gravemente ingiuriose, non viene ritenuta sufficiente a tal fine. L’ingratitudine del coniuge donatario non può quindi consistere nella mera circostanza di aver intrapreso una nuova relazione sentimentale, ma, semmai, di averlo fatto in modo ingiurioso per l’altro coniuge.

La Corte, esaminato il quadro probatorio che emergeva dagli atti di causa, ha concluso nel senso della insussistenza dei presupposti per la revocazione.

Con la sentenza di secondo grado quindi: (i) è stata accertata la donazione indiretta per il 43,39% della quota di cui Caia è titolare; (ii) è stata pronunciata la condanna di Caia a pagare le rate del mutuo scadute dopo la data del deposito del ricorso per separazione ed a rimborsare al marito la metà delle somme da questi pagate a tale titolo, dopo tale data; (iii) sono state respinte le altre domande proposte da Tizio.

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