Decesso del neonato e condanna per omicidio preterintenzionale

di avv. Anna Silvia Zanini

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11670 del 18 gennaio 2023, chiarisce come il delitto di omicidio preterintenzionale possa configurarsi, con riguardo all'elemento psicologico, anche quando gli atti diretti a commettere i delitti di percosse e lesioni personali, dai quali sia derivata, come conseguenza non voluta, la morte, siano stati posti in essere con dolo eventuale e non diretto.

L'art. 584, c.p., che disciplina l’omicidio preterintenzionale, punisce con la reclusione da dieci a diciotto anni chi cagiona la morte di un uomo con atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dagli articoli 581 e 582 del codice penale, ovvero i delitti di percosse e lesioni personali.

L’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che, ai fini della configurazione del delitto di omicidio preterintenzionale, l'elemento psicologico consista nell'aver voluto, anche solo a livello di tentativo, l'evento minore, ovvero le percosse o le lesioni, e non anche l'evento più grave, ovvero la morte, che costituisce solo la conseguenza diretta della condotta dell'agente (Cassazione penale sez. V, 01/02/2018, n.18048).

L'elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non è dunque costituito da dolo e responsabilità oggettiva né dal dolo misto a colpa (ipotesi proposta da una parte della giurisprudenza in passato), ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'art. 43 c.p. – che disciplina in generale il delitto preterintenzionale – pone una valutazione ex lege quanto alla prevedibilità dell'evento da cui dipende l'esistenza del delitto, ritenendo l'assoluta probabilità che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa (cfr. ex multis  Sez. 5, n. 44986 del 21/9/2016, Mulè, Rv. 268299; Sez. 5, n. 791 del 18/10/2012, dep. 2013, Palazzolo, Rv. 254386; Sez. 5, n. 40389 del 17/5/2012, Perini, Rv. 253357; Sez. 5, n. 35582 del 27/6/2012, Tarantino, Rv. 253536; Sez. 5, n. 13673 del 8/3/2006, Haile, Rv. 234552).

Elementi essenziali dell'omicidio preterintenzionale sono, pertanto, secondo l'espresso dettato normativo, "atti diretti" a percuotere e/o ferire ovvero atti diretti ad esercitare una coazione fisica sulla persona (riconducibili alla previsione dell'art. 581 c.p., ovvero a quella dell'art. 582), sicché l'elemento psicologico del reato di percosse o lesioni è dato dalla coscienza e volontà di tenere una condotta violenta, tale da cagionare alla vittima una sensazione di dolore (nelle percosse) o una malattia (nelle lesioni).

Un siffatto elemento psicologico è stato ritenuto sussistente dalla Suprema Corte nel caso in esame, ove una madre è stata condannata per il delitto di omicidio preterintenzionale per aver provocato al figlioletto di pochi mesi, con condotte di scuotimento, lesioni personali irreversibili, che hanno successivamente determinato il decesso del bambino.

La donna aveva proposto ricorso per cassazione lamentando, per quanto qui è d’interesse, la contraddittorietà e la conseguente illogicità della motivazione in ordine all'elemento psicologico attribuito all'imputata. In particolare la difesa rilevava l’incongruità della decisione della Corte d’Appello nel punto in cui affermava che l'imputata non avesse posto in essere gli scuotimenti con l'intento di maltrattare il proprio bambino, rispetto a quanto esposto nella relazione della consulente del pubblico ministero, ove veniva individuata la volontà di infierire e di arrecare danno al neonato.

Invero, la Cassazione, con la sentenza in esame, evidenzia come la Corte d’Appello abbia fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza.

In particolare, per giungere alla decisione assunta, il Giudice di seconde cure, pur avendo escluso che la donna abbia posto in essere gli scuotimenti con l'intento di maltrattare il proprio bambino, ha valorizzato come l'imputata abbia inflitto ripetuti scuotimenti, evidenziando la direzione e la durata di essi, nonché il numero delle ecchimosi riscontrate, espressamente escludendo sulla scorta di tali elementi, che vi sia stata una sola azione di scuotimento di durata infinitesimale.

La Corte ha dunque ritenuto la sussistenza del dolo del delitto di percosse e di quello di lesioni personali, in particolare nella forma eventuale, per l'accettazione del rischio da parte della donna, e, di conseguenza, la sua responsabilità, a seguito della morte del minore, per il delitto di omicidio preterintenzionale.

E’ stato dunque ritenuto corretto il ragionamento logico-giuridico seguito dal Giudicante, che ha ravvisato il

dolo eventuale sulla scorta dell'apprezzamento del più ampio compendio in atti e ciò in conformità al conforme orientamento giurisprudenziale secondo cui "il delitto di omicidio preterintenzionale può configurarsi, con riguardo all'elemento psicologico, anche quando gli atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dagli artt. 581 e 582 c.p., dai quali sia derivata, come conseguenza non voluta, la morte, siano stati posti in essere con dolo eventuale e non diretto”.

 

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