L’ascolto del minore non può essere l’elemento esclusivo in base al quale valutare il suo superiore interesse

di Avv. Chiara Curculescu

IL CASO. All’esito di un procedimento ex art. 703 c.p.c. promosso avanti al Tribunale di Napoli dal padre di una minore che lamentava comportamenti ostruzionistici da parte della madre, sua ex compagna, veniva disposto l’affido super-esclusivo in favore del padre, presso il quale la minore era già stata collocata durante il procedimento. La CTU espletata nel corso del giudizio, infatti, aveva evidenziato le gravi carenze genitoriali della madre e le sue condotte manipolatorie nei confronti della figlia finalizzate ad escludere l’altro genitore, privando in tal modo la minore del diritto alla bigenitorialità.

Successivamente, la Corte d’Appello di Napoli, avanti alla quale era stato proposto reclamo dalla madre avverso il provvedimento di primo grado, pur senza modificare le valutazioni in merito alle condotte genitoriali accertate dal Tribunale, dopo aver provveduto all’ascolto della minore la quale esprimeva il desiderio di tornare nel luogo di residenza materna, disponeva il collocamento della minore presso la madre e l’affido ai Servizi Sociali del Comune di Napoli.

Avverso la suddetta pronuncia il padre proponeva ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi: per violazione o falsa applicazione degli artt. 336, 336bis e 315bis c.c. lamentando l’erronea applicazione ratione temporis della norma relativa all’ascolto del minore; per nullità derivante da illogicità e contraddittorietà della motivazione; per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti; per mera apparenza della motivazione e illogicità rispetto alle risultanze probatorie.

LA DECISIONE. Con ordinanza n. 2947 del 6 febbraio 2025 la Suprema Corte, trattando congiuntamente le doglianze del ricorrente in quanto strettamente connesse, ha accolto il ricorso e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Napoli per il suo riesame.

La Corte di Cassazione ha anzitutto ribadito la necessità di assicurare il principio della bigenitorialità nell’interesse superiore del minore, richiamando la pronunce della Corte Edu nelle quali è stato rimarcato l’obbligo di un “rigoroso controllo sulle garanzie giuridiche destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare” e l’invito alle autorità nazionali ad assumere tutte le misure finalizzate ad assicurare il mantenimento dei legami tra genitori e figli.

In questo contesto, è stato evidenziato come nel caso preso in esame la Corte territoriale - pur confermando che la condotta manipolatoria della madre avesse compromesso il diritto alla genitorialità della minore -abbia dato rilievo alla circostanza che il provvedimento di primo grado non avesse attenuato il conflitto tra i genitori e che ad entrambi i genitori dovesse imputarsi l’incapacità di riconoscere il ruolo genitoriale dell’altro e di tutelare il diritto alla bigenitorialità della figlia. Conseguentemente la Corte d’Appello aveva ritenuto quale elemento da tenere in preminente considerazione la volontà espressa dalla minore stessa, infradodicenne, di fare rientro nel luogo di residenza materna, avendo nostalgia di quel contesto dove aveva vissuto fino ai sette anni.

Per la Suprema Corte, tale pronuncia non può dirsi conforme ai principi espressi dalla giurisprudenza nazionale e sovranazionale ed è viziata dall’omesso esame di fatti decisivi: è infatti errata la identificazione del superiore interesse della minore con la volontà dalla stessa espressa, ed il Giudice, una volta prese in esame le dichiarazioni rese, deve necessariamente tenere conto di tutti i fatti rilevanti (nel caso concreto la persistente conflittualità tra genitori, la volontà della madre di rinsaldare un rapporto caratterizzato dai propri comportamenti escludenti e manipolatori, e l’importante risultato raggiunto con la pronuncia di primo grado volta a garantire un’effettiva bigenitorialità) valutandoli nel loro complesso e non in modo atomistico.

In tal senso anche la Corte Edu ha affermato che “il diritto di un minore di esprimere la propria opinione non deve essere interpretato nel senso che conferisce effettivamente un diritto di veto incondizionato ai minori senza che siano presi in considerazione altri fattori e senza che sia condotto un esame per determinare il loro interesse superiore”.

Dunque, la Suprema Corte di Cassazione esprime il seguente principio: l'ascolto del minore e le dichiarazioni rese dallo stesso, anche quando ricorrano elementi tali da ritenere che siano espresse con maturità e consapevolezza, non possono costituire l'esclusivo elemento in base al quale valutare il superiore interesse del minore e assumere la decisione richiesta, in un quadro di rapporti familiari altamente conflittuali, nell'ambito dei quali siano stati accertati comportamenti apertamente ostativi, ostruzionistici e manipolativi da parte di un genitore atti a limitare consistentemente l'esercizio della bigenitorialità dell'altro, comportamenti risultati recessivi solo a seguito della differente collocazione del minore.

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