Danno endofamiliare ed onere della prova

La Cassazione civile, con la sentenza n. 6518/2020, si è occupata per la prima volta della questione inerente all’onere della prova nei giudizi di risarcimento del danno per responsabilità endofamiliare.

La Corte ha deciso il ricorso di una figlia che censurava una sentenza d’appello che, riformando quella di primo grado, aveva rigettato per difetto di prova dei fatti contestati la sua domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali che suo padre le avrebbe cagionato per non aver assolto ai propri doveri di genitore.

Per un verso la ricorrente censurava la sentenza impugnata per violazione del disposto dell’art. 2697 c.c., sostenendo che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, sarebbe stato semmai suo padre, in quanto convenuto, ad essere onerato della prova aver adempiuto ai predetti doveri.

Per un altro lamentava l’erroneità della decisione laddove aveva affermato che “la tesi attorea sarebbe confortata solo da testi de relato actoris, giacché quanto dai medesimi riferito non era stato appreso dall'attrice "ma dalla madre della stessa"” ed aveva altresì trascurato “di considerare dichiarazioni dei testi di assoluta importanza che non sono affatto de relato, ma di diretta conoscenza dei medesimi".

La Cassazione ha dichiarata inammissibile quest’ultima doglianza perché esorbitante dal perimetro del vizio di motivazione rilevante ai fini del vigente disposto dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., e ciò alla luce del principio per cui “l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie" (Cass., Sez. U., 7/04/2014, n. 8053)”.

Dopo la novella che ha modificato l’enunciato del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., infatti, la valutazione delle risultanze istruttorie effettuata dal Giudice del merito è sindacabile in sede di legittimità solo nei ridotti limiti dell’”omesso esame”, che peraltro la Cassazione interpreta in termini rigorosi:

“L'omesso esame di elementi istruttori non dà luogo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché in sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze. E', quindi, inammissibile la deduzione del vizio di cui all'articolo 360, n. 5 c.p.c. per sostenere semplicemente il mancato esame di deduzioni istruttorie ovvero di documenti, da parte del giudice del merito”

(Cass. civ. nn. 21210/2019, 29223/2019, 27415/2018).

Una casistica dei motivi di ricorso che la Corte ha ritenuto ammissibili a questo riguardo può ricavarsi da alcune sue recenti decisioni (Cass. civ. nn. 16812/2018, 1229/2019, 16402/2017, 15200/2017, 7472/2017, 27000/2016).

I Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto, poi, inammissibile pure l’altra censura precitata, osservando come questa, al di là della formulazione fattane dalla ricorrente, fosse diretta “a promuovere unicamente una revisione dello sfavorevole giudizio probatorio enunciato dalla Corte di merito”.

Ma non hanno perso l’occasione di osservare che quella endofamiliare non è altro che una particolare forma di responsabilità aquiliana, con tutte le conseguenze che ne derivano, anche sul piano dell’onere della prova:

Non è invece superfluo rammentare - perché a questo ambito sembrano ancora indirizzarsi le obiezioni che la ricorrente muove alla sentenza impugnata in relazione all'art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. - che

l'illecito endofamiliare,

concretamente ravvisabile in tutte quei casi in cui all'interno delle dinamiche relazionali che hanno come teatro la famiglia si consumi una lesione dei diritti della persona costituzionalmente garantiti in conseguenza di una violazione dei doveri familiari,

in quanto ricadente nell'area dell'illecito extracontrattuale, non si sottrae alle ordinarie regole probatorie che sovrintendono all'accertamento della responsabilità ad esso correlata. E' affermazione perciò di scuola che si ricava dallo stesso paradigma normativo dell'art. 2043 c.c. che, oltre alla prova del danno e del nesso di causalità, il danneggiato che agisca a fini risarcitori debba anche provare che il pregiudizio da esso allegato è conseguenza di una condotta illecita del danneggiante, non essendo per vero configurabile una responsabilità risarcitoria da fatto illecito se, nel concorso degli altri due elementi che definiscono lo statuto giuridico della responsabilità extracontrattuale, non sia provato anche il concorso del terzo ovvero una condotta colposa o dolosa del soggetto obbligato”.

Poiché la condotta illecita del danneggiante è un fatto costitutivo del diritto al risarcimento, è, invero, sul danneggiato che grava il relativo onere probatorio, alla luce del criterio di giudizio dettato dall’art. 2697 c.c..

E poiché la sentenza impugnata si era attenuta “a queste elementari regole di giudizio… annotando segnatamente che "non avendo l'attrice dato prova del proprio assunto e cioè che il padre abbia posto in essere in danno della figlia la violazione suscettibile di risarcimento"” non sarebbe stata comunque meritevole di censura.

Ne consegue che chi pretenda di aver subito un danno da illecito endofamiliare è onerato della prova dell’altrui condotta illecita che lo abbia cagionato, del danno subito (che, si badi, non è in re ipsa, e dovrà quindi essere specificamente allegato e provato, anche presuntivamente) e del relativo nesso di causa.
 

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